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Il 10 febbraio Giorno del Ricordo, per non dimenticare

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giornata del ricordo

Il 10 febbraio, Giorno del Ricordo, è il dovuto pensiero delle vittime della pulizia etnica compiuta nelle regioni di confine, da sempre suolo Italiano, Istria, Fiume, Dalmazia, Zara, Pola, Capo d’Istria, Ragusa, Sebbenico, Spalato a cui è stato tolto il nome secolare, sostituito con altro quale risultato della violenza e delle barbarie perpetrate attraverso massacri inenarrabili e le foibe, tombe naturali in cui vollero far sprofondare ogni reminescenza della madre Patria

Comunicato Stampa

Chi subì la persecuzione aveva una sola colpa quella di essere italiano. Una tragedia consumata dal 1943 al 1945 e anche dopo, a guerra finita.

In quelle depressioni delle doline carsiche finirono la loro esistenza non solo gli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana o chi aveva simpatia per il fascismo ma anche comunisti dissidenti, soldati inglesi la cui onestà non permetteva loro di assistere impotenti allo scempio umano, partigiani bianchi, formazioni e dirigenti del CNL d’estrazione monarchica e repubblicana, funzionari dello stato, medici e comuni borghesi che nulla avevano in comune con la politica e avevano subito la guerra come il dramma d’un secolo crudele pieno di sconvolgimenti.

Queste spaccature della natura sono una topografia nuova di cimiteri su cui si può solo posare un fiore sull’orlo del baratro: le Foibe più note si trovano nel territorio italiano: Foiba di Basovizza nelle vicinanze di Trieste, foiba di Nonrupino a 11 km da Trieste, qui sembra siano stati trucidati i partigiani non comunisti, le mani legate con filo di ferro e fatti fuori con un colpo alla nuca, in alcuni casi per risparmiare tempo e munizioni,venivano giustiziati i primi che, cadendo, si tiravano dietro i vivi per una morte orrenda dopo aver subito torture e sevizie, foiba di Cernovizza nei pressi della città di Pola, per impedire il recupero di qualche salma, gli slavi nel 1945,fecero saltare l’imboccatura, foiba di Minerva, nel carso triestino contiene un numero elevato di vittime trucidate tra il 1944 al 46, tra cui antifascisti, slavi dissidenti che respingevano i metodi bestiali delle formazioni di Tito.

Questa sequenza di morte comprende altri nomi, Foibe di Plutone, di Timor, di Orlf, di San Giovanni della Cisterna, di Bedena, di Santa Caterina,di Bartarelli,di Bazzano, di Gorgnale, di Villa Orizzi, di Villa Treviso, di Cassiere,di Santa Croce, di Opicina, di Pogdomilla,di Sellia e di Monte Santo.

La storia di quella pulizia etnica prosegue con l’esodo: un atto che fa, ancora, fremere di disgusto. Gente a cui è stato concesso di portare via, dalle proprie case,solo qualche cosa, il resto dei beni sequestrati e dispersi, ammassati nel magazzino 18.

Trascinati verso il porto depredati di tutti gli averi, stipati sul Toscana, attaccati alle ringhiere a guardare, con le lacrime agli occhi, quello che era stato il loro mondo.

16 febbraio 1947 destinazione il porto di Ancona, dove vennero accolti con fischi e sputi dai militanti di sinistra, che li consideravano dei fascisti in fuga dal regime di Tito, stipati in fretta su vagoni merci partirono per Bologna,alla stazione il treno venne bloccato, i ferrovieri comunisti della CGIL minacciarono uno sciopero generale, ripartirono per Parma, per concludere il suo tragico esodo a La Spezia, dove i profughi furono accolti temporaneamente in una caserma.

Quella gente non era fascista era italiana costretta a lasciare, con la morte nel cuore, le terre di confine, per cercare il respiro e il sorriso della Patria di cui portavano quale bene irrinunciabile il tricolore che continuarono a sventolarlo fine all’ultimo.

Le sofferenze di questa gente e il tragico tracciato di sangue che ha accompagnato la loro ultima esistenza sono stati dimenticati dall’accondiscendenza della nostra politica, post bellica, che, per timore, ha lasciato titolare alcune vie e piazze a Tito Josip Broz, il massacratore delle terre irredente, arrivando vergognosamente a decorarlo, come statista, nel 1969, dall’allora presidente Giuseppe Saragat, «Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana» con l’aggiunta del Gran cordone, il più alto riconoscimento.

C’è da chiedersi, ancora oggi, se esiste il pudore e il senso dell’orgoglio di Patria o se per strane coincidenze abbiamo venduto anche questo allo straniero.

Gianfranco Turino
Presidente di Calabria Sociale

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