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Il culto di San Biagio a Sambiase

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san biagio

Non entro in merito alle ragioni onomastiche del mio paese, perché, alla pari di quella omerica, potrebbe aprirsi appositamente una “questione sambiasina”.

Tuttavia, è incontestabile che da un certo momento in poi abbia preso piede nel nostro territorio il culto di un Santo, legato ad una comunità viva e profonda, quale quella del Carmine.

Proprio di lui intendo tracciarne un profilo, perché la venerazione possa essere anche conoscenza.

Vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia (Asia Minore), San Biagio fu medico e vescovo della sua città.

Che avesse nove sorelle e che di ognuna abbia visto la morte, l’apprendiamo da una formula che certamente era efficace per lenire il mal gola: “San Biaso dale nove sorèle, dale nove ale oto, dale oto ale sete, dale sete ale siè, dale siè ale sìnque, dale sìnque ale quatro, dale quatro ale tre, dale tre ale do, dale do ale una, San Biaso dale nove sorèle l’è restà sensa gniancuna”, in un misto di sapienza popolare e devozione.

A causa della sua fede venne imprigionato dai Romani: durante il processo rifiutò di rinnegare la fede cristiana e per punizione fu straziato con i pettini di ferro, che si usavano allora per cardare la lana. Morì decapitato.

(Curiosità: quel birbante di San Biagio è stato da sempre un soggetto scomodo, eh sì!  Creò addirittura qualche problema al Braghettone di Michelangelo Buonarroti per coprire le scomodità della Sistina: della serie, non farsi mancare nulla, anche in tempi posteriori).

La più antica citazione scritta sul santo è contenuta nei Medicinales di Ezio di Amida, vissuto nel VI secolo. Riguardo ai problemi alla gola, nella traduzione latina di Giano Corsaro dell’opera del medico greco, si legge:

«Aliud. Ad eductionem eorum, quae in tonsillas devorata sunt. Statim te ad aegrum desidentem converte, ipsumque tibi attendere jube, ac dic: egredere os, si tamen os, aut festuca, aut quid quid tandem existit: quemadmodum Iesus Christus ex sepulchre Lazarum eduxit, o quemadmodum Jonam ex ceto. Atque adprehendo aegri gutture dic: Blasius martyr o servus Christi dicit, aut adscende, aut descende».

(Ezio di Amida, Opus medicum libris XVI, traduzione di G. Corsaro del 1567)

«Se la spina o l’osso non volesse uscire fuori, volgiti all’ammalato e digli «Esci fuori, osso, se pure sei osso, o checché sii: esci come Lazzaro alla voce di Cristo uscì dal sepolcro, e Giona dal ventre della balena». Ovvero fatto sull’ammalato il segno della croce, puoi proferire le parole che Biagio martire e servo di Cristo usava dire in simili casi: O ascendi o discendi».

A proposito, ad implorare il suo aiuto ci fu, secondo la tradizione, una donna che, piangendo, teneva tra le braccia il figlio morente, chiedendo a San Biagio di guarirlo. Al ragazzo gli era rimasta conficcata una spina di pesce in gola e, dopo inutili tentativi di soccorso, sembrava stesse morendo. Il Vescovo pose le sue mani sopra il corpo esanime del giovane che, rapidamente, tornò in vita. Tossendo, il ragazzo sputò la spina e fu sanato.

Ora, non nascondo, alla luce di ciò, che anche per me, dopo aver consultato le fonti, tutto ciò abbia un titolo aggiunto, come significanza: sicuramente, il mio approccio futuro saprà di rievocazione di memoria.

Non è questa la liturgia?

Segni di significati….

PS: un ringraziamento a Rosanna Pullia per il corredo fotografico ed un saluto particolare a don Gigi Iuliano, figura di spessore e di calibro umano.

Prof. Francesco Polopoli

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