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Carlo Maria Tallarigo, il garibaldino spretato

4 min di lettura

Carlo Maria Tallarigo

Patriota e liberale, intimo amico del presbitero Pietro Ardito, con la rinuncia al sacerdozio divenne un insigne docente di lettere classiche a Napoli.

Carlo Maria Tallarigo nacque a Motta Santa Lucia (CZ) il 2 luglio 1832 da Francesco e Maria Antonia Volpe. Avuta la prima formazione scolastica nel paese paterno, Conflenti (CZ), proseguì gli studi presso il seminario vescovile di Nicastro (ora Lamezia Terme), dove formò la sua ideologia politica liberale e favorevole alla unificazione nazionale avendo per compagni di studi futuri intellettuali quali il sacerdote Pietro Ardito e il filosofo sambiasino Francesco Fiorentino. Nel 1848 partecipa da volontario alla battaglia dell’Angitola con Francesco Stocco, Giovanni Nicotera, Raffaele Piccoli e Benedetto Musolino. Tornato in seminario divenne professore di umanità (una specie di sociologia ante litteram) e fu nominato canonico del Capitolo della Cattedrale di Nicastro.

L’ex seminario vescovile, oggi sede della Biblioteca e del Museo della diocesi di Lamezia Terme.

Il clero nicastrese e il Risorgimento

Tallarigo e Ardito si formarono nel sacerdozio presso il seminario di Nicastro, il quale già dal 1700, oltre ad essere l’unica scuola della città, si era aperto alle idee illuministiche e liberali. E questa posizione era unica nel panorama della formazione religiosa calabrese. L’episcopato meridionale infatti, dopo il Concordato del 1818 (De utiliori) siglato fra Chiesa Cattolica e la dinastia borbonica ritornata al trono di Napoli grazie alla Restaurazione del 1815, era tutto fedele al monarca in quanto esso aveva diritto di scelta e nomina dei vescovi nel suo regno. Sicchè i due vescovi di Nicastro che governarono durante il Risorgimento nazionale, Nicola Berlingeri (1825-1854) e Giacinto Maria Barbieri (1854 -1881), si preoccuparono di tenere sotto controllo la formazione dei seminaristi, richiamando più volte alla disciplina ecclesiastica il loro clero affinché professassero fedeltà alla autorità papale  e statale, la prima incarnata nei pontefici Gregorio XVI (1831-1846) e Pio IX (1846-1878)  i quali avevano condannato più volte il socialismo, il liberalismo, il modernismo, la democrazia e il libero arbitrio, la seconda incarnata nella dinastia dei Borboni che avevano promesso e poi revocato la concessione della Costituzione (1848) impedendo di fatto non solo lo sviluppo di un una proto-forma di democrazia, ma anche e sopratutto la volontà di bloccare possibili processi per la modernizzazione del loro regno vessato da privilegi di tipo feudale, tasse e immobilismo tecnologico e culturale (eccetto l’area del napoletano).

il vescovo Giacinto Maria Barbieri (1854 -1881)

Il clero nicastrese dunque si distinse in quanto ebbe esponenti di spicco nelle locali sette carbonare o massoniche, le quali propugnavano l’Unità nazionale e un progetto di riforma per una chiesa più evangelica, povera, vicina ai deboli, spoglia dei privilegi e del governo temporale, facendo circolare queste idee oltre che con l’insegnamento anche con opuscoli e giornali fatti entrare di nascosto in seminario. Ecco perché nel 1848 e sopratutto nel 1860, quando vi erano 130 seminaristi, la maggioranza di quest’ultimi andò volontaria a sostenere il movimento unitario con Stocco prima e Garibaldi dopo.

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L’abbandono del sacerdozio e l’insegnamento

Tallarigo in coerenza con quanto creduto e insegnato non esitò nel 1860 di abbandonare la docenza nel seminario di Nicastro per seguire la marcia dell’Eroe dei due Mondi fino alla battaglia del Volturno (26 settembre – 2 ottobre 1860). Nel frattempo il vescovo Barbieri, per impedire nuove adesioni del clero e dei seminaristi al movimento garibaldino, decise di chiudere il seminario per tre anni. Tallarigo, assieme ai suoi amici Ardito e Fiorentino svolsero allora esami supplettivi per poter insegnare a Spoleto (PG), Tallarigo lettere greche e latine in un liceo. Qui però l’arcivescovo Giovanni Battista Arnaldi, di idee reazionarie e illiberali, sospese i due chierici calabresi a divinis. Nello stesso anno ritroviamo  Tallarigo a Napoli dove, nella chiesa di Santo Spirito, il 26 settembre, alla vigilia del plebiscito del 21 ottobre seguente, declamò il famoso Discorso politico seguito da un appello al clero delle Calabrie, dove invitava i sacerdoti dell’ormai ex Regno delle Due Sicilie, i quali molti avevano partecipato entusiasti ai moti del 1848 e di quel fatale 1860, a convincere il popolo a votare si alla annessione al nuovo regno Italiano in quanto secondo Tallarigo l’epopea risorgimentale era stata voluta da Dio servendosi di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi, che con la loro azione politica avevano aiutato anche la Chiesa a riflettere su se stessa per decidersi di spogliarsi del potere temporale, dei privilegi e delle ricchezze terrene, onde finalmente occuparsi esclusivamente della salvezza delle anime, e al contempo di non temere le accuse dei preti reazionari e conservatori che sicuramente avrebbero fatto loro pressione e opposizione.

Dipinto di Nicastro nel 1847 (Museo Diocesano)

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Stanco dei vincoli ecclesiastici, Tallarigo decise di abbandonare il sacerdozio e ben presto sposò Alda Carosio. Trasferitosi a Napoli, insegnò in licei pubblici e privati. Partecipe attivo della vita culturale partenopea, collaborò in veste di redattore capo per i giornali di Francesco Fiorentino Giornale napoletano di lettere e filosofia e Giornale napoletano della domenica. Fu autore di diversi libri, di cui ricordiamo almeno Antologia Greca assieme ad Ardito (1866), e il Compendio della Storia della Letteratura Italiana in tre volumi (1879). Nel 1876 intervenne nella polemica contro la docenza scadente nella scuole private, difendendo la lunga tradizione liberale della docenza privata nella città partenopea. Morì a soli 57 anni il 7 dicembre 1889, le fonti da noi consultate sono in disaccordo in quanto indicano come luogo del decesso sia Napoli, sia Conflenti (CZ).  Esiste una via a suo nome nella natia Motta Santa Lucia (CZ).

M. S.

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