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intervista a Massimo Carlotto: l’Alligatore e il pepe

4 min di lettura

Gianlorenzo Franzì: Cos’è “La Via Del Pepe”?

Massimo Carlotto: è una “finta fiaba africana per europei benpensanti”, come recita il sottotitolo. Una fiaba costruita esclusivamente sui luoghi comuni che abbiamo sull’Africa: la cosa incredibile è che sono luoghi comuni completamente falsi. Io ho trovato una serie di testi sulla Via Del Pepe: ne sono esistite diverse, io parlo della settima, cioè da dove il pepe partiva per arrivare in Europa. È una scusa per parlare di migranti, è la loro storia, in particolare di un ragazzo, Amhal, ed è legata ai luoghi comuni, quindi totalmente inventata che però si muove sul terreno della verisimiglianza. La realtà è data dal fatto che il personaggio è un migrante su un barcone che è partito dalla Libia ed è diretto a Lampedusa.

GF: Questo racconto si inserisce perfettamente nella sua narrative: che è prevalentemente noir (Carlotto è uno dei più grandi scrittori di noir d’Europa), nda), ma che ha un fortissimo attacco alla realtà, al sociale, è totalmente inserita nell’attualità più dolorosa e oscura. Qual è oggi il ruolo dello scrittore? Come deve affrontare la materia ribollente che emerge dalle pagine per dare realmente un senso alla scrittura?

MC: Mah, oggi il mondo degli scrittori è spaccato in maniera verticale: da un lato ci sono autori bravissimi che raccontano la loro percezione del mondo attraverso la loro fantasia. Poi c’è un’altra parte, ed io milito in questo settore della letteratura, che è legata alla realtà, io credo che un autore in questo preciso momento storico debba attraversare il proprio tempo occupandosene, cioè raccontando quello che vede e quello che sente, e non solo quello che percepisce in generale attraverso l’esperienza. E questo ci porta a maneggiare la realtà come elemento centrale del lavoro. Per me è molto importante: mi interessa anche essere puntuale, nel senso che oggi un tema fondamentale è quello dei migranti, ed ecco che un autore interviene con un mezzo come la fiaba per parlare di questo problema. Io credo che gli autori oggi si debbano soprattutto esprimere con parole molto chiare.

L’ALLIGATORE (NON) SONO IO

GF: Uno dei personaggi centrali del suo universo letterario è l’Alligatore: che è cambiato e si è evoluto nel tempo. Che rapporto ha oggi con lui? Che tipo di legame vi unisce? Come vi gestite?

 

MC: C’è una doppia relazione: c’è la relazione fra l’autore e il personaggio e quella fra il personaggio e i lettori. E quindi si crea una relazione molto particolare fra l’autore e i lettori. Ognuno vede i personaggi in maniera completamente diversa, ed ha un uso del personaggio completamente diversa. Il lettore tende ad affezionarsi molto alla serialità: io non lavoro sui personaggi ma sulle storie, per cui mi è capitato di abbandonare l’Alligatore per un tot di tempo e di libri e di anni, addirittura sette anni. E i lettori si sono molto arrabbiati per questo: tant’è che ho dovuto riconsiderare il mio lavoro rispetto all’Alligatore… io non ho la concezione italiana del personaggio che è sempre uguale a sé stesso ma è il mondo che cambia intorno a lui, a me interessa un personaggio che si è adeguato al tempo e che quindi invecchi, all’interno della serie. Perché questo gli permette di essere più puntuale rispetto al tempo raccontato nel romanzo. Per me è molto importante: è una concezione molto europea ma molto più corretta per quello che è il nostro sentire rispetto ai personaggi. Per cui oggi l’Alligatore è in piena evoluzione, in quest’ultimo romanzo c’è un conflitto e una crisi, e il personaggio non sempre è vincente ma attraversa momenti in cui risente di situazioni molto pesanti.

GF: Lei scrive anche per il cinema, per il teatro, per la tv: scrivere un libro è molto più libero rispetto a scrivere per il cinema, dove il pubblico raggiunto è più ampio e quindi ogni parola deve essere più pe(n)sata, ponderata?

MC: Dunque: è in generale che la scrittura per il cinema e la tv diviene complessa e mediata. Non c’è più la libertà assoluta rispetto alla propria opera, lì si tratta di una serie di mediazioni e relazioni con una marea di figure, con una serie di sensibilità artistiche che intervengono oltre ad una figura produttiva e alle linee editoriali. È ovvio che alla fine il prodotto che esce è quindi completamente diverso, ma io credo che sia giusto, perchè i linguaggi sono così diversi, anche nella scrittura tout court, che alla fine bisogno aspettarsi e auspicare che ci siano delle differenze sostanziali fra il romanzo e quello che poi diventerà il prodotto finito da un punto di vista televisivo e cinematografico.

CARLOTTO E LUCARELLI SU SKY

GF: Sta lavorando, o c’è in progetto, qualcosa di nuovo per il cinema?

MC: Sto lavorando con De Cataldo, Lucarelli e De Giovanni per un progetto con Sky: quattro film, quattro punti diversi sul tema “Sbirri”, e diventerà da giugno anche un progetto editoriale. E poi sto lavorando alla serie dell’Alligatore per la Rai.

GF: …forse oggi Sky, così come in America è la pay tv, è una delle realtà più interessanti, in Italia, dal punto di vista creativo e produttivo dell’audiovisivo, anche più del cinema…

MC: Devo dire che Sky, almeno in questo progetto, sta puntando molto alla qualità, e questo ci interessa molto dal punto di vista del lavoro e della scrittura. Poi il fatto di affrontare un tema così, gli sbirri, con quattro film, non è male, un punto di vista illuminato. Ma bisogna dire che anche in Rai son cambiate molto le cose: RaiDue in particolare sta producendo fiction di qualità.

 

GianLorenzo Franzì

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