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Lettera aperta alla città di Pax Christi Punto pace Lamezia

4 min di lettura

ANDIAMO FINO A BETLEMME

Andiamo fino a Betlemme,
come i pastori.
L’importante è muoversi.
E se invece di un Dio glorioso,
ci imbattiamo nella fragilità
di un bambino,
non ci venga il dubbio di aver
sbagliato il percorso.
Il volto spaurito degli oppressi,
la solitudine degli infelici,
l’amarezza di tutti gli
uomini della Terra,
sono il luogo dove Egli continua
a vivere in clandestinità.
A noi il compito di cercarlo.
Mettiamoci in cammino senza paura.
(don Tonino Bello)

Carissimi Lametini, carissime Lametine,

la poesia di Don Tonino Bello “Andiamo fino a Betlemme” ci ricorda che la Natività è un invito a Camminare Insieme, senza paura. Non sfugge, infatti, a nessuno che l’attesa della venuta di un Bambino, che nel corso di circa 2000 anni, ha cambiato la storia del mondo, debba generare speranza; proprio adesso, in un momento particolare per il pianeta, intriso fortemente di paura ed incertezza per tutti noi che lo abitiamo. Una speranza che può rimanere accesa se saremo capaci di alimentarla recuperando quella sobrietà dei gesti, sfuggita dal senso comune di una modernità in preda al consumismo. Una sorta di involuzione etica che ha trasformato l’essenzialità della Grotta di Betlemme in una magnificente e classista vetrina luminosa.

Nella Laudato Sì, Papa Francesco afferma: «Ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso
l’imposizione della mano umana…” che ignora tutto ciò che non produce tornaconto. “Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti» ”. E questo unisce inesorabilmente le crisi più acute del nostro tempo. L’Enciclica chiarisce questo aspetto: “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale.

Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura». Ne consegue l’inseparabilità dell’ecologia ambientale, economica e sociale dall’ecologia culturale e dall’ecologia della vita quotidiana, che coinvolge ogni abitante del pianeta nelle sue abitudini e nei suoi comportamenti. Abitudini e comportamenti che non risiedono altrove rispetto al nostro vissuto, ma vivono nei problemi quotidiani che ci affliggono e ci interrogano: il degrado ambientale, l’inquinamento urbano e lo smaltimento dei rifiuti; le periferie abbandonate che frammentano il tessuto sociale all’interno della città e producono, da un lato, assuefazione degli ultimi alla propria marginalità e, dall’altro, il rifiuto di tutto ciò che disturba la propria inviolabile quiete.

Un segnale di preoccupazione è arrivato dal nostro Vescovo, Mons. Giuseppe Schillaci, che ha scelto Scordovillo, il luogo simbolo del degrado e dell’abbandono, come prima visita pastorale a Lamezia. In quest’ottica, papa Francesco propone riflessioni molto significative su una possibile «teologia della città» e sulle conseguenze di essa, di cui occorrerebbe tener conto: «È necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso di appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro “sentirci a casa” all’interno della città che ci contiene e ci unisce». Sentirci a casa in una città come Lamezia Terme che ci contiene e ci unisce è un irriguardoso ossimoro, avendo all’interno i nostri concittadini di etnia Rom, chiusi e separati da noi da un vergognoso recinto. Il tutto in omaggio alla cultura dello SCARTO che allarga impietosamente i confini della povertà, alimenta il razzismo verso le minoranze, il rifiuto di accogliere i rifugiati e i migranti e produce azioni di esclusione, maltrattamenti e violenza nei confronti delle donne, rendendo così vani tanto l’Annuncio di Cristo che i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’Onu del 1948.

Oggi la Pandemia ci ha imposto sobrietà e maggiore attenzione alle regole della convivenza. Ma ci voleva una Pandemia così improvvisa e devastante per comprendere che, neppure chi ritiene di avere in mano le chiavi del mondo, riesce ad esserne immune? Tutto questo fa pensare ad una rottura del concetto di normalità dove chi si sentiva al sicuro, oggi al sicuro non lo è più; ed è arrivato il momento di ridefinirne il significato “No queremos volver a la normalidad porque la normalidad era el problema”: non possiamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema. E tutto ciò ci proietta, volenti o nolenti, verso il superamento della crisi di questo tempo, alimentata da un ordine economico mondiale ingiusto e depredatore, in un cammino corale verso un’idea di mondo inclusiva e umana. Un impegno ad abbattere i recinti che ci separano per trasformarli in spazi che ci accolgono, senza guardare chi siamo o da dove veniamo, sapendo che la meta è Betlemme come ci suggerisce Don Tonino Bello. Fiduciosi che questo nostro contributo possa sollecitare una riflessione generale a partire dalla nostra città, cogliamo l’occasione per augurare a Tutti Voi di vivere questo Natale con la sobrietà, la gioia e la speranza che il Cristo nato povero ci
suggerisce.

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