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Fatti, non parole: pensieri che vengono da lontano

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Fatti, non parole: pensieri che vengono da lontano

Fatti, non parole: pensieri che vengono da lontano

Facta, non verba, è alla latina: più colorita, invece, è l’espressione di Petronio, factum, non fabula, cioè ‹‹è un fatto reale, non una storiella!››.

Vari proverbi moderni sono imparentati col medievale Verbum laudatur, si tale factum sequatur ‹‹le parole vengono lodate, se sono seguite dai fatti››: si vedano ad es. il nostro Detto senza fatto ad ognun pare misfatto, l’inglese Words and no deeds are rushes and reed e il tedesco Ohne Tat der blosse Nam’ steht mit schlechte Lob beisam. ù

Esiste poi un repertorio parallelo che afferma che chi parla molto realizza poco, che ha un precedente nel motto medievale Mare verborum gutta rerum ‹‹mare di parole, goccia di fatti››: nel francese e nell’inglese è registrato il corrispettivo del nostro Lunga lingua, corta mano, mentre varianti vanno considerate lo spagnolo Antes de la hora gran denuedo, venidos al punto venidos al miedo, e il tedesco Viel Maulwerk, wenig Herz.

Ora, alla luce di ciò, la politica dovrebbe accogliere questa splendida tradizione, per farne discernimento: i mis-fatti reiterati la ridurrebbero a pessima favoletta, azzarderei!

Il latino, nel filo d’oro di idee comuni, sorpassa steccati, perché pan-mediterraneo: basta una scorsa di espressioni simili per suffragare la potenza della sua coesione; è matrice cui tutto fa riferimento, senza distinzione di confini, perché quelli sono solo frutto di convenzione.

E lo stesso vale per il greco con la sua scuola dell’Ellade. A proposito, mi sovviene in mente un pezzo di epica in questo momento, che mi va di riportare per intero con traduzione:

Νὺξ μὲν ἔπειτ’ ἐπὶ γαῖαν ἄγεν κνέφας, οἱ δ’ ἐνὶ πόντῳ

ναυτίλοι εἰς Ἑλίκην τε καὶ ἀστέρας Ὠρίωνος

ἔδρακον ἐκ νηῶν, ὕπνοιο δὲ καί τις ὁδίτης

ἤδη καὶ πυλαωρὸς ἐέλδετο, καί τινα παίδων

μητέρα τεθνεώτων ἀδινὸν περὶ κῶμ’ ἐκάλυπτεν,

οὐδὲ κυνῶν ὑλακὴ ἔτ’ ἀνὰ πτόλιν, οὐ θρόος ἦεν

ἠχήεις, σιγὴ δὲ μελαινομένην ἔχεν ὄρφνην.

“Intanto la notte avvolgeva di tenebre la terra: sul mare, dalle loro navi, i marinai guardavano l’Orsa e le stelle di Orione; il viandante e il guardiano erano ormai bramosi di sonno; anche la madre che aveva perduto i suoi figli era immersa in un profondo sopore; non un latrato di cani, non il più lieve rumore si udiva per la città; il silenzio dominava le tenebre notturne”.

(Apollonio Rodio III, v. 744; tr. A. Ardizzoni)

Non nascondo che il pensiero, a lettura del brano, corre ai nostri migranti, è più forte di me: sono versi che mi gridano al presente, non ci posso fare niente.

Ed è tragico  pensare come il Mare Nostrum, luogo privilegiato del nostos omerico, stia diventando sempre più un Monstrum con tanti Moby Dick per ognuna delle nostre euroNazioni: un tempo collocavo il folle volo odissiaco oltre le Colonne d’Ercole mentre oggi è proprio nel cuore della civiltà che mi sembra  di essere precipitati così in basso.

Io credo che ogni terra sia un pezzo d’Europa, ma la Comunità è in comunione, solo se ha cuore cose in comune.

Non c’è lo straniero che viene da lontano…finiamola!

Come dice una canzone dei Crifiu: Figlio del mare che è in mezzo alle terre / figlio di terre abbracciate dal mare / le unisce la storia, la tradizione / cultura, memoria, musica e parole.

Prof. Francesco Polopoli

 

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