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Anna Vinci presenta il suo libro su Gaspare Mutolo

4 min di lettura

A Lamezia il 14 novembre scorso, il LameziaInternationalFilmFest-LIFF6,  ha ampliato il suo raggio d’azione anche alla letteratura

In quest’ottica, ha ospitato Anna Vinci (già produttrice insieme al marito Rean Mazzone del film proiettato in anteprima regionale La Mafia Non E’ Più Quella Di Una Volta) che ha presentato, presso il Liceo Magistrale Campanella, il suo libro intervista su Gaspare Mutolo, mafioso e collaboratore di giustizia, coinvolto nel maxi processo istituito da Falcone e Borsellino nel 1986 e condannato, dopo la sentenza di primo grado, a dieci anni di reclusione, fu proprio Falcone a proporgli di collaborare. Oggi è un uomo libero, pur sotto il Servizio Sociale di Protezione, e vive dipingendo quadri.

Anna Vinci è invece la biografa ufficiale di Tina Anselmi: e nel 2019 ha pubblicato anche un libro intitolato proprio “Gaspare Mutolo”.

A moderare l’incontro con Anna e il marito Rean è stata Daniela Fittante, che ha subito chiesto alla scrittrice come abbia fatto ad isolare il “corpo” di Gaspare Mutolo, durante i loro incontri, le mani che hanno strangolato le persone che ha ucciso; la donna portatrice di vita come biografa di Tina Anselmi ha superato allora quest’empasse brillantemente confrontandosi con un uomo generatore di morte.

Anna Vinci e i suoi libri

La Vinci ha aggiunto poi che continua “a portare in giro i suoi libri scremando i luoghi in cui va, preferendo i giovani, i ragazzi. Io spero sempre di lasciare un barlume, pur sembrando presuntuosa, ma so di aver incontrato nella mia vita alcune persone che hanno lasciato delle tracce: una delle cose peggiori al mondo è l’indifferenza, che leva i sogni e che uccide. Chi si illude che la giovinezza dura in eterno, si accorgerà che gli anni passano e l’indifferenza si trasforma in apatia. I motivi per cui io mi sono appassionata a Mutolo”, ha continuato, “come i motivi per cui mi sono appassionata a Tina Anselmi, ovviamente ben altra figura rispetto a lui, è perché in queste persone trovo l’Inquietudine. E l’Inquietudine, chi non ce l’ha, fa male: specialmente alla vostra età” ha detto riferendosi ai giovani spettatori del liceo, “è un macello, perché se non siete inquieti non scoprite da un lato l’inutilità della vita, e dall’altro la bellezza del non perdere tempo. All’inizio, comunque, stare con Mutolo era molto difficile: trovate sul web una breve intervista sua a casa nostra, ripreso da una mia amica regista, dove lui fa il caffè. Ora: le mani sono qualcosa di estremamente determinante, perché lui aveva delle mani dissociate dal resto del corpo. Una cosa stranissima. Aveva già un atteggiamento alla ricerca dell’approvazione: ma le mani sembravano andassero per conto loro. Le ho ricomposte in un insieme armonico conoscendolo. Chi ha letto Dostoevskij ed entrate nel mondo dei fratelli Karamazov, conoscerete tutta la pesantezza e la difficoltà della Colpa.”.

Le parole sono importanti

Si è poi rivolta ai ragazzi: “Mi spiegava Tina Anselmi, e me lo ha fatto capire Mutolo, l’importanza della parola: la parola non deve essere un artefatto. Tu in prima fila come ti chiami? Serena… per esempio: se io esco, dico di aver visto Serena, una ragazza con i capelli neri e gli occhiali e sembrava molto interessata. Nessuno ti conosce, e nessuno farà caso alle mie parole: ma se un politico dice di averti visto, e lo conferma sui social, tutti lo riprendono e questa cosa diventa la verità. Questa è la mafia: chi ha visto il film di Maresco avrà visto la sequenza dove il regista si rivolge a Ciccio Mira –un personaggio del film, nda– e gli fa notare che qualcuno gli sta facendo una pernacchia. E lui nega, dice di no, che non è vero. Mentre la pernacchia continua in sottofondo, lui continua a negare. La difficoltà di entrare in una psicologia mafiosa si capisce da un pezzo del libro. Ma voi vi rendete dovete render conto che vi stanno raccontando un mondo che non c’è, e questo è veramente un togliervi la giovinezza. Non ve la fate togliere! La giovinezza è il tempo dell’esperienza. Mutolo nell’ambiente in cui è cresciuto e vissuto non aveva speranza: però noi tendiamo al libero arbitro e crediamo alla possibilità della scelta che ci differenzia dagli animali. La cosa di Mutolo che mi ha colpito di più è proprio che lui era uno di quelli che le parole le usava per nascondere, e dopo anni di consuetudine con me ha invece tentato delle risposte vere. Allora gli ho chiesto cosa lo aiutasse a non vedere la vittima come una persona: quando deve uccidere un uomo, al di là dell’omicidio l’idea di fare una cosa che ti sembra giusta esce fuori da una frase che lui mi ha detto, cioè <eravamo in guerra: un nemico in libertà era un pericolo. Quella era la vita nostra, uomini di Cosa Nostra: la sera se non riesco a dormire mi capita di pensarci alle volte che ho incontrato il dolore dei familiari delle mie vittime.> Ecco qualcosa che spezza la routine, e che fa dello squallore la normalità. Io lo trovo interessantissimo perché lo trovo fondamentale per un sacco di meccanismi psicologici alla base di tante cose, pure se meno tragiche.

Valentina Arichetta

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