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Michele Bianchi, il “super fascista” della Calabria

9 min di lettura

Michele Bianchi il 28 ottobre 1922

Giornalista, socialista, sindacalista e infine uno dei più stretti collaboratori di Mussolini. Sarà il leader incontrastato del fascismo in Calabria fino alla morte prematura nel 1930.

Michele Bianchi

Michele Emilio Emanuele Bianchi nacque a Belmonte Calabro (CS) il 22 luglio 1882 da Francesco, medico condotto originario di Malito (CS) di formazione laica e Caterina Debonis.  Poco si sa della sua giovinezza, se non che sicuramente ebbe almeno un fratello, poiché è certo che un suo nipote è stato medico a Cosenza, e della sua formazione scolastica fra il ginnasio a San Demetrio Corone (CS) e il liceo al Bernardino Telesio di Cosenza dove si diplomò nel 1902 avendo per docenti il massone Oreste Dito (che forse lo introdusse alla obbedienza della Loggia di Piazza del Gesù) e il socialista Pasquale Rossi.

Trasferitosi a Roma per studiare giurisprudenza, l’abbandonerà presto senza concludere gli studi per dedicarsi a tempo pieno al giornalismo e alla politica.

Bianchi giornalista, socialista, sindacalista e interventista

Bianchi nel 1903 s’iscrisse al PSI e divenne redattore del suo quotidiano, l’Avanti! sostenendo la linea politica riformista di Arturo Labriola. Nel 1905 passò alla direzione di Gioventù Socialista, dove scrisse violenti articoli antimilitaristi che gli causarono il carcere e il trasferimento coatto a Genova. Intanto nel 1904 aveva aderito anche al sindacalismo rivoluzionario, divenendo segretario della Camere del lavoro di Genova e Savona nonché direttore del quotidiano Lotta Socialista. Nel 1906 mantenne una linea neutrale dinnanzi ad alcuni scioperi operai cittadini, che il PSI non gradì, sicché Bianchi quasi a ritorsione favorì la scissione del movimento sindacale dal PSI.

Un giovane Bianchi (a destra) col socialista Arturo Labriola. (foto tratta dal sito Ebay)

Dopo vari giri per l’Italia e numerosi  arresti, nel 1910 diresse il giornale socialista La Scintilla in cui propose un’unica lista elettorale fra socialisti e sindacalisti per le imminenti elezioni amministrative, inutilmente.

Chiuso il giornale per difficoltà economiche, attaccò Giovanni Giolitti per la guerra italo-turca del 1911/12 che gli causò un nuovo arresto a Trieste, dove era impiegato al Piccolo. Amnistiato, si trasferì a Ferrara per riorganizzare il movimento sindacale e dove fondò il giornale La Battaglia per farsi campagna elettorale in occasione delle elezioni del 1913 che perse.

Sempre nel 1913 si trasferì a Milano dove contribuì alla fondazione della Unione Sindacale Italiana (USI) assieme ad Alceste De Ambris, Edmondo Rossoni e Filippo Corridoni di cui divenne segretario politico della sezione Fascio d’Azione Rivoluzionaria. Con la partecipazione dell’Italia nella Grande Guerra (1915-1918), Bianchi si convertì all’interventismo, sostenendone la causa con numerose manifestazioni, scioperi e un manifesto – appello agli operai italiani, arruolandosi volontario e congedandosi nel 1918 col grado di sotto ufficiale di artiglieria. Già di salute cagionevole, forse in questo periodo contrasse la tubercolosi.

Bianchi fedele collaboratore di Mussolini

Finita la Grande Guerra, Bianchi si ritrovò fra i reduci delusi dagli accordi di pace di Versailles (1919) e a Milano conobbe Benito Mussolini con cui strinse una sincera amicizia nonché una incondizionata fedeltà politica, tant’è che il futuro duce lo nominò redattore capo del suo nuovo giornale Il Popolo d’Italia. Bianchi legò quindi il resto della sua esistenza al futuro capo del fascismo. Contribuì allora alla fondazione dei Fasci di Combattimento (23 marzo 1919) di cui divenne membro del Comitato Esecutivo e anche della trasformazione del movimento fascista in partito (PNF) nel novembre 1921, dove fece sintesi tra i fascisti estremisti di Roberto Farinacci e quelli fedeli alla linea legalitaria di Dino Grandi. Questo ruolo di mediatore fu apprezzata dalle diverse anime del fascismo che convergeranno sul suo nome nella scelta alla nomina a primo segretario del PNF. Bianchi da segretario politico sostenne convintamente le violenze squadriste degli anni 1919 – 1922 contro amministrazioni comunali, giornali, circoli politici e culturali di socialisti, anarchici, comunisti e liberali. Nel 1919 si recò a Fiume per conto di Mussolini per parlare di un appoggio economico del Popolo d’Italia alla occupazione della città istriana da parte del poeta Gabriele d’Annunzio, mentre nel 1921 favorì la fondazione della Avanguardie giovanili fasciste, proto forma di organizzazione giovanile del PNF.

