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Rasputin, il santone nero della Russia imperiale

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30 dicembre 1916, seguendo il calendario gregoriano. Nel seminterrato del palazzo Jusupov, a Pietrogrado, veniva assassinato Grigorij Efimovic Rasputin. Così, un secolo fa, moriva l’uomo che decantava di tenere tra le proprie mani l’impero russo.
Mistico e taumaturgo di grande fama e dotato di un forte carisma, Rasputin fu invitato nell’aprile del 1907 a Carskoe Selo, la reggia imperiale, per far visita al malandato zarevic Aleksej Nikolaevič, affetto da emofilia. Lo starec si inginocchiò dinanzi il piccolo erede, gli carezzò la mano, lo calmò raccontandogli alcune storie popolari siberiane e infine annunciò ai sovrani che crescendo Aleksej sarebbe guarito completamente, sconfiggendo quella malattia che all’epoca poteva diventare mortale. Sanando lo zarevic, Rasputin riuscì a calamitare a sé i favori dello zar Nicola II di Russia e della zarina Aleksandra Fëdorovna. Rasputin
Da allora, nonostante voci di un’eccessiva passione verso le donne e l’alcool, aggiunta ai racconti ambigui provenienti dal suo villaggio natale in Siberia, circa l’usanza di celebrare i matrimoni dei suoi concittadini in cambio della prima notte di nozze con la sposa, Rasputin rafforzò il suo forte ascendente sui reali, specie sulla zarina di cui, secondo alcuni, diventò anche amante. L’influenza sui Romanov si ampliò maggiormente quando lo zar Nicola fu chiamato per guidare i suoi soldati nella Grande Guerra.
Rasputin, divenuto oramai il consigliere privato dell’ultimo imperatore di tutte le Russie, iniziò ad avere anche una sorta di potere politico sulle vicende dell’impero e fu questo che portò a decidere la sua morte. Nella notte tra il 29 e il 30 dicembre, il mistico fu attirato al palazzo Jusupov, sulla Moika, dal principe Feliks Feliksovič Jusupov, dal politico Vladimir Mitrofanovič Puriškevič e dal granduca Dmitrij Pavlovič, appartenente alla famiglia Romanov, probabilmente con la scusa di un incontro con la bella principessa Irina, moglie del principe Feliks. Gli uomini inizialmente provarono ad avvelenarlo con del cianuro, ma il veleno, tra lo stupore generale, non fece alcun effetto sul monaco nero. I suoi cospiratori, dunque, gli spararono e andarono via dandolo per morto. Dopo pochi minuti, però, il santone si sollevò in piedi e, seppur sofferente, tentò di fuggire dal palazzo. Sempre più increduli, gli attentatori lo riacciuffarono e lo picchiarono selvaggiamente prima di colpirlo nuovamente, alla testa e alla schiena, con due colpi d’arma da fuoco.

In fin di vita, Rasputin fu legato, trasportato fino al ponte Petrovskij e gettato nelle acqua gelate della Malaya Nevka. Il suo corpo fu rinvenuto alcuni giorni dopo. Pavlovič, Jusupov e famiglia per scappare all’arresto, fuggirono per l’Europa. I freddi venti rivoluzionari soppressero l’uomo che più di ogni altro aveva influenzato la dinastia Romanov. La rivoluzione bolscevica, esplosa da lì a qualche settimana, mise fine alla oscura Russia zarista.

Antonio Pagliuso

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