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Quinta domenica di Quaresima: l’omelia pronunciata dal vescovo Schillaci

8 min di lettura
Monsignor Giuseppe Schillaci

“Lasciamo che la Parola di Dio ci raggiunga e porti nella nostra esistenza speranza, vita!” Quinta domenica di Quaresima: l’omelia pronunciata dal vescovo, Giuseppe Schillaci, durante la celebrazione della Messa officiata nel Santuario di Sant’Antonio in diretta televisiva ed in streaming
Carissimi fratelli e sorelle che ascoltate e partecipate spiritualmente a questo momento che ci aiuta a vivere. In questo momento tutti quanti noi abbiamo bisogno di parole che ti aiutano a vivere.

Ci sono tante altre parole, tanti altri discorsi, ed in questi giorni ne sentiamo, purtroppo, che, invece, non ci aiutano. Ci
sono tanti altri discorsi che non ci danno consolazione. Ci sono parole che ci gettano nello sconforto.

Lasciamo, invece, che la Parola di Dio ci raggiunga e, quindi, porti nella nostra esistenza speranza, vita.

Favoriamo nelle nostre case l’esercizio di un ascolto diligente della Parola di Dio come in queste domeniche, questi brani bellissimi che la liturgia ci propone. Perche’ questa Parola ci aiuta a vivere.

Perche’ questa Parola ci offre consolazione. Perche’ questa parole e’ per noi senso, coraggio, audacia ed anche silenzio, capacita’ di ascoltare queste parole vere. Nutriamo il nostro spirito di parole di Dio.

Lo possiamo fare con molta semplicita’ nelle nostre case. In queste domeniche di Quaresima abbiamo ascoltato questi grandi temi battesimali. Nella terza domenica il tema dell’acqua, domenica scorsa quello della luce ed in questa domenica la vita. Sono temi che sottolineano profondamente questo itinerario battesimale che ci porta alla Settimana santa, la settimana della settimane.

La parola di Dio che abbiamo ascoltato, tratta dal capitolo XI del Vangelo di Giovanni, ci mette dinnanzi questo grande tema della vita. E’ un tema che gia’ l’Evangelista aveva accennato all’inizio del Vangelo, nel suo prologo, quando Giovanni dice che “in Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”.

Si’, contempliamo questa vita, luce degli uomini. La luce di cui si diceva domenica scorsa, che ci permette di vedere, di capire, di camminare e’ la vita degli uomini. Cioe’, Gesu’. E Gesu’ e’ tutto questo per la nostra esistenza: la vita. Quella vita, come dice Giovanni ancora nella sua prima lettera, che “si e’ fatta visibile”.

E questo bisogno forte che sentiamo, carissimi fratelli e sorelle, di lasciarci raggiungere da parole di vita, da questa Parola di vita quando, purtroppo, ci giungono notizie di morte. Ancora ieri abbiamo ascoltato questi numeri che sono veramente terribili e dietro i numeri ci sono persone, tante persone, troppe persone.

Come mi diceva qualche giorno fa una persona di Brescia: “Respiriamo morte intorno a noi” e non possiamo non avvertirlo anche noi tutto questo.

Abbiamo bisogno di parole di vita e questa Parola che abbiamo ascoltato ci da consolazione, coraggio, fiducia. Il brano evangelico che abbiamo ascoltato ci parla di questa famiglia, di Marta, di Maria, di Lazzaro.

Una casa che Gesu’ frequentava. Persone che Gesu’ amava come abbiamo sentito nel brano evangelico che abbiamo appena ascoltato: “Gesu’ ama Lazzaro”. E Marta e Maria mandano a dirGli proprio questo: “Lazzaro colui che tu ami e’ malato”. Gesu’ risponde: “Questa malattia non portera’ alla morte”.

Fratelli e sorelle e’ questo quello che vorremmo ascoltare in questi giorni: che questa malattia non porti alla morte. Ma, purtroppo, non e’ cosi’ per tante, per troppe persone.

E come i discepoli del brano evangelico, noi non comprendiamo. Per esempio, come i discepoli, noi non comprendiamo perche’ Gesu’stesso debba soffrire.