Dipinto celebrativo della marcia su Roma, Bianchi è il primo da sinistra. (Dipinto del futurista Giacomo Balla)

Bianchi fu tra i fascisti che convinsero Mussolini, dopo lo sciopero legalitario antifascista organizzato dai socialisti nell’agosto 1922, che era tempo di una azione decisa contro il governo di Luigi Facta e in generale contro il moribondo sistema politico liberale. Sostenne quindi al congresso fascista di Napoli la necessità di indire una “marcia su Roma”, di cui Bianchi pianificò e condusse l’azione da Perugia marciando per le strade di Roma il 28 ottobre in veste di “quadrunviro” assieme a Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi e Italo Balbo.

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Bianchi esponente del governo Mussolini

Divenuto presidente del Consiglio, Mussolini nominò Bianchi segretario generale del Ministero degli Interni, carica creata ad hoc per lui e inferiore solo a quella del ministro che era Mussolini stesso. Dimessosi nel frattempo nel 1923 per incompatibilità da segretario del PNF, restò comunque membro del Gran Consiglio del Fascismo. Fu tra i promotori della modifica della legge elettorale che passò alla storia come Legge Acerbo, la quale garantiva alla coalizione politica che avesse preso almeno il 25% di voti il 55% dei seggi in Parlamento, legge varata nel 1923.

Bianchi in Calabria nel 1924

Bianchi, dopo il varo della legge Acerbo fu incaricato da Mussolini assieme a Cesare Rossi, Giacomo Acerbo, Aldo Finzi e Francesco Giunta (la famosa Pentarchia) di individuare candidati anche non fascisti da inserire in un Listone Nazionale che avrebbe dovuto assicurare la vittoria certa del PNF in occasione delle elezioni politiche del 1924. Bianchi già dal 1921 aveva riallacciato rapporti strettissimi con la sua regione di nascita e grazie al suo ruolo politico nel PNF (segretario politico) e di governo (al ministero degli Interni), aveva favorito l’ascesa politica di segretari locali e provinciali del PNF nonché di prefetti il più possibile a lui fedeli. A questi aveva chiesto a fine 1923 di segnalargli esponenti politici liberali che erano disposti a candidarsi nel Listone Nazionale a guida fascista. Molti esponenti fascisti calabresi furono contrariati da questa richiesta, ma i più, per obbedienza al partito e per non perdere posizioni di potere acconsentirono di mettersi da parte o fare spazio a questi “nuovi fascisti”. Bianchi scenderà in Calabria per fare un tour elettorale nelle principali città calabresi per sostenere i candidati fascisti e non del Listone Nazionale.

Bianchi ad una manifestazione fascista

Il caso Nicastro

Esempio della intuizione politica vincente del Bianchi nel coinvolgere esponenti politici non fascisti nel Listone può essere ciò che avvenne a Nicastro (oggi Lamezia Terme). Qui era sindaco dal 1921 il notaio Caio Fiore Melacrinis, il quale aveva fondato assieme ad altri reduci di guerra, come lui esponenti della media borghesia e della nobiltà locale la sezione del PNF nell’agosto 1922, mentre deputato per il collegio elettorale di Nicastro era già da molti anni il liberale giolittiano Salvatore Renda, il cui nome era stato segnalato positivamente al Bianchi come candidato ideale al Listone per non essere mai stato ostile al fascismo (oltre che avente una dote considerevole di voti che andavano oltre il collegio elettorale di Nicastro) dal segretario federale del PNF di Catanzaro Edoardo Salerno. Ciò provocò il disappunto di Melacrinis e degli altri fascisti nicastresi della “prima ora” i quali fecero rimostranze scrivendo sia a Bianchi, sia a Maurizio Maraviglia e addirittura allo stesso Mussolini, inutilmente.

Melacrinis e i suoi infatti dovettero accettare forzatamente la scelta di Bianchi che volle la candidatura del Renda per il collegio di Catanzaro, e per sostenere la sua elezione giunse a Nicastro il 16 marzo 1924 dove fu ricevuto, oltre dal sindaco Melacrinis e dal Renda, anche dal barone Nicola Nicotera di Martà futuro podestà e dal vescovo Eugenio Giambro. A Nicastro, dopo le elezioni, risultò che il Renda prese più voti dello stesso Bianchi per il Listone Nazionale dal suo ceto elettorale fedele formato da operai, piccoli borghesi e possidenti terrieri mentre la lista dei liberali non fascisti fu votata dal ceto degli insegnanti e degli avvocati.

