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Il gioco del “tocco”: l’anima latina nei giochi di quartiere

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gioco del tocco-LameziaTermeit

Questa piccola rievocazione nel suo significato “vigiliare” medita su un ricordo ludico, svegliando, se può, il valore della memoria.

Solo così, come per tante altre cose, ci si può immettere nel tempo in direzione del futuro.

[Le origini vengono fatte risalire addirittura ai tempi dell’antica Roma (un suo tracciato è ancor oggi visibile, per inciso, sul lastricato del Foro Romano), quando veniva praticato con il nome di “ludus claudi”, cioè dello zoppo, con evidente riferimento alla regola di saltabeccare da una parte all’altra sulle punte di una sola gamba].

Cominciamo…

Per giocare occorreva avere a disposizione una modesta estensione di terreno su cui tracciare il percorso: sui marciapiedi, sull’asfalto stradale o su altre superfici lisce non era difficile costruirselo con dei gessetti colorati, funzionava così, con metodi casarecci, in tutta semplicità! Oggi da noi è in disuso, in altre aree del mondo più vivo che mai!

Eccolo qui in tutte le lingue dell’ecumene o quasi: Amarelinha in Brasile, macaca in Portogallo, avión in Bolivia, a Panama e in alcuni iberici, avión, avioncito, pata coja, pisé, pisado o rayuela in Venezuela, avión, bebeleche, chácara, coja-raya, pelanche, rayuela o saltacojitos in Messico, avión, golosa, peregrina, rayuela o tángara in Colombia, avión o mundo in Perù, cò cò in Vietnam, dama in Bulgaria, eixarranca, nonet, palet, rayuela, sambori, setmana, xinga o xarranca in Spagna, hickelkasten, Himmel und Hölle, Hüpfspiel, Paradiesspiel o Tempelhüpfen in Germania, hinkelbaan nei Paesi Bassi, hinkerude o Paradis in Danimarca, hoppa hage in Svezia, hopscotch negli Stati Uniti, kenkenpa in Giappone, ketengteng o ting-ting in Malaysia, klasy in Polonia, klassiki in Russia, luche in Cile, marelle o palet in Francia, nebe, peklo, ráj o skákání panáka nella Repubblica Ceca, peregrina in El Salvador, ristanc in Slovenia, sharita in Marocco, pincaro o pincareddu o ancora “pampana” in Sardegna, pon a Cuba, rayuela in Argentina, Nicaragua, Uruguay, seksek in Turchia, sotron in Romania, ugróiskola in Ungheria, trúcamelo nella Repubblica Dominicana, ley ley (لی لی) in Iran, 跳房子 (tiao fang zi) in Cina, 땅따먹기 (Ttang ttamukki) in Corea.

Tutto ciò me ne fa parlare al presente, perché il villaggio globale mi induce a coniugarlo ancora a questo tempo. Procediamo con ordine, allora…dopo questa breve prolusione geografica.

Il principio fondamentale è quello di saltare da una sezione all’altra seguendo l’ordine di successione dall’1 in su per arrivare alla meta e poi di nuovo in giù per tornare al punto di partenza. In linea di massima, quando si deve girare, si preferisce il senso antiorario. La regola prevede che si ballonzoli su una gamba sola e che si adoperi un sasso piatto. All’inizio, stando fuori dal tracciato, si tira un sassolino nella casella di partenza, che deve atterrare all’interno di essa, senza toccare nessuna linea o uscirne fuori. Il giocatore quindi saltella su un solo piede lungo tutto il “disegno ingessato”, ma senza mai entrare nel riquadro in cui è presente il suo ciottolino.

Le caselle possono essere toccate solo con un piede, ma i blocchi di due cellette affiancate consentono di appoggiarli contemporaneamente tutte e due insieme. Raggiunta l’area finale il giocatore può fermarsi per poi voltarsi, effettuando mezzo giro, e rifare il percorso a ritroso fino a raccogliere il proprio sassolino, senza perdere l’equilibrio. Dopo aver completato con successo il tragitto di andata e ritorno, il giocatore lancia la sua pietra nello spazio di numerazione successiva e così via.

Vince chi per primo visita con il proprio contrassegno tutti gli scomparti, completando ogni volta questo andirivieni da sud a nord e viceversa (che dalle nostre parti fosse viva la questione del Mezzogiorno è un fatto acclarato: la produzione alvariana ne è anche testimone, per darne una veste letteraria. Forse che, sotto mentite spoglie, il gioco potesse retrocomunicare il fenomeno dell’emigrazione, noto a tanti flussi anagrafici in quelle che continuano ad essere le aree più emarginate del Paese? Un dubbio amletico che mi continua a lasciare sotto scacco, non lo nascondo!).

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Il gioco in un dipinto di fine Ottocento del pittore francese Théophile Emmanuel Duverger.

Oggi, ahimè, i giovanissimi vivono sempre meno il quartiere: I ragazzi della via Pàl, come ci chiamavamo tempo fa, dando anima ai nostri vichi, era il romanzo cittadino della nostra infanzia. Le nostre strade erano i nostri pezzi di cuore: ora capisco la nostalgia di chi, rientrando da fuori, ne assapora le emozioni, incrociandole. Magari, in futuro, si potrebbe pensare di istituire la Memoria ludica delle nostre tradizioni, scegliendo delle piazze aperte ed al sicuro (piazza 5 dicembre in quel di Sambiase, potrebbe andar bene, per esempio), in concomitanza con la giornata dell’Infanzia, su cui tanto si sono battute le Nazioni unite circa trenta anni fa. Sarebbe un passo in avanti e all’indietro, secondo me: la salvaguardia della fascia anagrafica più bassa alla luce della Storia tutta. Come a dire, i Nani sulle spalle dei Giganti, per citare una massima filosofica: proprio così!

Prof. Francesco Polopoli

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