Abbiamo ancora ascoltato: “I Giudei volevano lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. E come i discepoli non capiscono questo mistero, anche noi non comprendiamo. Loro non capiscono anche il mistero della malattia di Lazzaro e non capiscono neanche il comportamento di Gesu’.

E’ l’incomprensione di chi dovrebbe capire o, almeno, e’ piu’ portato a capire. E’ l’incomprensione di noi credenti. Ma, se Gesu’ e’il Figlio di Dio, perche’ si mette in cammino verso la passione, verso la croce, verso il fallimento?

Ed ancora, se il Padre ama il Figlio perche’ sembra abbandonarlo in questo cammino? Sono domande che i discepoli si pongono e che anche noi ci poniamo.

Tommaso, chiamato Didimo, sembra uscire fuori da questi schemi, quasi superare tutto questo. Sembra superare la paura e dice agli altri discepoli: “Andiamo anche noi a morire con Lui”. Tommaso, nella sua spontaneita’, e se vogliamo anche nella sua ingenuita’, esprime la sequela in questi termini: seguire il Maestro sempre, non solo nei momenti lieti ma anche in quelli tristi perche’ segnati dal dolore dalla tribolazione, dalla sofferenza, dallo scacco, dalla morte.

E’ il comportamento stesso di Gesu’ che fa riflettere e fa riflettere anche i Giudei che, quando egli si trova davanti alla tomba, dicono: “Lui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far si’ che costui non morisse?”.

Gesu’, in effetti, con il suo comportamento, sta indicando che la sofferenza, la malattia, la morte non sono un segno dell’abbandono di Dio ma rientrano in un disegno misterioso di salvezza, di amore.

Ed allora lasciamoci raggiungere da tutto cio’! Lasciamoci raggiungere dal mistero della sofferenza del Figlio di Dio, dalla sua morte! “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio suo”, aveva detto Gesu’ a Nicodemo che era andato a trovarlo di notte. Mettiamoci dinnanzi a questo mistero e di fronte a questo mistero, di fronte a tutto cio’, non sono nascosti ne’ la paura ne’ il dolore: la paura dei discepoli, il dolore delle sorelle.

E la paura dei discepoli e’ la nostra paura ed il dolore delle sorelle, Marta e Maria, e’ anche il nostro dolore, il dolore che stiamo provando tutti dinanzi a queste morti a questa malattia, al Coronavirus, a questo nemico invisibile che ci rende tutti piu’ vulnerabili, piu’ fragili. Dolore e paura non sono estranei neanche alla vita di Gesu’, non sono estranei dalla vita di  Gesu’ perche’ contempliamo, in questo brani evangelico, l’umanita’di Gesu’.

Lo abbiamo ascoltato tutti: tutta l’umanita’ di Gesu’ testimoniata nelle sue lacrime. Gesu’ che piange. Dice il testo: “Gesu’ scoppio’ in pianto”. Sono lacrime, quelle di Gesu’, a singhiozzo. Non possiamo non sentire Gesu’ piangere, Gesu’ non nasconde le sue lacrime.

Quindi, non nasconde tutta la sua umanita’. Davanti a tutti Gesu’ piange per il suo amico, piange Lazzaro. Anche oggi Gesu’ piange.

Anche oggi Gesu’ prova dolore, tristezza. E questa umanita’ dobbiamo sempre piu’ sentire in noi, tra di noi. L’umanita’ di Gesu’. Gesu’ prova tutto questo, ma non rimane prigioniero di questi sentimenti. Nella morte di Lazzaro, ma soprattutto nella morte di Gesu’, scorgeremo un segno di redenzione, un segno di salvezza.

Gesu’ stesso dira piu’ avanti, nel capitolo XII: “Se il chicco di grano caduto nella terra non muore rimane solo, se invece muore produce molto frutto”.

E’ questo mistero che siamo chiamati a contemplare ed e’ a questo mistero che ci stiamo preparando. Il centro del brano che abbiamo ascoltato poco fa e’ il dialogo fatto di parole e di gesti tra Gesu’ e le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria. Marta e’ piu’ loquace, Maria lo e’ di meno.

