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Il mafioso e la maestra

6 min di lettura

L’inganno delle paroleLamezia Terme, 25 giugno 2017. Ultimo evento di Trame 7. Festival dei libri sulle mafie con la direzione artistica di Gaetano Savatteri. In scena, nel Chiostro del Complesso Monumentale di S. Domenico, L’inganno delle parole, lettura di Lina Sastri, testo di Gaetano Savatteri, regia di Giuseppe Dipasquale, musiche originali composte dal M° Francesco Scaramuzzino. Una produzione originale per Trame Festival in collaborazione con l’Istituto della Enciclopedia Treccani.

Minuta ed elegante. In abito nero, lungo e una stola bianca. Entra in scena con passo felpato, sobria, ritrosa quasi ma è solo un istante, una sensazione fuggevole. Immediatamente cattura il pubblico e lo tiene con carattere, nervi, naturalezza e senso del ritmo. Lei è Lina Sastri, attrice di logos e di pathos, di gesto e di misura. Senza grandezze o esagerazioni sa “raccontare” maneggiando con mestiere e candore quel magico giocattolo che è la “parola”, potente e mutevole insieme.

Attraverso la sua voce che ha dentro un soffio, le “ingannevoli” parole del testo vengono offerte come un dono.

Ninetta e Totò. Maestra lei, mafioso lui. Tra di loro un muro di parole che Ninetta avrà il coraggio e la forza di abbattere dopo aver contribuito, suo malgrado, ad erigere restituendo alle parole il loro significato primigenio.

Il riscatto dalla logica di sangue e di morte passa, ancora una volta, da una donna.

Il candore, la devozione e l’obbedienza di Ninetta si trasformano in ribellione nei confronti del marito che lei, timidamente, aveva provato a giustificare “… non è che mio marito mi abbia mai fatto mancare niente. Lo posso dire a testa alta. Come una regina m’ha trattato. Pure quando è stato trattenuto perché si trovava impedito di stare a casa… Non per volontà sua, eh! Ma per colpa di male gente. Insomma pure in quel periodo niente è mancato a me e ai figli, anzi, magari c’era anche di più…”

E quel ritornello “Si vede che sei maestra”  che prima le sembrava una carezza ora le brucia come uno schiaffo. Un refrain ripetuto da Totò con sarcasmo, quasi a sancire una distanza da una donna che gli crea troppa competizione e quindi egli cerca la propria autonomia nell’esercizio del suo potere, blandendola “Ninetta, ti ricordi quella cosa che ti avevo detto? Meglio se lo fai tu, con le parole sei più brava di me…”

Parole. Quante parole avrebbe voluto dire Ninetta al marito, ma le muoiono là, sulla punta della lingua e così si trova a ripeterle a se stessa davanti ad uno specchio.

E la “sua” notte si riempie di parole “come stelle perdute”,  si muovono, mentre gli occhi le bruciano, sfarfallano nere sulla pagina bianca.  La coscienza di Ninetta diventa vigile e la sua quotidianità notturna viene turbata da paure, quasi sinistre premonizioni.

Famiglia, amicizia, dignità rispetto, onore… Parole belle.

“Le parole sono pulite, innocenti,  anche quelle brutte” dice Ninetta, “diventano brutte e cattive quando passano per la bocca… a me la parola amicizia mi è piaciuta sempre… Amicizia, singolare femminile… anche questa viene dal latino… Amicizia: vivo e scambievole affetto tra due o più persone ispirata in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima. Amicizia profonda, pura, sincera, disinteressata… Belle parole vero? Mio marito ha tanti amici. Chi è ricco di amici è scarso di guai si dice… Tutti a parlare di amicizia ma nemmeno si guardano negli occhi. A me non piace quando sento parlare gli amici di Totò … Dicono “Quello è amico mio” e pare che dicono un’altra cosa… guardando loro le parole del vocabolario sembravano sbagliate. Tutte sbagliate…

Famiglia, amicizia, dignità rispetto, onore… Parole proibite.

Parole fatte d’acqua, lucide come mele mature che nella “lingua di Totò” diventano di piombo, grigie e ruvide come la pelle di un pachiderma.

È il primo momento dell’agnizione ovvero il passaggio dall’ignarità o dall’indifferenza alla conoscenza che diventa vera e propria presa di coscienza dopo la morte del figlio maggiore.

