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Cesare Pavese e il confino a Brancaleone Calabro

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Sette mesi di confino. Sette lunghi mesi di soggiorno forzato a Brancaleone Calabro per Cesare Pavese, da agosto 1935 a marzo 1936, uno dei periodi più significativi di una vita vissuta sempre nell’incertezza e nella solitudine, segnata da due guerre mondiali e conclusa nella maniera più tragica. È il 3 agosto 1935 quando lo scrittore Cesare Pavese, nato nel 1908 a Santo Stefano Belbo (Cuneo), approda nel piccolo centro di Brancaleone, sulla costa ionica calabrese, allontanato dai gerarchi fascisti con l’accusa di attività eversiva al regime.

Arrestato nel mese di maggio insieme all’intera redazione del giornale “Cultura”, Pavese fu tradotto dapprima in carcere a Torino e successivamente a Roma prima di ricevere la condanna a tre anni di confino a Brancaleone. Base dell’accusa a lui ascritta, una lettera da parte di Altiero Spinelli, già detenuto per motivi politici, messaggio che in realtà si rivelò diretto alla sua amata Tina Pizzardo.

Il rapporto tra Cesare Pavese e Brancaleone e la sua comunità sarà di odio e amore per tutti i mesi di permanenza nel paesino reggino. Il “professore”, come veniva chiamato dalla gente del suo nuovo domicilio, descriverà in molteplici lettere indirizzate alla sorella Maria il paese di Brancaleone, prima con toni quasi superbi verso quell’assolato e arido luogo bagnato dall’odiato mare, poi sempre più onestamente: “Che qui siano sporchi è una leggenda. Sono cotti dal sole. Le donne si pettinano in strada, ma viceversa tutti fanno il bagno. Ci sono molti maiali, e le anfore si portano in bilico sulla testa. Brancaleone, in fondo, ha ancora l’aspetto di Santo Stefano Belbo, e i ragazzi e gli uomini mi ricordano il tempo dell’infanzia”. E ancora: “Qui ho trovato una grande accoglienza. Brave persone, abituate al peggio, cercano in tutti i modi di tenermi buono e caro”.

Pavese resterà sorpreso dalla realtà trovata in quello sconosciuto angolo di Calabria. L’esperienza del confino a Brancaleone, iniziata nella cocente giornata di sabato 3 agosto 1935, fornirà un contributo fondamentale alla maturazione poetica dello scrittore. Pavese, seppur non mischiandosi mai eccessivamente alla popolazione autoctona e restando legato con nostalgia alla sua vita in Piemonte, descriverà con passione Brancaleone Calabro, il suo mare e i suoi vigneti, in molte lettere, oggi raccolte tutte ne “Il quaderno del confino”, e nel romanzo “Il carcere”. Le case basse, i paesaggi brulli, lo Ionio, le piante di ficodindia e il lento scorrere del tempo ispirarono l’animo dello scrittore durante quei sette mesi a cavallo tra il 1935 e il 1936.
Al rientro anticipato dal confino, nel marzo 1936, ad attendere Pavese a Torino ci sarà la notizia dell’imminente matrimonio di Tina Pizzardo con un altro uomo, la donna per proteggere la quale era stato esiliato in Calabria; per lui la crisi è enorme. Ritornerà a lavorare con varie case editrici (Einaudi, Mondadori e Bompiani) e prosegue la sua opera letteraria. Nel secondo dopoguerra diverrà direttore editoriale per la Einaudi, dando alla luce varie collane e iniziative editoriali.

La crisi sentimentale successivo al ritorno dall’esilio a Brancaleone sembra essere ormai un brutto ricordo, fin quando nei primi mesi del 1950 Cesare Pavese conosce a Roma l’attrice statunitense Constance Dowling di cui si invaghì violentemente. Una nuova delusione amorosa con la Dowling, alla quale dedicò i versi della celebre raccolta poetica “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” (pubblicata postuma nel 1951), porterà Pavese a uno stato di inquietudine e disagio esistenziale oramai irreversibile. Il poeta e scrittore cuneense mise prematuramente fine alla sua vita nella notte tra il 26 e il 27 agosto del 1950, in una camera dell’albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino, dove soggiornava da poco. Venne trovato disteso sul letto dopo aver ingerito più di dieci bustine di sonnifero.

Brancaleone per ricordare i mesi di permanenza di Pavese nel comune reggino gli ha intitolato la biblioteca comunale. A documento dell’esperienza calabrese dell’autore de “La luna e i falò” e “Paesi tuoi”, nel 1967 Giuseppe Taffarel realizzò un documentario dal titolo “Il confino di Cesare Pavese” facilmente reperibile in rete.

Antonio Pagliuso

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