Bianchi con Mussolini e De Vecchi

Bianchi ministro dei Lavori Pubblici e la morte prematura

Degli altri esponenti politici già liberali calabresi Bianchi accettò solo l’inserimento nel Listone di personaggi dalla dote di voti copiosa e sicura come il potente politico Giuseppe De Nava  per il collegio di Reggio Calabria e per Cosenza Tommaso Arnoni, mentre scartò le candidature di Luigi Fera e Gaspare Colosimo. La sua scelta politica si rivelò vincente e il Listone Nazionale in Calabria ebbe migliaia di voti, nonostante e grazie anche al clima intimidatorio instaurato dalla squadre fasciste nei pressi dei seggi elettorali, sopratutto per Bianchi stesso (un vero e proprio plebiscito nella provincia natale di Cosenza, pochi rispetto alla aspettative i voti nel reggino) sicché la tornata elettorale del 1924 non fu altro che un suo successo personale, in quanto ebbe i voti non solo dei fascisti, delle clientele politiche dei liberali inseriti nel Listone ma anche da quel ceto medio borghese stanco dei soliti politici locali che vedevano nel Bianchi un emigrato intellettuale che aveva costruito la sua carriera politica fuori dalla sua terra, da solo, percorso quindi da homus novus simile ai suoi compagni di partito Maurizio Meraviglia, Luigi Razza, Carlo Scorza e Agostino Lanzillo.

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Eletto deputato, durante la crisi Matteotti (1924) difese a spada tratta l’innocenza infondata di Mussolini. Nel 1925, ormai in pieno regime, fu nominato sottosegretario ai Lavori Pubblici dove contribuì a stendere la Carta del lavoro (1927), cioè la summa della concezione economica corporativista del fascismo. Nel 1928 venne trasferito al sottosegretariato agli Interni dove contribuì alla elaborazione della riforma podestarile dei comuni nel 1926 (già dal 1924 aveva preposto un progetto di legge di riordino degli Enti locali in ottica centralistica, prematuro all’epoca).

Infine il 12 settembre 1929 venne nominato ministro dei Lavori Pubblici dove rimase per poco, poiché malato da tempo di tubercolosi, morì in una clinica romana il 3 febbraio 1930 a soli 48 anni.

La vita privata, le opere pubbliche in Calabria e il ricordo postumo

Dal 1925 Bianchi aveva stretto una relazione amorosa con la nobildonna Maria Elia De Seta Pignatelli di Cerchiara, donna coltissima, che non sposò e da cui non ebbe figli. Ai funerali di Bianchi parteciparono migliaia di persone, i vertici del PNF e lo stesso Mussolini. In tutt’Italia e nelle colonie italiane gli furono intitolate strade, piazze, Case del Fascio, mentre la sua casa natale a Belmonte Calabro fu dichiarata Monumento Nazionale. Per sua volontà fu seppellito a Belmonte Calabro, ma non poteva essere una tomba normale per un così alto esponente del regime. Così fu la De Seta a sovraintendere la costruzione del grande mausoleo in sua memoria, ancora oggi esistente sul colle Bastia, dove furono traslate le spoglie mortali del gerarca il 28 ottobre 1932.

Bianchi in compagnia di Maria Elia De Seta Pignatelli di Cerchiara. (fonte Wikipedia)

Fino al crollo del regime (25 luglio 1943), il mausoleo di Bianchi fu luogo di pellegrinaggio e di manifestazioni fasciste. Dal dopoguerra si decise anche di demolirlo, ma infine fu lasciato in stato di abbandono. Da alcuni anni è ritrovo di manifestazioni nostalgiche in occasioni di date simbolo del fascismo da parte di gruppi politici di estrema destra, nonché anche di periodici atti vandalici e di manifestazioni antifasciste.

Si devono all’interessamento personale di Bianchi l’istituzione nel 1923 del Parco Nazionale della Sila, della fondazione del centro invernale di Camigliatello Silano, dei primi poli industriali a Crotone, delle opere di bonifica in diverse zone malariche calabresi di cui fu referente per suo conto Maurizio Meraviglia, delle prime strade bitumate e delle prime tratte ferroviarie interne. Fu sempre Bianchi a promuovere la fusione dei piccoli comuni attorno a Reggio Calabria nel 1927 per la creazione della “Grande Reggio” (primo esempio di fusione amministrativa di più comuni nella storia d’Italia), della modernizzazione urbanistica di Cosenza a metà anni Venti, nonché della tutela del patrimonio storico – culturale calabrese con la nomina di Edoardo Galli alla Sovrintendenza della Calabria (1925 – 1936)  sotto la cui direzione si individuarono i siti archeologici di Laos e Sibari, tant’è che nel 1932 il Galli si prodigò per la fondazione del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.

Veduta panoramica del Mausoleo.

Nonostante l’ordinamento repubblicano vieti la ricostituzione del partito fascista nonché il mantenimento di intitolazioni a suoi esponenti nei luoghi pubblici, mentre nelle maggior parte delle città italiane le eventuali intitolazioni a Bianchi furono rimosse già nell’immediato secondo dopoguerra, esistono ancora oggi delle vie a lui intitolate oltre che nella sua Belmonte Calabro anche a Scalea, Merano Marchesato, Rossano, San Lorenzo del Vallo e Rocca Imperiale in provincia di Cosenza, Gizzeria, Sersale e Carlopoli in provincia di Catanzaro, Drupia, Nicotera, Gerocarne e Vibo Marina in provincia di Vibo Valentia, Centrupie (EN), Noto (SR), Castiglione di Sicilia (CT) e in tanti altri comuni italiani.

M. S.

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