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Catanzaro, al Marca la mostra “Reperti contemporanei” di Antonio Saladino

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Da qualche giorno il Marca ( Museo delle Arti di Catanzaro) ospita nei propri spazi Reperti Contemporanei, mostra personale dell’artista lametino  Antonio Saladino.  L’esposizione, curata da Teodolinda Coltellaro, promossa dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro e dalla Fondazione Rocco Guglielmo, rientra nel ricco programma espositivo del Museo  che pone particolare attenzione ai percorsi di ricerca realizzati in Calabria e alle espressioni creative degli artisti calabresi. Di seguito il testo critico completo della curatrice.

Apparentemente emerse dalle più profonde lontananze temporali, le opere scultoree dell’artista Antonio Saladino, nell’armonia della  disposizione spaziale che declina stratificazioni di senso, si offrono all’analisi interpretativa  della visione. Esse catturano lo sguardo che ne  sfiora la superficie, ne percorre, con moto di lieve carezza, i pieni e i vuoti,  i solchi, le incisioni, le increspature della materia che, nella figurazione plastica, raccontano  l’estensione e la profondità del tempo.

Egli propone, infatti, un’insolita e originale ibridazione concettuale tra arte e archeologia laddove le opere sono oggetti la cui struttura segnica  affonda le proprie matrici generative nella densità  del tempo storico: sono forme che richiamano altre forme,  corpi che  sembrano emersi da strati di  terra e polvere secolare, straordinari e insoliti reperti generati dalla forza immaginativa dell’artista, affiorati  dai  margini rigogliosi del  suo universo creativo. Quelli di Saladino sono reperti senza cronologia, senza storia  che narrano di  storia, che declinano antiche seduzioni suggerendone di nuove  attraverso la propria  unicità di manufatto artistico realizzato nei modi e nei riferimenti linguistici della contemporaneità.

Possono definirsi reperti contemporanei con una stratificazione sedimentaria “a venire” che, nella  sovrapposizione  di  elementi segnici significativi,  riconducono alle tracce della storia  e alla storia della loro genesi creativa, indicando  in ciò stesso la loro leggibilità di opera. Essi  sono straordinari e ingannevoli  nella loro raffinata sintassi scultorea in ceramica. Sono oggetti di un mondo disperso, spesso torsi  mutili, personaggi di una narrazione polifonica che, su più piani, raccontano la storia stessa dell’uomo; riemersi dalla profondità del tempo  così come sarebbero potuti affiorare dagli strati di uno scavo archeologico. L’artista li ha disseppelliti dalle misteriose  profondità del proprio essere, dalle pieghe più riposte del proprio io, dalle modulazioni di se stesso e delle proprie memorie; li ha ripuliti  con cura dalle incrostazioni prodotte dal tempo, ne ha recuperato la partitura essenziale, disposto e ridisposto i segni identificativi secondo un ordine nuovo suggerito dal proprio pensiero ispirato, dispiegando per essi un destino diverso, sottraendoli così al comune destino delle cose e affidandoli al tempo e al destino dell’opera d’arte. In questo processo di reificazione, ha dato ad essi identità formale e forza narrante attraverso uno scavo condotto nella loro stessa materia costitutiva densa di richiami al tempo storico,  giungendo, nella ricerca di una loro verità più alta e sostanziale, fin alle radici del suo mondo immaginativo.

Egli, innescando un processo rigenerativo che ha necessità di forma, ha dato corpo  e sostanzialità di opera alla narrazione dell’eterno vagare dello spirito nella ritessitura di momenti essenziali della sua storia, costruendo una contemporaneità frammentata che è memoria di sé e del mondo. In questa fertile dimensione di archeologia della memoria, in un continuo andare avanti e indietro nella sua stratificazione di preziose essenze temporali, in un fluttuante e libero gioco associativo, Saladino coglie e attualizza di volta in volta un frammento, un ricordo, un elemento figurale facendolo rinascere ad una nuova categoria di oggetti, sospesi tra echi e suggestioni del passato e racconto dell’arte.

