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Brawl in the Cell Block 99, di Craig Zahler

2 min di lettura

Arriva come un fulmine (ma neanche tanto improvviso) l’immancabile “caso” della Mostra: Brawl in the Cell Block 99, di Craig Zahler, annunciato dai soliti flani sensazionalistici come il film più violento della Mostra.

Brawl in the Cell Block 99Se si meriterà questo titolo aspettiamo di dirlo alla fine, felici intanto che finalmente l’immaginario collettivo, tramite l’accettazione ad un Festival in altri tempi ingessato come quello di Venezia, ha accettato i generi come aventi pari dignità dei grandi Autori –-senza contare che sono proprio i grandi Autori che oggi si interessano ai generi!-: ma intanto godiamoci il bel prison movie di Zahler, che già aveva fatto sussultare i nostri cuori da cultori del cinema di genere con lo splendido Bone Tomahawk: film che preannunciava il gusto splatter del regista, ma soprattutto il suo gusto per l’affronto anarchico.
Se quello era un western-horror (a memoria, unico nel suo genere), qua siamo dalle parti del prison-torture: l’ossessione autoriale resta la stessa -se lì un marito che doveva recuperare la moglie da un branco di cannibali, qui invece deve attraversare un’odissea di violenza e dolore per salvare moglie e figlio- e anche stavolta c’è Vince Vaughn (gigantesco in tutti i sensi, e gigione) che dopo aver perso il lavoro e per assicurare una vita tranquilla alla moglie (Jennifer Carpenter, indimenticata sorella di Dexter, ma efficace) decide di lavorare per uno spacciatore.
Nel mondo di Zahler chi ha un codice morale ferreo e chi cerca la salvezza deve soffrire: e quindi il nostro viene arrestato ma è solo l’inizio di un degrado morale e fisico, accompagnato dallo sguardo gelido di Udo Kier e dal sigaro perennemente in bocca di Don Jhonson, una lenta discesa letterale e figurata, ai confini di una violenza talmente accentuata da diventare tarantiniana.
Brawl in the Cell Block 99 - immagine trailerMa non si creda che Zahler segua le orme del regista di Pulp Fiction: perché pur se assimilabile a diversi modelli, nel suo cinema non c’è l’ironia salvifica di Carpenter, il metatesto di Tarantino, l’assoluzione morale di Mann. Brawl In Cell Block 99 è un sentiero senza assoluzione che il retto deve compiere, mentre il regista sembra soffrire insieme a lui, percorso da un’urgenza del mostrare e dell’esibire.
Il cinema di Zahler, oggi caso più unico che raro, è un cinema senza donne o tutt’al più un cinema dove le donne sono (toste) come gli uomini -e non per niente il ruolo della moglie è affidato alla Carpenter, scream queen inusuale dal fisico androgino quanto affascinante-, un cinema rigoroso e di condanna.
Pur se per molti versi assimilabile ai gloriosi B-movie, Brawl In Cell Block 99 è invece classico nel suo etimo più profondo: ovvero lì, nel cuore buio della vita dove i protagonisti esistono solo in funzione del loro senso morale che indissolubilmente li lega e li allontana insieme ad un mondo popolato solo da violenza.

Gianlorenzo Franzì

 

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