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La grotta delle fate: la leggenda di Zangarona

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Il borgo di origine arbereshe di Zangarona, nel lametino, è intriso di racconti che narrano di un luogo immerso nella natura ricco di magìa.

Pochi sanno che non molto distante dal centro storico di Nicastro, oggi Lamezia Terme, tra le ripide stradine che preannunciano la vicina zona montuosa e gli affioramenti rocciosi di verde Calabria e marmo nero, è adagiato un piccolo borghetto dalle origini antichissime Zangarona.

In seguito alle persecuzioni ottomane dalla vicina Albania, alla fine del 1400, intere popolazioni partirono decidendo di stabilirsi soprattutto in territorio calabro fondando diversi centri abitativi, tra cui Zangarona.

Anche il massimo storico della Calabria seicentesca, padre Giovanni Fiore, nella sua principale opera Della Calabria illustrata, riferisce degli importanti affioramenti marmorei ivi presenti, così dicendo:

«Villaggio del quale Marafiòti, non fa altra menzione, se non che di chiamarlo Zangarona, e che parlano Albanesi nel medesimo Territorio di Nicastro, ed Io soggiongo, che ancora quando vogliono parlano bene la lingua Italiana. È di mediocre popolazione da 100 fuochi, è stimabile per il marmo verde mischio che si truova alle sue falde, qual serve per abbellirr gl’edifici della città di Nicastro, al di cui stato va unita, sotto il dominio de’ Principi di Castiglione».

Passeggiando, di fatti, tra i boschi del paesino, non è difficile imbattersi in cave sparse qua e là in cui, in alcuni casi, restano ancora sbozzati i rocchi che nei secoli passati sarebbero potuti servire per le decorazioni architettoniche degli edifici ecclesiastici e civili della vicinissima Nicastro.

Negli stessi boschi, per giunta, aleggia l’eco di un mito lontano: quello delle Fate delle Grutte.

Proprio in una delle cave di marmo nero, lo stesso marmo usato per la realizzazione dell’altare maggiore e di una nicchia della Chiesa Arcipretale Maria SS. delle Grazie, vivevano delle fate assai benevole. Le magiche creature erano famose per aver portato ricchezza a chi si era dimostrato buono con loro e per questo erano fortemente stimate.

Le fate – illustrazione

Stranamente le fate non avevano timore di essere viste dai comuni mortali, anzi, era loro abitudine recarsi ogni giorno a danzare sotto le piante nell’ora del mezzodì, quando i raggi del sole più intensi si riflettevano su di esse così da creare sfavillanti giochi di luce a corredo dei bucolici balli.

Secondo i racconti, un giorno, proprio durante una di queste danze, una fata perse uno dei suoi anelli, ritrovato poi da un contadino, che, invece di restituirlo alla sua proprietaria, lo donò alla sua amata. Per timore di essere scoperto, il contadino si affrettò ad organizzare il matrimonio con la sua bella, ma, contrariamente alle abitudini locali, decise di non lasciare al tavolo dei commensali un posto vacante: il simbolo dell’invito delle fate alla celebrazione dell’unione.

Le fate, inorridite da un gesto tanto villano, maledissero l’anello e chiunque ne fosse in suo possesso.

Badate bene, dunque! Se passeggiando nel borgo vi imbattete nel luccicante monile, non appropriatevene perché solo quando il gioiello tornerà tra le dita della legittima proprietaria la jestima – ovvero la maledizione, in dialetto locale- sarà revocata, altrimenti sarete condannati ad una vita maledetta!

Felicia Villella

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