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Puttane antifasciste, le donne “sovversive” portate a galla da Matteo Dalena

4 min di lettura

27 donne, 27 identità violate dal potere fascista.

 
Sono donne sconfitte quelle di cui parla Matteo Dalena nel volume Puttane antifasciste nelle carte di polizia, edito da ilfilorosso.

Queste donne erano (ma chissà, forse lo sono ancora) la periferia del genere umano, lo scarto di una società che godeva dei loro servizi ma pretendeva che rimanessero nascoste, celate tra i vicoli dei loro quartieri, chiuse nelle stanze dei casini.

Pronte all’uso del virile prototipo dell’uomo fascista, ma mai baciate dalla luce del sole.

Su tali donne, spesso ferite nel corpo e nello spirito, Matteo Dalena ha condotto la sua indagine.

L’autore è partito dagli archivi della polizia, guardandole negli occhi di foto sbiadite che, nella maggior parte dei casi, sono gli unici ritratti che noi posteri abbiamo di quelle 27 donne.

“L’unica foto esistente è quella del crimine”.

Ma quale crimine? L’offesa al duce, al re o ai loro rappresentanti.

E di queste donne ne abbiamo parlato con Matteo Dalena.

Come si inseriscono le storie delle puttane antifasciste nel racconto della Resistenza?

“C’è stata una Grande Resistenza al nazifascismo fatta di battaglie memorabili per la conquista di preziosi avamposti ventisette puttane antifascistedi libertà. C’è stata una Grande Resistenza fatta di attività sovversiva, in clandestinità. Una Grande Resistenza fatta da uomini e donne, partigiane ed eroine in prima linea ma anche con funzione di supporto, soccorso, propaganda.

E poi ci sono le piccole resistenze quotidiane di queste 27 donne dalla cattiva fama, per la maggior parte prostitute abusive e clandestine, le cui storie minime sono utili a spiegare innanzitutto com’era la vita alla periferia della periferia del genere umano durante il fascismo e per un inquadramento generale delle forme del rapporto con gli agenti di pubblica sicurezza e militi.

Storie polverose e neglette che meritano di essere tirate fuori dagli scantinati della storia, meritano di essere salvate cioè dal “rimosso” della grande Storia. Meritano di essere sottratte al racconto del potere e diventare protagoniste di una storia propria”.

Quali sono le colpe maggiori delle quali, secondo le carte della polizia, queste donne si sarebbero macchiate?

“Erano colpevoli in primis perché esercitavano sulla pubblica strada, abusivamente, la professione di meretrici. Contravvenivano alle norme del TULPS secondo cui la prostituzione doveva avvenire in appositi “locali o quartieri di meretricio” sottoposti a una serie di prescrizioni, limitazioni, divieti, cioè al controllo e pure alla corruzione dello Stato fascista. Tutto ciò che avveniva al di fuori, ovvero l’adescamento o incitamento al libertinaggio, era reato per cui queste donne rischiavano una multa in denaro e un periodo dietro le sbarre.

Ma al momento dell’arresto o del fermo di polizia queste donne aggravavano la loro posizione insultando, colpendo, sputando ripetutamente gli agenti, opponendo «viva resistenza» e prendendosi gioco delle autorità del regime, Mussolini su tutti.

Per questo venivano perseguite anche in «linea politica», cioè veniva aperto un fascicolo a loro nome nel Casellario Politico Centrale della Direzione generale di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno.

Questo era il preludio a una serie di provvedimenti quali la diffida, l’ammonizione giudiziale, il carcere o il confino di polizia. Oppure a seguito di «postumi sifilitici al cervello» venivano internate in frenocomi e manicomi, istituzioni totali dalle quali in molti casi non usciranno mai più”.

Cosa significava, per l’ordine fascista, essere una donna e per giunta “sovversiva”?

“Secondo il fascista tipo, la donna era una piacevole appendice nella vita dell’uomo ma pur sempre un’appendice. La donna veniva assegnata dal fascismo alla sfera domestica e riproduttiva: assicurare la riproduzione del maschio fascista, il più possibile sano e perfetto, mettere cioè al mondo braccia forti per la grande battaglia del grano prima e poi della guerra.

O, comunque, si dava loro spazio in seno a quelle associazioni o “opere” che avevano a che fare con la maternità. Tutto ciò che le portava al di fuori di questa sfera familiare, era visto come ostacolo, dunque osteggiato.

Quindi, partendo da questa impalcatura di pensiero, figuriamoci come doveva essere percepita la prostituta, per di più abusiva e ancor peggio sospettata in linea politica: cioè una potenziale nemica dello Stato fascista”.

Quali storie raccontano le foto segnaletiche di queste 27 donne?

“Raccontano del loro incontro con il potere. Raccontano del loro crimine, della loro devianza, della loro alterità, della loro diversità fisica e morale. Senza questi elementi non sarebbero mai emerse dall’anonimato della storia, dall’oscurità della loro perenne notte.

 

Nei solchi sui loro visi le sofferenze di chi tirava a campare, la pena di chi batteva la strada per il pane o la minestra, la rabbia o il risentimento per un provvedimento avvertito come ingiusto.

Raccontano di quartieri dell’umano non ancora sufficientemente esplorati dagli storici, perché il quadro di ogni epoca non può dirsi assolutamente completo senza il racconto di ciò che è accaduto ai margini.

Raccontano, infine, storie non troppo lontane dalla realtà odierna.

Condividono con i ribelli e le sovversive di oggi una realtà fatta di sanzioni e fogli di via, attese interminabili, interrogatori e botte in questura, rappresentazioni stereotipate nelle quali non hanno mai diritto di parola.

E che ci fanno dire che il fascismo non è morto, ma domina con il suo retaggio nella codicistica penale e, più concretamente, con la prevaricazione, con la violenza sessista e machista nella vita quotidiana”.

Il lavoro di Dalena è la lettura che vi consigliamo oggi in occasione dell’anniversario della Liberazione dal fascismo.

Il volume sta per raggiungere il pubblico di lingua spagnola grazie all’interesse della casa editrice di Rosario (Argentina) Le Pecore Nere Editorial. La traduzione è a cura di Regina Vanesa Cellino e il titolo Putas antifascistas. Historia desde el margen.

Daniela Lucia

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