“Le parole da insegnare al figlio grande: onore, rispetto, famiglia, amicizia non le prendevo dal vocabolario ma dalla lingua di Totò, dai pensieri di mio marito e dei suoi amici. Il ragazzo cresceva bene con quelle parole pulite, lucide che gli davo come mele mature e il ragazzo se le mangiava tutte con gli occhi grandi come il cielo. Faceva sì con la testa e mangiava le mie parole… Le parole di sua madre… Un figlio si fida delle parole di sua madre. Io gli davo parole come gli avevo dato il latte quando era appena nato… carne della mia carne… cresceva con le parole che gli davo… Tutte le mie parole gli abitavano nella testa… Quando l’ammazzarono disse solo una parola, una parola piccola, la prima che gli avevo messo sulla lingua… me lo raccontò il medico sull’ambulanza… prima di morire disse solo una parola “mamma” e fu l’ultima cosa… L’avevo ingannato con le parole e m’aveva chiamato con l’ultimo respiro per accusarmi, perché ero stato io a imboccarlo di parole tradite, rubate. Ero stata io, non era colpa di Totò, non era colpa delle parole. Sono stata io a tradire le parole. Le ho prese, piegate, stracciate, ne ho fatte pietre di odio, arpioni di ferro… Ho avvelenato le parole, le belle parole rosse, lucide come mele e le ho offerte a mio figlio. Tieni figlio mio, mangia parole avvelenate, mangia parole di fiele. Mangia. Ho ucciso mio figlio. L’ho sfamato con parole avvelenate…”

Ma l’istinto di protezione materna prevale sulla logica del silenzio e dell’obbedienza imposta alle donne. Come Medea alla fine uccide i figli non per vendicarsi di Giasone ma per sottrarli ad un destino più crudele, così Ninetta, in un supremo gesto di amore materno, cerca di sottrarre il figlio piccolo al destino che lo attende salvandolo con le parole, quelle stesse parole che avevano condannato a morte il figlio grande. Non più “cattiva maestra di parole cattive” ma maestra di  “parole buone, quelle che scorrono come acqua, che non sono di pietra e di bronzo, di piombo e di asfalto…

E il vocabolario diventa la sua Bibbia.
“Amicizia, vivo e scambievole affetto tra due o più persone”.
“Famiglia, elemento fondamentale di ogni società finalizzata alla perpetuazione della specie”
“Onore, la dignità personale che si riflette nella considerazione altrui”.
“Rispetto, sentimento di stima devota e affettuosa verso qualcuno”.

Sono queste le parole che vuole far mangiare a suo figlio, “Parole sane come pane di casa, come uva staccata dalla vigna, parole che figliano altre parole per accoglierne altre, leggere e saporite… parole di libertà, parole per vivere e non per morire… parole per volare…”

Un testo, quello di Savatteri, breve e denso  costruito su un tessuto narrativo-emozionale in cui si riscopre il volume sonoro e psicologico della parola collegata intimamente alle esigenze civili di un Sud ancora in attesa di cambiamento.

Un personaggio, quello di Ninetta, solo apparentemente semplice. Per adattarsi  al suo ruolo di moglie e di madre opera una scissione tra il suo “corpo” e la sua “testa” …Sì sono maestra, ho il diploma magistrale e me lo sono preso pure a pieni voti e mi piaceva studiare. Poi si sa come vanno queste cose, uno si si sposa, fa  figli, li cresce e il diploma l’ho messo nel cassetto e manco un giorno di insegnamento ho fatto. È stato meglio è stato peggio? Eppure saranno proprio i suoi studi, accantonati ma sedimentati come roccia dentro di lei a fornirle il codice per decriptare quel mondo mafioso in cui si trova a vivere e gli strumenti per salvare se stessa e il figlio. In quel vocabolario lasciato nella casa dei genitori e che lei cerca affannosamente “tra vecchie valigie, scarpe, coperte…”, Ninetta ritrova il suo universo di valori sani e la sua interezza di donna “pensante”:  A me il vocabolario mi piace. A volte lo prendo e mi metto a leggere le parole. Mi sembra che là dentro ci sono tutte le parole del mondo… e  i pensieri… e gli oggetti… e se una cosa non è là dentro, là, dentro quelle pagine vuol dire che… che non esiste…

Un’attrice, Lina Sastri, che con la sua sensibilità riesce a creare una tensione monologante senza cedimenti , supportata da un tappeto sonoro che funge da coro e in cui la dolce melodia del piano dialoga costantemente con le note melanconiche del sax. Il suo stesso dire è concertato come una partitura musicale: toni armonici, suadenti, ironici, forti sì che nella sua attenzione alle parole e alle frasi si ritrovano la dolenza, la dolcezza e la forza di questo modernissimo personaggio femminile.

Applausi lunghissimi.

Giovanna Villella

[foto di scena Ennio Stranieri]

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