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«Cumu cadu, cad’all’allìarta!»

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«Cumu cadu, cad’all’allìarta!»

«Comunque io cada, cadrò all’in piedi»: lo dice solitamente la persona che si sente assai sicura di sé

Perché ha tutto ciò di cui aver bisogno e che, quindi, ritiene di poter fronteggiare qualsiasi evenienza ma, più frequentemente, lo afferma chi ha troppo poco e che, perciò, non ha nulla da perdere o da guadagnare, al di là di come possano andare le cose.

Illuminante, a tal riguardo, è la sentenza latina medievale «qui iacet in terra, non habet unde cadat» («chi è in terra non ha donde cadere»). Il nostro modo di dire, più verosimilmente, trae origine dalla straordinaria agilità dei gatti, i quali, in caso di caduta, anche da altezze molto elevate, riescono ad atterrare sulle zampe senza farsi del male. Fin qui ci muoviamo sul piano semantico del proverbio. Più volte, invece, mi sono chiesto quale potesse essere la ragione a giustificare questa locuzione a cinque elementi.

Il discorso, tecnicamente parlando, si fa più propriamente linguistico e sintattico. Del dantesco «e caddi come corpo morto cade» ricorda solo la struttura bisillabica, eccezion fatta per la parte finale del nostro adagio. Nel tema, ovviamente, ne costituisce il suo rovesciamento.  Per quanto mi concerne, ravviso nella composizione polirematica un evidente lessico militare, partendo dal grido o esortazione di controllo delle sentinelle fra loro «all’érta» (o «allérta»): il doppione della preposizione articolata «all’all’erta» è diventato, successivamente, «all’all’iarta». Il latino «erĭgĕre», presente nel radicale della vigilanza, dà l’ulteriore senso di «reggersi» di fronte ad uno stato d’allarme, malgrado le difficoltà del caso, note a tutti gli uomini d’ogni tempo: «son sì stanco, e ’l sentier m’è troppo erto» (Petrarca). Oltre a ciò qualche altra osservazione.

Se dovessi appaiare la risposta di resilienza di questo nostro aforisma, penserei a quello siculo, canta-poetato da Franco Battiato, «calati juncu ca passa la china» («chinati giunco finché passa la piena»).

Perché? C’è un intimo parallelismo tra una pianta molto flessibile e la saggezza di chi riconosce che alle volte le situazioni peggiori, piuttosto che contrastarle, dovrebbero semplicemente essere accolte. Meglio far scaricare il duolo: talvolta opporre resistenza può significare spezzarsi davanti alla forza devastante di una piena.

Uno juncus articulatus ci ricorda il livello di guardia, come per le file di un esercito, ritornando alla base di partenza, da cui ha avuto origine tutta questa mia postilla paremiologica. Persino Dante nel proemio del Purgatorio fa incetta di quest’ammonimento: il giunco è l’unica pianta che può vivere sull’orlo della spiaggia in quanto si piega alle percosse delle onde, così come l’anima ricolma di umiltà si genuflette per “subire le pene espiatorie” (Scartazzini-Vandelli).

Quanto emerge, indipendentemente dal processo di maturazione spirituale, è il coraggio dignitoso di non soggiacere: lo sanno bene i nostri concittadini da “soldati in prima linea” di generazione in generazione.

Ogni famiglia vanta i suoi eroi, e non sono pochissimi ad essere caduti all’in piedi per il nostro meglio: il male sempre alle spalle ed il bene? Stampato sulla fronte e sul fronte di ogni battaglia per la vita…

Prof. Francesco Polopoli

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