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Recipienti e Deterrenti: quando l’argilla impastava la vita delle genti

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Sulla via del Mercato di Neocastrum, prima di uscire sul ponte, che è anche “Porta di città”, storicamente parlando, ci si imbatte in qualche bottega antica, che ricorda da vicino qualche Museo demologico.

Non passa inosservata la “vozza”: anfora panciuta ad anse lisce o intrecciate. Quante nostre nonne erano fiere di dissetarci, versandoci l’acqua di sorgente in essa contenuta che, immancabilmente, si conservava più fresca di quella che conserviamo, oggi, nelle comuni bottiglie di vetro.

Simpatiche, a livello manifatturiero, alcune produzioni fittili a doppio orifizio, ad impugnatura ad anello, parlo del “cutrumbulu”: c’è chi dice quanto fosse mamillare la presa d’acqua, interfacciandosi con esso. Beh, Madre Natura, o semplicemente, Cuor di mamma, fate voi!

Nel reggino erano più comuni, invece, la “quartara”, le cui dimensioni erano pressoché variabili: solitamente erano poste sul capo, alleggerito da una pezzuola, per un trasporto meno faticoso.

Fin qui qualche angionimo come lessico anforario: è un’angiosplatica del demos, fa sempre bene rievocarla, secondo me, per far rivivere quella società contadina, da cui tutti, in fondo, dulcis in fundo, abbiamo attinto.

E l’argilla, in tutto questo, era una “buona pasta”: ricordava le nostre origini, ci nutriva, e perché no, ci proteggeva pure!

Come non ricordare i Mascheroni bruzi a carattere apotropaico, posti in un angolo di salotto o in prossimità dei poderi dei nostri antenati!?

Certo, dalle nostre parti, era più frequente la pigna, il cui significato era augurale per la famiglia, che la esponeva: “essere una pigna” significava, sostanzialmente, essere così uniti e compatti da schivare qualunque minaccia esterna.

la pignaPertanto, il coccio, senza “esserlo di”, era un bene prezioso per le famiglie: occupava le dispense, ma, all’occorrenza, faceva pure da centro energetico. E non è poco…

Prof. Francesco Polopoli

 

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