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La brutta nominata dei ceci

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ceci

Sicuramente Cicerone, nel mondo antico, ne avrebbe perorata la causa, perché no! Già me la immagino l’orazione in difesa del nostro legume: «De ciceribus»!

Ora vi dico perché detiene questa brutta «‘nduminata»: intanto, di uno che non sta fermo in uno stesso luogo o vi stia malvolentieri e per una brevissima durata si dice che «cci sta cum’ ‘u cìciaru supr’ ‘o tùmbaru», cioè «vi sta come il cece su un tamburo», così come di uno che non sa mantenere un segreto, che rivela a cuor leggero cose che sarebbe bene venissero tenute celate, è detto che « ‘un teni lli cìciari», espressione equivalente dell’italianissimo «non sa tenere un cece in bocca».

Beh, pochi ne sottolineano l’eccezionalità, elevata in alcuni luoghi a portafortuna. «Cìciaru, nduvi si’!?», esclamava mio nonno materno, mentre eravamo intenti a trovare nella zuppa «‘u “monachìallu», quello più scuro, per capirci! «Nta panza du vùa nìaru», di risposta alla nostra ricerca nel fondo della succulenta pietanza.

Il fraticello da una parte ed il bue nero dall’altra, chissà perché! Secondo una leggenda, i ceci servono per scampare dalle grinfie del demonio: se si è inseguiti dalla brutta bestia, basta lanciarne a terra una manciata.

Per il diavolo, infatti, è impossibile ignorare il gesto: si fermerà e dovrà contare tutti i semi leguminosi caduti, dando la possibilità al mal capitato di fuggire. Sarà anche apotropaico, allora!? Forse.

In ogni caso si ricordi che ad esso è associato  San Giuseppe ‘U Ciciaràru e lui, di certo, era mite e di poche parole: qui il santo casca a fagiolo, direi!

Prof. Francesco Polopoli

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