Così, dallo specchio della storia, in cui s’agita un vorticare d’immagini, dalla sua profondità che moltiplica e produce virtualità, e dalla teatralità discreta della memoria, giunge ad una fusione, per certi versi storiografica,  un insieme variegato di elementi linguistici e, in essi, nasce al tempo dell’arte la singola opera di Saladino di cui esplorare l’elegante essenzialità delle forme,la preziosità del modellato. Sono opere che rivelano, nella  loro fisicità di immagini impastate di storia, la  raffinata elaborazione creativa che le ha generate, l’azione e il gesto plastico dell’artista che, per passaggi successivi, ha operato e plasmato la materia, quell’argilla morbida, duttile, sensibile, che  è materia originaria, esistenziale, gravida di forme riepilogative di un discorso sulla memoria del tempo e sulla  sostanzialità dell’arte.

Scorrono, una dopo l’altra, davanti agli occhi, in un vorticare analitico che è circolarità visiva, dinamico alternarsi di  punti di osservazione, di indagine conoscitiva del singolo oggetto. S’origina così  nello sguardo un  avvolgente processo di sinestesia, un porgere ascolto al loro ritmo interno, alle vibrazioni evocative che sostanziano la loro stessa evidenza d’immagine, in un continuo gioco di rimandi  di significati e di  senso.

Animati da una sottile tensione generativa, i Contenitori  di Saladino sono opere che esaltano  certi tratti distintivi e talune soluzioni della scultura;  opere che ammaliano il tempo e del tempo accettano la sfida ridisponendone i segni, attraversandone la storicità, rigenerandola nella propria evidenza formale. Esse sollecitano la curiosità della scoperta e predispongono  alla sorpresa, al racconto stupito.

 Nella diversità di forme, i Contenitori rimandano vagamente  alle urne cinerarie e, al pari di esse, emanano un’aura di sacralità  generata da quel loro porsi come nascondimento protettivo e germe di salvezza. Curati e impreziositi nei valori formali e cromatici, sono realizzati  con lo scopo di emozionare, di provocare la sensazione dell’improvviso e imprevisto ritrovamento. Infatti, il fruitore che ne esplora la forma rapito dalla sua struttura, dalla sua estrema ricercatezza, mosso dalle stesse sensazioni dell’archeologo che col suo scavo scopre tesori nascosti e li porta alla luce, ne solleva il coperchio per scoprire il segreto celato all’interno, per conoscere l’identità misteriosa del contenuto. Così, ogni contenitore porge allo stupore degli occhi la sua unicità, svelando le  storie, i paesaggi interiori, i vissuti  dell’artista custoditi in esso, evidenziandone i suoi  itinerari immaginativi, il  suo profondo sentire.  In ognuno di essi, si apre alla visione un universo: il  mare e il mito della nascita dalle sue acque (“Venus”), la terra che dà rifugio al  cielo (“Demetra”), le tracce remote delle divinità (“La casa degli dei”),  l’incontro dell’umano col divino (“Apollo”)  sullo sfondo della pura luce degli antichi miti che irradiano di sé un presente oscillante tra passato e futuro (“Memorie del futuro”) per cui l’arte si fa discorso sulla temporalità della sua sostanza .

Le opere della serie “ Portatori” recano doni in una  società in  cui si è perso anche il valore  tenero e raro del  donare; doni attraverso cui ricostruire il valore simbolico e concettuale dell’arte, la sua valenza sociale, ma anche la drammaturgia immaginativa dell’atto creativo.   Incogniti Portatori e Portatrici rinnovano suggestioni di  antichi  temi, in un  riverbero di specchi; sono corpi senza capo, senza volto, senza identità, indifferenti reperti disposti in una ritmica distribuzione spaziale: simili ad accenti armonici di una partitura corale, essi raccontano di sé, in forma sempre nuova, nel  libero fluire del canto. Il “Portatore di nuvole” reca in dono la  delicata lievità  delle nuvole, metafora dell’artista e del suo lavoro: alla stregua delle nuvole, anche lui è portatore di leggerezza, condensata nella mobile e vitale essenza del pensiero creativo; la“Portatrice di luce”, porta in dono la purezza e l’intensità della luce, nella consapevolezza  che ogni essere umano rappresenti la sintesi dei misteri del cosmo e in sé racchiuda  frammenti luminosi di cielo;

