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L’amica geniale di Elena Ferrante, storia di un’amicizia

3 min di lettura

Ne L’amica geniale Elena Ferrante ci guida nella vita vera fatta di donne e di uomini che, crescendo, mutano

#autunnodaleggere Se il mondo potesse essere racchiuso in un pugno, e se di quel pugno ad Elena Ferrante fosse stata affidata una descrizione fedele e puntuale, stiate pur certi che ne verrebbe fuori un racconto dettagliato su caratteri e ambienti tali da mostrare, in poche righe, tutte le infinite sfaccettature del creato.

È questa miscellanea di personaggi, luoghi e sentimenti ad animare il primo volume omonimo della saga L’amica geniale (edizioni e/o, 2011). Una strada, poche famiglie numerose e due bambine singolari che si ergono dritte dal marasma di miserie sociali, economiche e affettive.

Le amiche geniali

Lila e Lenù sono l’una lo specchio dell’altra. Sono quattro occhi sgranati e puntati sul mondo circoscritto nel loro rione, lì dove sono nate e dove sono destinata a dispiegare le rispettive esistenze. Scrutano la realtà tagliuzzandola in frammenti, in ricordi da rimescolare gli uni con gli altri per dar vita al racconto. L’io narrante della vicenda, la voce che da fuori guida i personaggi dando loro non solo vita ma anche pensieri, azioni ed intenzioni, è Lenù. A partire dall’allarmante scomparsa dell’amica, l’ormai sessantenne bambina di un tempo dà avvio al racconto tornando alla sua infanzia.

L’infanzia senza significato

L’infanzia di Lila e Lenù è un luogo in cui essere bambini non ha significato. O, per meglio dire, non assume l’accezione che siamo abituati ad attribuirvi. I bambini di cui parla Elena Ferrante sono piccoli adulti senza giochi, senza ingenuità. Sono assimilabili ai bambini di Dickens, ma contrariamente a essi quelli della Ferrante non hanno speranze, né grandi né piccole. La cerchia di compagni che si forma attorno a Lila e a Lenù si affaccia alla vita con gambe esili. La fantasia e il coraggio, arme potenti, sembrano aver attecchito soltanto nelle due protagoniste, capaci di manovrarle secondo i propri (spesso inconsapevoli) disegni.

Un’amicizia competitiva

Par di capire che l’amicizia, quella vera, è fatta di gare, confronti, competizioni, abbracci, silenzi e strette di mano. “Io faccio quello che fai tu”. Si sente ad ogni pagina la voce di una delle due protagoniste che ripete questo assioma di base. Come chiave di lettura delle loro vite. Lila e Lenù s’inseguono, si braccano, si liberano e si riprendono come sospinte da una forza che non riescono a percepire completamente. Si riconoscono diverse dal contesto eppure si ostinano a volerlo piegare secondo le proprie inclinazioni. Se gli altri ne sono piegati, loro vogliono essere artifici della flessione. È arduo scegliere l’amica geniale tra le due. Lila parrebbe impulsiva e selvaggia, ma ben presto si mostra riflessiva con intuizioni brillanti che manovra secondo calcoli ben definiti. Lelù sembrerebbe la più fragile e insicura, tuttavia a conti fatti è lei quella che affronta a muso duro una realtà diversa da quella del rione. Lenù si districa tra la pochezza del quotidiano e le aspettative sul futuro, Lila invece alimenta questa tensione.

Il rione

Una strada contiene il mondo. Con mano esperta la Ferrante, o chi per lei, guida il lettore tra le stanze di una realtà in cui si mescolano caratteri decisi, mai ripetitivi. Il tratto è marcato per tutti e ciascuno di essi evolve pagina dopo pagina staccandosi dalla posizione iniziale. Nel romanzo si delinea dunque la vita vera fatta di donne e di uomini che, crescendo, mutano.

Daniela Lucia

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