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Il Vescovo di Locri contro cosche: “Violata immagine sacra della Madonna di Polsi”

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Mons. Francesco Oliva, vescovo di Locri-Gerace - LameziaTerme.it

Mons. Francesco Oliva, vescovo di Locri-Gerace

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di Salvatore D’Elia

Da Polsi continua la “buona battaglia” della Chiesa calabrese contro la ‘ndrangheta

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Sono destinate a segnare un’altra tappa decisiva nel cammino della chiesa calabrese, le parole pronunciate la scorsa settimana dal vescovo di Locri-Gerace monsignor Francesco Oliva in occasione della festa dell’Esaltazione della Santa Croce che si è svolta al santuario di Polsi.

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Il simbolismo di chi vuole combattere mafia e mafiosità con  le loro stesse “armi” e al tempo stesso il pragmatismo di chi è consapevole che, laddove manca lo Stato, la ‘ndrangheta si sostituisce, entra e domina. Queste le due grandi questioni affrontate dal presule, proseguendo il cammino che da diversi anni la chiesa calabrese sta percorrendo, consapevole del suo ruolo insostituibile nella lotta alla ‘ndrangheta nella nostra terra: la “scomunica” di Papa Francesco a Cassano, la nota pastorale sulla ‘ndrangheta del 2015, le direttive sulla pietà popolare, le innumerevoli e dure prese di posizione di tanti vescovi calabresi.

Se il santuario mariano di Polsi, come il mondo intero ha visto attraverso le immagini dell’operazione “Crimine”, era diventato il punto di riferimento per i raduni annuali dei boss, il vescovo Oliva “contrattacca” non solo con le parole, dicendo che “a nessuno è lecito usare l’immagine sacra della Madonna della Montagna di Polsi con le mani grondanti di ingiustizia e sangue, lasciandosi guidare dal propositi di iniquità e dall’arroganza mafiosa”, ma anche con i simboli. Del resto gli ‘ndranghetisti utilizzano proprio i simboli per creare un connubio blasfemo tra la fede e la criminalità. E sappiamo bene quanto i simboli siano potenti, quanto riescano a fissarsi nella visione delle persone e creare sentire comune.

Il vescovo ha deciso che l’effigie di tufo della Madonna della montagna sarà ricollocata in una posizione più interna, a disposizione di chi vorrà invocarla sul serio e non servirsene come copertura. Un segnale chiaro per dimostrare che, sotto il manto della Madonna, non possono trovare riparo consorterie criminali. E ancora un altro segno di grande significato: nei pressi del santuario, sarà eretto un monumento con il busto di don Giuseppe Giovinazzo, prete antimafia assassinato dai sicari delle ‘ndrine a Polsi, il 1 giugno 1989. È come se idealmente quell’immagine di don Giovinazzo sostituirà quel don Pino Strangio, rettore per più di 20 anni del santuario, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, sostituito dal Vescovo con don Antonio Saraco.

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Basterà una “guerra di simboli” a far vincere a Locri la fede autentica, quella di chi ha pagato e paga ogni giorno con la vita per testimoniare la giustizia in nome del Vangelo, contro chi ha trovato nella religione per tanti anni una copertura comoda dei propri disegni e dei propri riti criminali? È chiaro che non bastano i simboli. Ma come tutti i simboli, stanno lì per richiamare qualcosa di più grande. Per richiamare quanto la Chiesa calabrese ha sancito in maniera definitiva con la nota “Testimoniare la verità del Vangelo”: “chi fa parte della ‘ndrangheta è come se calpestasse ogni giorno il Vangelo. La ‘ndrangheta è una struttura di peccato che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale”.

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Da Polsi, la chiesa calabrese fa un altro passo avanti. Non è solo un simbolo, non è una statua spostata, non è un movimento. È il coraggio di una Chiesa che fa i conti anche con se stessa, che lavora per far sovrabbondare la grazia laddove prima dominava il male.  Che con concretezza, come ha fatto il vescovo Oliva, chiede che Polsi non sia isolata perché laddove vi è l’isolamento, la ‘ndrangheta si sostituisce di fatti allo Stato e continua ad esercitare il suo potere criminale. A Polsi la chiesa calabrese prosegue una buona battaglia fatta con i gesti concreti, con i simboli, con le parole del Vangelo della speranza.

Salvatore D’Elia

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