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Entro fine ottobre tasso di disoccupazione in Italia fino al 33%

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operaia lavoro

“E’ allarme lavoro” afferma Federcontribuenti


Comunicato stampa

Se ne sono ”quasi” accorti anche quelli del Corriere della Sera che l’Italia sta andando dritta verso lo sfacelo totale: ”Il tasso di disoccupazione reale nel nostro Paese è al 22%, inserendo nel conto i quasi tre milioni di lavoratori scoraggiati accanto ai 2,5 milioni persone oggi ufficialmente alla ricerca di un posto.

E se si aggiungono anche i cassaintegrati stabili la quota di persone in Italia che non riescono a lavorare, pur volendolo, sale a oltre il 25%”. Federcontribuenti: ”se ai disoccupati aggiungiamo gli inoccupati e i congelati dal blocco licenziamenti fra pochi mesi il tasso di disoccupazione in Italia sfonderà quota 30%”.

Scrive il Corriere: ”In sostanza oggi nel Paese una persona su quattro si trova esclusa suo malgrado dagli uffici, dai negozi, dagli alberghi o dalle fabbriche dove si produce reddito e ci si guadagna da vivere. Un quarto del mondo del lavoro italiano è paralizzato o destabilizzato. Per mantenere un grado accettabile di stabilità sociale, il prezzo pagato è stato un rapido aumento del debito del 25% del prodotto lordo.

Ma la manovra per portare milioni di imprese fuori dal sonno profondo indotto dalla tutela di Stato sui loro debiti deve ancora iniziare. La strada della ripresa resta lunga. E piena di trappole”.

Questa disamina giusta però non tiene conto di tutti gli altri fattori che porteranno il tasso di disoccupazione a livelli record in Italia: Marco Paccagnella di Federcontribuenti: ”a fine giugno il velo del blocco dei licenziamenti cadrà per le grandi aziende con un rischio calcolato – grande azienda grandi commesse grandi ammortizzatori – sarà a fine ottobre, quando scadrà il blocco per le PMI, che ci troveremo una valanga di nuovi disoccupati, almeno 400 mila e Orlando bene farebbe, invece di studiare con il resto dei colleghi misure di sussistenza, a salvare questi lavoratori riducendo del 80% il costo del lavoro sulle spalle del datore, (esempio: busta paga lorda di 2.077 euro, al netto diventa 1.428 euro con una trattenuta pari a 745 euro; il datore di lavoro su ogni busta paga versa con f24 965 euro tra INPS e ritenuta alla fonte. Su ogni busta paga l’Erario preleva circa 1,700 euro variando di poco di mese in mese dall’operaio e dal datore di lavoro. Vi sembra normale?)”.

Il licenziamento diventa necessario quando il dipendente diventa un costo insostenibile non tanto in termini di stipendio, ma di tasse.

Così si arriva a calcolare che entro fine autunno il tasso di disoccupazione in Italia sarà oltre il 33%, contro una media europea del 12.5%.

Non dimentichiamo gli inattivi, invisibili e dimenticati: ”i cosiddetti Neet, che per i giovani arriverebbe al 40%, tra gli inattivi ci sono soprattutto i lavoratori a nero. Inutile ribadire che la Forza di un Paese si misura dal suo tasso di occupazione: ”l’occupazione genera benessere su tutto il circuito economico di un Paese: buone pensioni, equi incassi per l’Erario e quindi welfare, sanità, istruzione. Per ora, rispetto a maggio 2020, il numero dei poveri è raddoppiato pur tutte le misure di contrasto o di sussistenza, segno che avevamo e abbiamo ragione nel rivendicare lo stop di tutti questi bonus e soldi dati a pioggia inutilmente”.

Troppi paradossi per essere ottimisti.

”Un dipendente costa troppo per una PMI che fatica con lo stare al passo con tutte le spese fiscali che subisce, stranamente un operaio costa meno ad una grande azienda, perchè? Rispetto alla platea dei pensionati abbiamo troppi pochi occupati quanto reggerà ancora l’INPS chiamata anche a dispensare bonus e ammortizzatori sociali? Tutti questi disoccupati non concorreranno con un solo euro alle spese dello Stato, che viceversa dovrà mantenerli. La prima misura da intraprendere prima dello sblocco dei licenziamenti è abbattere i costi del lavoro per il datore di lavoro; regalare un anno di fisco bianco alle aziende piccole ma in regola; eliminare il RDC per coloro che sono in età e in salute per lavorare e mettere in funzione i benedetti centri per l’impiego”.

Che fine ha fatto la riforma per i centri per l’impiego? Come eravamo messi e come stiamo ora?

” I dati Eurostat dicono che nel nostro paese, su 30 miliardi spesi all’anno per le politiche del lavoro, 22,3 vadano alle politiche passive (sussidi disoccupati e cassintegrati), circa 7 a quelle attive (compresi gli incentivi all’assunzione) e appena 700 milioni ai servizi per l’impiego: circa 200 euro per disoccupato, in Germania ne investono 6 mila, in Olanda 3mila e in Francia 1.800”.

La disoccupazione scoppierà in ogni caso e l’urgenza è affrontarla oggi.

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