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Ho Perso Il Filo: Storia Di Un Commissario E Di Un Sindaco

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Sembra un film da commedia all’italiana, o un testo del teatro dell’assurdo: invece è la vicenda politica più lacerante e straniante che la città di Lamezia Terme abbia vissuto nei suoi cinquant’anni di vita.

La storia è nota.

Paolo Mascaro si insedia come sindaco della città nel giugno del 2015, con una forte acclamazione popolare. Ottiene  16 mila preferenze (60% dei votanti) da una cittadinanza che usciva da un periodo amministrativo non particolarmente felice. Paolo è uomo di legge, avvocato tra i più stimati e conosciuti del foro lametino, e l’investitura sembra annunciare per la città un periodo tra i più limpidi. Ma ben presto arrivano i primi fulmini: uno ad uno, diversi membri del consiglio e diversi assessori lasciano per i motivi più disparati, con l’amministrazione che sembra pian piano sgretolarsi fino al colpo di grazia finale. Un colpo mortale che ha i suoi prodromi nell’operazione Crisalide: l’inchiesta riguardava il clan Cerra-Torcasio-Gualtieri e il coinvolgimento con la cosca con l’allora vicepresidente del consiglio comunale Giuseppe Paladino, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’inchiesta Crisalide c’è anche l’ex candidato a sindaco nonchè consigliere comunale Pasqualino Ruberto. Nell’operazione è stato arrestato anche il fidanzato della consigliera Maria Lucia Raso, che si è autosospesa.

Dopo la deliberazione del consiglio dei ministri, su proposta del prefetto di Catanzaro, Luisa Latella, ed in base agli accertamenti della commissione d’accesso antimafia disposta dal prefetto il 9 giugno 2017, il Presidente della Repubblica scioglie il consiglio comunale lametino con apposito decreto per l’esistenza, come prevede la legge, di collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso degli amministratori locali, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da incidere negativamente sulla funzionalità degli organi elettivi. E’ il 27 novembre 2017.

Lo scioglimento porta quindi al commissariamento dell’ente comunale, il terzo per Lamezia dopo quelli del 1991 e del 2002; con il conseguente insediamento negli uffici di via Perugini della terna prefettizia oggi tristemente nota, “capitanata” da Francesco Alecci.

Da allora, al contrario di quanto sarebbe dovuto accadere (un commissariamento, per sua natura, porta ordine e assesta un comune disastrato), il caos: una burocrazia senza nessun tipo di logica porta alla chiusura, una dopo l’altra, di tutte le strutture sportive e di tutti e tre i teatri per mancanza dei requisiti concernenti l’agibilità; i diversi parchi della città, vere e proprie oasi verdi, nell’incuria più totale; spazzatura e smaltimento rifiuti impazzita, con strade inondate dall’immondizia non raccolta; e questi sono solo i disastri più evidenti.

Nelle stanze del palazzo in via Perugini regna un silenzio assordante: non solo per le “nuove” regole lavorative imposte, che portano diversi impiegati comunali a cercare la porta d’uscita del pre-pensionamento, ma anche per un’inerzia amministrativa inconsueta, nonostante le numerose richieste e proteste della popolazione.

Un silenzio ancora più accentuato dalla mancanza di un organo di ufficio stampa che potesse fare da tramite fra i commissari e la cittadinanza, che a gran voce richiede, per 15 mesi, spiegazioni e delucidazioni sulle tantissime mancanze.

Un silenzio, mai apertamente motivato, che porta ai risultati opposti di quelli a cui dovrebbe mirare un commissariamento: la percezione popolare, cioè, che “si stava meglio quando si stava peggio”, che in città si viveva meglio quando “forse” c’era l’illegalità nelle stanze comunali, che la “giustizia” della terna commissariale, che si abbatte sulle teste di tutti i cittadini indiscriminatamente, porta solo malcontento e squilibri, e quindi vera ingiustizia.

Tutti aspettano quindi, col fiato sospeso, la fine del commissariamento: che sarebbe dovuto terminare, ex lege, più o meno nel novembre 2019.