Al versetto 23, Gesu’ dice a Marta: “tuo fratello risorgera’”. Marta dice: “So che risorgera’ nell’ultimo giorno”. Gesu’ la corregge, indicando una duplice direzione, quella direzione che e’ tutta espressa in quello che Gesu’ dice: “Io sono
la risurrezione e la vita”. La resurrezione passa attraverso Gesu’: “Io sono” e’ la persona di Gesu’ Cristo.

Poi, la resurrezione e’ una realta’ presente , non soltanto futura. E’ una realta’ possibile qui, adesso, mediante la fede.

Marta, quindi, e’ invitata a credere in Gesu’: “Credi questo?”. Un po’come le altre domeniche con la samaritana, il cieco nato. Questa domenica anche noi vogliamo rinnovarla questa fede, insieme.

Tutti insieme nelle nostre case professiamola questa fede: Si’, o Signore io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo. Lo diciamo in questi tempi, in questo contesto: e’ Lui il Verbo che si e’ fatto carne, tra di noi, e’ la vita, luce degli uomini.

La resurrezione e la vita. La morte non e’ l’ultima parola: c’e’ qualcosa di piu’; c’e’ questo mistero di amore, di salvezza, questo dono grande cui siamo chiamati a rispondere a corrispondere. Come farlo oggi dinanzi a tutto questo, paralizzati come siamo soprattutto dalla paura?

Nel brano che abbiamo ascoltato c’e’ questo ordine di Gesu’, questa parola che vogliamo ritenere: “Togliete la pietra”. A noi, carissimi fratelli e sorelle, nel nostro piccolo, tocca fare questo: rimuovere la pietra perche’ possa circolare vita nelle nostre esistenze.

E’ cosi’ che Dio, in un certo qual modo risuscita la comunita’. Lo sappiamo che, a volte, c’e’ gente che questo non lo vuole fare, non vuole rimuovere la pietra. E quando non si rimuove questa pietra la comunita’ non prende vita. Ci sono tanti modi per rimuovere la pietra perche’ nella nostra esistenza possa circolare vita.

Ci sono tanti modi che ci impediscono, a volte, di rimuoverle queste pietre. Ciascuno di noi sa quali pietre bisogna rimuovere perche’ circoli vita nella nostra esistenza.

E Gesu’, dopo avere ordinato questo, prega, e’ in comunione con il Padre. E’ un legame profondo che lega il Padre con il Figlio. E’ la comunione d’amore che scorre tra il Padre ed il Figlio. E’ l’ascolto reciproco. Gesu’e’ l’inviato e Gesu’ ringrazia il padre perche’ e’ stato ascoltato.

Da questa preghiera scaturisce ancora una volta un grido e questo grido vogliamo ascoltare questa mattina: ascoltiamolo profondamente. Gesu’ che grida “Lazzaro vieni fuori” e’ il Signore che chiama e noi, con molta semplicita’, ci chiediamo “da cosa dobbiamo venire fuori, oggi, soprattutto?”.

Carissimi fratelli e sorelle abbiamo bisogno di udire questa voce, di udire questo grido forte nella nostra esistenza. E’ un invito ad uscire, ad uscire da questo momento che ci tiene tutti bendati, tutti legati perche’ tutti noi possiamo andare e portare vita, fare circolare vita nei nostri rapporti, nei nostri sentimenti, nelle nostre scelte.

Liberi di poter dare, amare, perche’ pieni di queste parole che portano fiducia, conforto, consolazione. Vorrei concludere semplicemente con una espressione che ho trovato di Gregorio Nazianzeno, un padre e dottore della Chiesa del IV secolo, che, dinanzi a questa pagina, si esprimeva cosi’: “Signore Gesu’ sulla tua parola tre morti hanno visto la luce: la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain e Lazzaro uscito dal sepolcro alla Tua voce. Fa’ che io sia il quarto”.

Signore, vogliamo udirla questa voce perche’ possiamo venire fuori e portare vita!

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