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Lamezia. Lilli Gruber e il dovere della verità, ieri e oggi

4 min di lettura

Presentato al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme “La Guerra Dentro” di Lilli Gruber (Rizzoli, Milano 2021, edizione digitale), un vademecum del buon giornalismo che ripercorre la vita professionale e privata di Martha Gellhorn, prima grande reporter del ‘900.

«Occorrono coraggio e curiosità per gettarsi nel vivo degli eventi, anche a chi sceglie questo mestiere oggi».

Il ruolo dell’informazione oggi è un tema molto dibattuto a causa delle sue trasformazioni, involuzioni ed evoluzioni, dell’assedio dei nuovi media, delle regole impietose imposte dagli algoritmi e dell’intrattenimento, del bombardamento mediatico proveniente dai social network.

Il dovere della verità, l’intelligenza analitica, le suole consumate, gli occhi sempre puntati e la penna pronta sono ancora le caratteristiche identificative di un giornalista?

Se lo è chiesto Lilli Gruber, volto televisivo femminile dell’informazione italiana che dal 1988 ha seguito come inviata per la Rai i principali avvenimenti internazionali, prima donna a presentare un telegiornale in prima serata e oggi conduttrice di Otto e mezzo su La7.

Le risposte sono tutte contenute nel suo ultimo libro, ritratto e omaggio di una giornalista straordinaria, Martha Gellhorn, che ha combattuto tutta la vita per ottenere pari diritti e pari opportunità sul lavoro e nel privato.

Queste stesse riflessioni sono state il fil rouge dell’appuntamento lametino, in un Teatro Grandinetti gremito, alla presenza in sala del sindaco Paolo Mascaro e degli assessori comunali, del Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri e degli studenti delle scuole superiori cittadine che hanno contribuito al dibattito con domande all’ospite.

Al dialogo, moderato dalla giornalista Maria Chiara Caruso, ha preso parte anche il giornalista francese Jacques Charmelot, inviato in alcuni dei principali fronti di guerra tra Balcani e Medio Oriente, al vertice dell’agenzia di stampa France-Press nel 2008 a Baghdad, regista e marito della Gruber, attualmente impegnato in Calabria per la produzione di un documentario per Disney+ sulla ‘ndrangheta.

Ad accogliere il pubblico, le coreografie del professor Roberto Tripodi sulle musiche originali di Giovanni Nicotera, e l’intervento della Dirigente scolastica Susanna Mustari del Liceo Coreutico “Tommaso Campanella”, Polo delle Biblioteche scolastiche “Liber Cordis”.

“Martha è stata fin da giovane una pioniera dei diritti femminili – ha raccontato Gruber – e ha sostenuto per tutta la vita che il miglior modo per difenderli sia farsi avanti. Era nata in un’epoca in cui le donne non erano ammesse al fronte, eppure riuscì a scrivere di tutti i più grandi conflitti del ‘900. È stata un esempio per me, come giornalista e come donna”.

Martha Gellhorn è stata infatti l’unica corrispondente di guerra a sbarcare sulla spiaggia della Normandia il 6 giugno 1944 e tra i pochi giornalisti testimoni oculari del D-Day. Come inviata della rivista americana Collier’s aveva già scritto sulla guerra civile in Spagna nel 1937-38 e sul conflitto in Finlandia nel dicembre del 1939.

Nel 1941 andò in Cina, percorrendo il paese «in aereo, in barca, a cavallo e a piedi per raggiungere la linea del fronte con il Giappone». Nel gennaio del 1944 arrivò anche in Italia per seguire le truppe degli Alleati.

Nel 1940 sposò lo scrittore Ernest Hemingway, ma la loro fu “una storia d’amore tinta di rivalità” che crollò dopo cinque anni sotto i colpi di un maschilismo esasperato e di una competizione professionale scorretta e sessista con cui dovette fare i conti per farsi strada nel lavoro e per farsi amare senza rinunciare alla propria indipendenza e a quella che sentiva come una missione: “andare a vedere”.

L’eredità che Martha Gellhorn ci ha lasciati è che “l’unico modo per raccontare una storia è andare sul campo, correre – ha riflettuto la giornalista incalzata dalle domande degli studenti circa sua esperienza professionale – in amore e in guerra, per ogni obiettivo ambizioso, bisogna avere il coraggio di rischiare e di schierarsi in prima linea”.

“Non esiste il giornalismo a distanza, senza sforzo fisico, senza movimento intellettuale, senza consumare le scarpe – ha continuato Jacques Charmelot – ciò che mi ha colpito di più venendo in Calabria è la mancanza di curiosità. Manca l’interesse della stampa nazionale su uno dei più grandi processi della storia”.

«Esistono due tipi di giornalisti: quelli che non vogliono che la storia rovini la notizia e quelli che non vogliono che la notizia rovini la storia» si legge nel libro.

Secondo Gruber “oggi c’è una degenerazione dell’informazione, che non può essere spettacolo. I giornalisti non devono regalare emozioni ma notizie, accurate, dettagliate, oggettive e verificabili. La propaganda e le menzogne di regime, le fake news, ci sono sempre state. Ma è cambiato il modo di diffonderle: manca la mediazione giornalistica, i politici attraverso i social parlano direttamente agli elettori raccontando più facilmente bugie”.

“C’è anche un’altra grande questione – ha completato l’analisi Charmelot – i proprietari delle grandi testate, in nome dei soldi, della pubblicità e dello spettacolarizzazione dei fatti, hanno svuotato il diritto a essere informati”.

“Faccio parte di una generazione fortunata di giornalisti – ha ammesso poi Gruber – la Rai mi ha dato la possibilità di girare il mondo per vedere “come si svolgeva la storia”. Oggi questo non è più possibile. L’informazione seria richiede tempo, studio, approfondimento. Ai giovani reporter non viene più data la stessa opportunità”.

“Non ci piace parlare del coraggio dei giornalisti – hanno concordato poi entrambi – ciò che conta è il coraggio di chi sceglie di parlare ai giornalisti, le fonti. Perché il nostro compito è quello di dare voce a chi non può raccontare quello che succede, non vuole o non osa parlare”.

In un’epoca dominata dalla disinformazione, dalle manipolazioni e dalla propaganda, la linea di confine tra verità fattuale e fake news è sempre più sbiadita.

Martha Gellhorn, attraverso le pagine di Lilli Gruber, ricorda a tutti noi, ai giovani, alle donne, ai lettori e ai cronisti, di non fermarsi alla superficie e all’apparenza delle cose, ma di cercare con caparbietà, coltivare ostinatamente dubbi, esercitare la propria libertà e rivendicare i propri diritti, mettendo in conto anche di navigare controcorrente, esposti ai venti.

In una democrazia compiuta è dovere di ognuno, la passione per la verità.

Maria Francesca Gentile

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