il “Portatore di angeli”, in cui permane l’essenza del donare, si fa benefico “deposito” di creature celesti,  destinate a chiunque voglia percorrere le vie del sacro riconoscendole nell’essenzialità dei loro attributi divini: sono angeli distribuiti in apposite  nicchie create nel suo corpo scultoreo, simbolici frammenti del suo stesso corpo che partecipano dell’umano e del divino della sua natura, riconciliando lo spirito con la materia; il “Portatore di scarti” assume  in sé il senso di  inquietudine che avvolge ciò che resta, la sospesa poesia degli avanzi di lavorazione cui  l’artista ridà valore e  dignità  d’esistenza  con il loro riutilizzo. Essi rimandano alle dinamiche del vivere sociale e traducono un‘indicazione etica basilare: anche i più fragili, i più deboli, ancorché respinti ai margini, possono diventare elementi indispensabili per la  costruzione di una società più equilibrata e armonica e, per conseguenza, giusta. D’altronde, con l’opera “Vanitas”, l’artista ammonisce sull’inutilità delle umane ambizioni, sottolineando la labilità e la precarietà dell’esistenza sottoposta alle inderogabili leggi del tempo, alla sua  continua dispersione.

La vocazione  di Saladino all’analisi sociale nonché a considerare l’arte non disgiunta da una sua funzione pedagogica, si  legge anche nel “Polittico del pensiero fluttuante”, in cui  tutte le dimensioni mutevoli del pensiero  rivelano la complessità, l’enigmaticità, la fragilità dell’essere umano, inquieto del proprio destino. In quest’opera il pensiero creativo si espande e si dirama in molteplici direzioni, dispiegando di volta in volta  la varietà delle sue componenti: ludica, ironica, spirituale, introspettiva, sociale .

L’attenzione alle condizioni, ai drammi degli ultimi, fa da contraltare alla dimensione spirituale, di  elevazione dalla cruda materialità delle cose, dalla deriva valoriale dei tempi. La struttura figurale delle singole  parti  costitutive dell’opera riconduce all’alfabeto segnico, alla marca stilistica di Saladino, alla sua reiterata riproposizione di segni iconici, di riferimenti simbolici e concettuali che ne contrappuntano il divenire, per cui ogni singolo elemento  del polittico è una feconda distesa di memoria storica e frammenti di vissuto, di richiami  linguistici al tempo attuale, di ricercata  esecuzione, ben sapendo che si giunge all’etica attraverso l’estetica e che l’arte non può essere considerata “materia inerte del processo storico” né “fattore secondario dell’universo spirituale”. Con il “Custode di tavolette”, un’opera per certi versi paradigmatica, l’artista indica la via interpretativa primaria del suo lavoro: preservare la memoria, contrastare la peribilità delle cose, ridefinire i segni del tempo e della storia, collegando la storia delle cose alla sua stessa ispirazione creatrice.

Così incide su tavolette di argilla segni e  significati, appunti sparsi  di scrittura che  portano in sé il senso della sua stessa esistenza ( è l’artista, in fondo, il “custode di tavolette”) e, nella materialità della forma plastica, perpetuano la memoria del tempo. L’opera,  nell’articolazione  di  spazi  vuoti ricavati nel suo corpo, accoglie gli umili riquadri di terracotta, diventando in ciò stesso archivio dei pensieri dell’artista, della sua  ricerca, dei  suoi motivi evolutivi, fissati nella durata temporale della materia. Per ciò stesso, ogni  lavoro creativo di Saladino è  anche  reperto futuro, poiché il tempo dell’opera, nella rigogliosa pienezza del presente, inevitabilmente, oltre al movimento rammemorativo all’indietro verso l’origine, prospetta un salto in avanti verso l’ infinito del tempo a  venire .

E ancora  s’aggira lo sguardo, muovendo di opera in opera, tra  distillati di pensieri creativi e di memorie, degrada morbido sulle superfici sfiorandone i risalti e le profondità, scoprendo la sotterranea nostalgia di un tempo  originario, il suo ininterrotto fluire che apre alla magica ritualità  delle forme, alle loro alchimie a margine dell’oscurità, per  raccontare di nuovo quell’affiorare alla luce e, insieme, le tracce essenziali di un cammino creativo. La mostra sarà aperta al pubblico fino al 19 gennaio prossimo.

Teodolinda Coltellaro

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