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Fiorin Fiorella, una favola bella!

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Fiorin Fiorella,una favola bella!

Quanto mi accingo a presentare è una fiabetta, di cui ho modo di garantire persino la maternità di produzione, a firma d’autrice: una certa Maria Palermo, matrona calabrese

Fiorella era l’unica figliuola di un Re della nostra terra bruzia: benché coccolata da tutto l’ambiente di corte, mostrava visibile, sui lineamenti del volto, la sventura che si era abbattuta sulla sua infanzia.

La perdita della madre la seguiva ovunque, adombrandole ogni momento di spensieratezza: una tenerezza malinconica rendeva quotidianamente presente un’assenza inespugnabile, mi permetto di dire!

Il padre decise, a quel punto, di portarsi dentro una donna capace di carezze per sopperire a tale carenza: una regina di un regno viciniore gli sembrò il partito migliore, anche a rispetto del suo rango nobiliare. Leona, questo era il suo nome, aveva una figlia, nota a tanti per la sua bruttezza: Trotrona, così era registrata all’anagrafe, s’imbruttiva e s’imbrutiva di più tutte le volte in cui incrociava una sua pari con cui era dispari, dissimile, cioè, per beltà.

Il guaio è che le due divennero in poco tempo sorellastre per un matrimonio lampo a stretto giro di posta e posti. La matrigna, da subito, non mostrò alcuna simpatia nei confronti della figliastra, specialmente quando si ritrovò file di principini fare il filo per lei.

«E cchi ffhu! A fìggliama ’un la vidi nissunu!? A chi tantu e a chi nenti!? Cciù lisciu iu ’u pilu, moni!»: l’invidia, perciò, non tardò a sopraggiungere.

Se ne sbarazzò, confinandola in un tugurio del Reame, mentre a quanti chiedevano di lei, rispose che si trovava nel primo piano della Torre, di poco distante dalla residenza regale. Il principe Roberto, di lei innamorato, pensò di raggiungerla, in sella al suo destriero dai piè veloci: temendo un suo rifiuto, in pieno silenzio, sfilò l’anello dal suo dito, facendolo tintinnare nella bocca aperta di quella Rocca fatiscente.

Dopo di che galoppò ad oriente, asciutte le lacrime, al contatto col vento, per chiedere aiuto al mago Vespero che, in più occasioni, si era a lui dimostrato venerando consigliere di bene.

«’Un ti priuccupari cà ta fhazzu viniri ccàdi, ’un ciangìri cchjiù, moni, ha capitu!?»: ecco quanto gli disse per tranquillizzarlo, appena ebbe modo di consolarlo.

Eccolo preparare una pozione ed in men che si dica accanto al giovinetto si vide affiancata una presenza femminile: Trotrona, però, per sbaglio, che sventura!

«E a chillu cci càtti ’nu trùanu!». C’era da immaginarselo! La frittata era fatta: rimandarla indietro, significava averla disonorata, essendo rimasto a lungo con lei.

«Fammi diventari ’n aggìallu, cumu mi pìardu, armenu, ariu ariu»: gli propose quel bel rampollo a soluzione provvisoria. E così fu. In mezzo agli spari dei cacciatori, tuttavia, fece dietrofront e, col cuore contrito, acconsentì a sposarla, anziché morire sotto le schioppettate di un reboante fucile. Trotrona, per converso, era al settimo cielo (il consorte, invece, tutt’altro, con l’animo sottoterra).

Ad assisterla come weddind day coordinator una maga di fiducia: allora si usava così, ognuno aveva il suo! Per noi popolani, al contrario, sono valsi i detti giaculatori delle nonne, tra rituali sacri e «vurzille» preparate per tutte le occasioni. In tutto questo, Fiorella, liberata per il lieto evento, fu colta da improvvisa meraviglia a partecipazione ricevuta: non si dispiacque più di tanto; in tutti i modi, aveva intenzione di dirgliene quattro a quel gran bellimbusto.

«No, cci l’aju ’ntinnari, ’un puazzu stari, sinnò!»: disse tra sé e sé, diretta ad affrontarlo a quattr’occhi. Portò dietro dei braccialetti, una collana ed un piatto dorato, tutti intarsiati di pietre preziose, come dono d’invitata: rimase sbigottita, quando si ritrovò Roberto pienamente nciutatu di l’oppio che gli facevano assumere, per stare in compagnia con quella Ranocchia con cui avrebbe, di lì a poco, condiviso il talamo tutte le notti.

«Ohi cumu ti ridducìsti, speru tua, e ’un cci pua diri di no!?»: si risolse a dire, mentre Trotrona si dirigeva minacciosa verso di loro. «Guardie, lighiriativìlla tutta, sta brutta!»: fu il suo ordine perentorio.

Detto, fatto. Fu vista in aria come in un set da pallavolo: non era Mimì, né tantomeno una sua controfigura, ma un manga dalla faccia di un Super Santos! In mezzo a questa baldoria, lo sposo, seppur imbambolato, prese in moglie la persona giusta, per sua fortuna!

Oggi tutto il cielo è in festa
Più ridente brilla il sole
E non so perché vedo intorno a me
Tutte rose e viole

Il mio cuore è innamorato
Non lo posso più frenare
Io non so cos’è
C’è qualcosa in me che mi fa cantare

Fiorin, Fiorella
L’amore è bello vicino a te
Mi fa sognare, mi fa tremare
Chissà perché…

E noi chiudiamo cantando sulle note di Carlo Buti, accompagnandoli col classico “vissero felici e contenti”.

PS: la riscrittura, malgrado sia personalizzata, segue la fiaba originaria, ci tengo a precisarlo. Solo l’inventiva è mia, ma non è un testo d’invenzione, ve lo assicuro!

A Lucia Maria Mercuri, il cui spirito critico, tra i banchi di una felice Commissione d’esame, ha sollecitato una corrispondenza di idee capace, nel tempo, di fecondare una bella amicizia. Grazie…

Prof. Francesco Polopoli

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