In tutta questa bufera, Paolo Mascaro viene lasciato solo, come dimenticato: e da solo, come era prevedibile per chi conosce la sua tempra e la sua ostinazione al limite del maniacale, continua silenzioso la sua battaglia per recuperare quell’ “onore perduto” che giustamente rivendicava. Una battaglia che sembra, inaspettatamente, trovare soluzione nel febbraio 2019, quando il Tar del Lazio accoglie il ricorso dell’avvocato ex sindaco contro il decreto di scioglimento del consiglio comunale emesso per supposte infiltrazioni mafiose nel novembre del 2017.

Paolo allora si reinsedia: forte anche della circostanza per cui, insolitamente, nessun atto emesso dall’amministrazione sotto la sua reggenza è stato cassato, nessun atto è stato rivisto dalla terna commissariale che quindi vede delegittimata la sua posizione, in aggiunta anche alla sentenza, uscita qualche mese prima, che dichiarava che proprio Mascaro era ricandidabile (per i giudici, “risulta altamente incerta la possibilità di ritenere responsabile Paolo Mascaro, anche per omessa vigilanza, del verificarsi di cui all’art 14 TUEL che hanno portato allo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose”), al contrario degli ex consiglieri -Ruberto e Paladino- dichiarati incandidabili.

La cittadinanza esulta: dopo 15 mesi di buio, durante i quali ogni attività amministrativa era de facto bloccata (fatta eccezione quindi per tutte le attività disposte dai privati), tornava uno spiraglio di luce.

Ma si sa, nessuno è perfetto, e non sarà mai possibile accontentare tutti; come si sa anche che la mamma degli inconsueti è sempre incinta.

Diverse voci si levano chiedendo a Paolo Mascaro di dimettersi: dimenticando che la conseguenza del gesto, chiesto ovviamente da coloro che non figuravano sul carro del vincitore, sarebbe stata quella di altro commissariamento in attesa della prima tornata utile per nuove elezioni.

In contemporanea, a salutare il reinsediamento del sindaco più combattivo e combattuto della storia della città, i famigerati “fumi neri di Scordovillo”: silenti, dallo scioglimento e fino al giorno prima del reinsediamento, e visti anche dall’opposizione di sinistra come chiaro sintomo che a qualcuno non va giù il ritorno di Paolo il crociato: probabilmente (vox populi) perché rompe le uova nel paniere a traffici corposi.

Momenti di trascurabile felicità: e infelicità, pure, visto che è notizia di questi giorni che il Consiglio di Stato ha accolto l’istanza cautelare di tutela provvisoria e per l’effetto, sospesa l’esecutività della sentenza impugnata del TAR del Lazio, dispone l’immediato reinsediamento della commissione straordinaria. Con questo ennesimo coup de theatre, di fatto, Lamezia ripiomba nel buio. La discussione della domanda cautelare si terrà l’11 aprile.

Paolo Mascaro, a cui auguriamo di avere una buona tenuta di pressione, annuncia senza timore, sui social: “vergognatevi tutti. Farisei, ipocriti e mestieranti, finti assertori di legalità. Vergognatevi tutti, finti servitori di uno stato che quotidianamente massacrate. Potete anche denunciarmi, ma vi condannerà la vostra coscienza”, e subito dopo, coraggiosamente, annuncia lo sciopero della fame fino a che “la comunità lametina non otterrà giustizia e cioè sino a quando non vi sarà attento e adeguato studio degli atti processuali, ad oggi effettivamente assente, ed ampia ed esaustiva motivazione della decisione assunta”.

C’è chi commenta con un bel “ahahahahahahahahah”, c’è chi difronte allo sciopero della fame (un atto durissimo, lacerante) trova di gusto commentare con un “si consolerà con una carbonara”.

La gamma di reazioni è insomma varia ed eventuale, sta di fatto che, di fronte a tali atti così duri, così violenti, bisognerebbe riesumare quel po’ di dignità che rimane per trovare la forza di reagire e di schierarsi con chi difende i suoi cittadini, allontanandosi per un momento dal tanfo di sciocche e inutili coloriture di partito.

Si, è sempre più notte prima dell’alba. Ma che almeno, durante il buio, ci siano risparmiati gli idioti.

 

Valentina Arichetta

Disegno di SCAVA

 

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