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Pigna e Pignate

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Pigna e Pignate

C’è una filastrocca di carattere storico-economico, che credo sia una bella fotografia delle arti e dei mestieri del nostro Sud

«a Napuli si fhanu lì carrozzi/a Catanzaru zagarelli e lazzi /a Nicastru pignatelli e vozzi /e a Sambiasi vinu ccu lli ca… », ascrivibile quantomeno all’epoca borbonica, almeno penso! A farne una traduzione immediata il senso, grosso modo, è così: «a Napoli c’erano le grandi manifatture, a Catanzaro era fiorente l’industria della seta, a Nicastro l’artigianato delle terraglie, a Sambiase il vino di una certa caratura».

Per fortuna la bevanda bacchica resta ancora, mentre l’ultima fornace nicastrese è stata chiusa negli anni Settanta. La «pignata», tuttavia, è rimasta nel nostro immaginario, oltre che come complemento d’arredo in stile vintage: «va’ ngàglia e ffa pignati!», cioè «indovina e fai pignatte», che si suole esclamare quando si deve fronteggiare una situazione difficile e non si sa come fare e da dove cominciare.

E poi c’è uno dei proverbi anforari più conosciuti: «’i guai d’ ‘a pignata ‘i sa lla cucchjara ca cci ròta» per non parlare delle previsioni del tempo, che fanno appunto riferimento ai nostri secolari recipienti fittili: «quandu chjovi d’ ‘a muntagna pigliati ‘a zappa e va ‘n campagna, quandu chjovi d’ ‘a marina piglia ‘a pignata e va’ cucina».

Un’osservazione mi preme farla, prima di avviarmi alla conclusione: nelle cucine delle vecchie case d’un tempo c’erano tanti «tìasti» («tegami di creta») di diversa foggia e di differenti dimensioni, che venivano usati per cuocervi dentro ceci, fave, piselli, cicerchia ma, soprattutto, i fagioli, che erano, una volta, l’alimento-base della stragrande maggioranza delle famiglie.

E i quei tempi erano tutti « ‘na pigna», uniti, cioè, intorno al focolare dei buoni sentimenti, proprio quelli che servono a sfamare le famiglie nell’intimità più profonda, fatta di cure amorevoli, di cuore, insomma: oggi, in chicchere e piattini, si scaldano gli animi fino a creare divisioni e lotte intestine, persino con odi duraturi fino alla sepoltura.

Eppure un semplicissimo recipiente, la «pignata», per l’appunto, dal lat. «pineata sott. olla» («pentola dal coperchio a forma di pigna») ci rammemora le radici di una comunione tutta impastata di terra e, pertanto, essenziale. «Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris» (Gen. 3, 19), ovvero «ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai»: malgrado siamo adamici ed evini diventiamo Padreterni ad un certo punto e «andovvi poi lo Vas d’elezïone», concluderebbe il nostro Dante (Inf. II, 28), peccato!

Ringraziando Aldina Mastroianni per la garbata squisitezza con cui mi ha offerto queste perle di saggezza popolare.

Prof. Francesco Polopoli

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