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Quando papà era llu tata…

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padre figlio

Per noi è più facile pensare alla balia o alla governante di primo acchito e alla sua primissima pronuncia: quanto sappiamo, almeno fino al secolo scorso, è che la voce infantile per designare la figura paterna era proprio quella del «tata»

Un nome di suono che ha radici antiche se pensiamo che fa parte di una famiglia allargata che dall’Occidente (lat. tata, gr. τάτα) si spinge fino al Gange con il sanscrito tatah.

Oltre a ciò preciso che è pure un termine che sta a cuore nel libro Cuore di Edmondo De Amicis: «aveva mandato a Napoli il figliuolo maggiore, con qualche soldo, ad assistere suo padre, il suo «tata», come là si dice».

Non solo. Questo grande nostro scrittore, nel racconto L’infermiere di Tata, parla del figlio che incontra il padre infermo in ospedale, chiamandolo Tàta, tàta mio!

Insomma, la facilitazione onomatopeica lo ha fatto diventare di vasto respiro internazionale: d’altronde, l’espressione del balbettio degli infanti ta, ta non ha fatto fatica a cementarlo. Da innamorato della cultura classica non posso non far rilevare il fatto che Terenzio Varrone, nel I sec. a.C., scrivesse nei Logistorici, e più precisamente nel De Liberis Educandis (Sull’educazione dei figli), 14, 1: «cum cibum ac potionem buas ac poppas vocent (parvuli), et matrem mammam, patrem tatam» («quando bevi e succhi il cibo e la pappa, i piccoli chiamano la madre, mamma e il padre, papà»).

Il la(me)tino, pertanto, è erede di Roma antica: l’eternità di una cultura globale ha percorso tutto lo Stivale italiano. Ed anche noi la calziamo bene, persino in un lemma di strettissima familiarità!

Prof. Francesco Polopoli

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