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Cercando Jolanda, la vita umana ed artistica di Dalida

3 min di lettura
Cercando Jolanda - Titti Preta

Cercando Jolanda

La turbolenta vita umana e artistica di Jolanda Cristina Gigliotti, in arte Dalida, è stata raccontata nel saggio romanzato Cercando Jolanda di Titti Preta presentato nel corso di un incontro, organizzato dall’Uniter, presieduta da Italo Leone, a trent’anni dalla sua scomparsa.

Cercando Jolanda - Titti Preta
Cercando Jolanda

«Che strano destino, quello di Dalida, una delle poche dive internazionali della canzone ricordata in Italia, quando qualcuno la ricorda, per il suicidio di Luigi Tenco a Sanremo (1967) e per la vittoria al varietà “Partitissima” con Dan Dan Dan» ha commentato l’autrice dopo essere stata introdotta rapidamente dalla vicepresidente dell’Uniter Costanza Falvo D’Urso e dalla blogger Ippolita Luzzo.
L’opera vuole essere un tributo ad un’icona della musica mondiale che ha dato lustro alla Calabria, ma soprattutto mira a tracciare un profilo di donna, colta nelle sue zone di luci ed ombre e a farla conoscere ai giovani come un’artista innovativa, anticonvenzionale e all’avanguardia.
Iolanda Gigliotti era nata da una umile famiglia originaria di Serrastretta (Catanzaro) trasferitasi a Choubrah, un modesto sobborgo de Il Cairo dove vivera una comunità di emigrati calabresi.
Cristallizzata in un’immagine senza tempo, Dalida risplende ancora oggi nel suo fascino assurgendo ad intramontabile eroina dopo la sua immatura scomparsa, avvenuta per suicidio il 3 maggio 1987.
Giunta a Parigi a soli 21 anni, la cantante dalla tipica bellezza latina, tenta l’ascesa nel mondo del cinema ma, scoperta per la sua voce calda e toccante, riesce ad affermarsi nel mondo canoro regnando sovrana, per trent’anni, nel panorama della musica internazionale fino a diventare un mito.
Intorno a lei si muove un giro di affari miliardario con la vendita, dal 1955 al 2004, di più di 125 milioni di dischi premiati da oltre settanta dischi d’oro in sette lingue, due dischi di platino e quello di diamante.
Cocciuta, come una meridionale del Sud Italia, non conosce limite alla fatica impegnandosi almeno 15 ore al giorno per tradurre le sue canzoni in ben 11 lingue, da lei conosciute, (italiano, francese, egiziano, tedesco, spagnolo, inglese, fiammingo, ebraico, greco, giapponese e libanese) e per dare vita alle tante metamorfosi fisiche ed artistiche, pur mantenendo l’identico sguardo perso e languido, l’immagine di una bella ragazza dall’incredibile massa di capelli e dallo sguardo affascinante. Il successo è così strepitoso che il Presidente della Repubblica francese Charles De Gaulle le conferisce un riconoscimento diventando la prima donna degna di tanta attenzione.
Ma l’onnipotenza e l’apparente apoteosi non si coniugano con i drammi privati causati da un susseguirsi di occasioni sbagliate o mancate, da amori tragici (il primo marito Lucien Morisse si suicida così come Luigi Tenco) o impossibili nei cui risvolti si insinua quel “mal di vivere” che decreterà la fine immatura della grande star, afflitta da un terribile conflitto tra la vita pubblica e quella privata, fra la donna e l’artista, fra Jolanda e Dalida.
Ad arricchire le varie fasi del racconto biografico ed artistico di Dalida un grande schermo sul quale scorrevano le bellissime immagini di Dalida mentre danzava e cantava le canzoni che l’hanno resa celebre come Bambino, Besame mucho, Je suis malade, Gli zingari o mentre si esibiva con Alain Delon, il divo per eccellenza, in Paroles, Paroles, lui voce narrata, lei voce cantata.
Un perfetto binomio di due stelle che rinnovano il successo sull’onda di quello italiano già ottenuto da Mina ed Alberto Lupo.

Lina Latelli Nucifero

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