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Sant’Antonio da Padova – il frate dei miracoli

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Sant’Antonio da Padova – il frate dei miracoli

Sant’Antonio da Padova – il frate dei miracoli

È uno dei Santi più amati e venerati della cristianità. Che sia Padova, Lamezia Terme o altra città ogni anno milioni di pellegrini varcano la soglia delle Chiese a lui dedicate.

Scrive Sant’Antonio: “La carità è l’anima della fede, che la tiene viva; venendo meno l’amore, la fede muore” (Ibidem, p. 576; pp. 122-133).

 

La vita

Fernando de Bulloês y Taveira de Azevedo, nato a Lisbona verso il 1195 da Martino de’ Buglioni e Maria Taveira che gli diedero un nome dal significato di grande auspicio in quanto significa coraggioso nel sostenere la pace. Della sua infanzia non si conosce nulla di certo poiché la residenza della nobile famiglia era nei pressi della cattedrale di Lisbona, si pensa che abbia avuto la prima educazione culturale e anche quella spirituale dai Canonici della cattedrale; oltre a seguire, come tutti i giovani nobili del tempo, la carriera delle armi, secondo la tradizione della famiglia, che era di origine nobile. A 18 anni entrò nel monastero di San Vincenzo di Fuori, ossia ubicato fuori le mura della sua città nativa e qui restò per circa due anni fino alla decisione di allontanarsi dalla propria città, ottenendo il trasferimento nel grande convento di Santa Cruz, in Coimbra, allora capitale del Portogallo. Fernando aveva 22 anni. Il nuovo ambiente religioso era formato da una numerosa comunità di circa 70 membri. Il corso di studi durava almeno 8 anni, dal 1212 al 1220. E sono gli anni più importanti e delicati per la formazione umana intellettuale e spirituale di Fernando. All’età di circa 30 anni, Fernando ricevette l’ordine presbiteriale, che gli fu conferito nella stessa chiesa di Santa Cruz e quando sembrava dover percorrere la carriera del teologo e del filosofo, decide di lasciare l’ordine dei Canonici Regolari di Sant’Agostino perché mal sopportava i maneggi politici tra i canonici regolari agostiniani e re Alfonso II, anelando ad una vita religiosamente più severa.

La missione in Marocco

Nel 1220, giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d’Assisi. Quando i frati del convento di monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, Fernando confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito professione religiosa, mutando il nome in Antonio in onore dell’abate, eremita egiziano. Anelando al martirio, subito chiede ed ottiene di partire missionario in Marocco. È verso la fine del 1220 che s’imbarca su un veliero diretto in Africa, ma durante il viaggio è colpito da febbre malarica e costretto a letto. La malattia si protrae e in primavera i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi. Secondo altre versioni, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente a Messina, in Sicilia. Curato dai francescani della città, in due mesi guarisce.

L’incontro con San Francesco d’Assisi

In Sicilia Antonio apprese che a maggio, in occasione della Pentecoste, Francesco d’Assisi aveva convocato tutti i suoi frati per il Capitolo Generale. Così, nella primavera del 1221, frate Antonio insieme ai frati di Messina cominciarono a risalire l’Italia a piedi, per raggiungere Assisi.
Antonio passò i nove giorni dell’adunanza appartato, immerso nell’osservazione e nella riflessione. Quando furono partiti quasi tutti per le rispettive residenze, frate Antonio fu notato da frate Graziano, ministro provinciale della Romagna. Saputo che il giovane frate era anche sacerdote, lo pregò di seguirlo. Dopo un periodo di intensa preghiera a Montepaolo (Forlì) entrò in missione in Romagna combattendo gli eretici (Catari e Patarini) nell’Italia settentrionale e, successivamente, gli Albigesi nel sud della Francia.

La morte

Tra il 1223 e il 1225 pose le basi della scuola teologica francescana, su licenza datagli da san Francesco che lo chiamava «il mio vescovo». Nominato Ministro della provincia d’Emilia, rimase in carica fino al 1230, poi tornò a Padova dove scrisse i Sermoni per le solennità dei santi. Quindi si ritirò a Camposampiero, presso l’amico conte Tiso che gli allestì una celletta pensile tra i rami di un grande noce, da cui pure predicava alle folle. Aggravatasi l’idropisia di cui soffriva da tempo deposto su un carro trainato da buoi venne trasportato verso Padova, dove aveva chiesto di poter morire ma giunto però all’Arcella, un borgo della periferia della città, si spense, era il 13 giugno 1231. La sepoltura avvenne a Padova, nella chiesetta di santa Maria Mater Domini, il rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica. Prima di un anno dalla morte, la fama dei tanti prodigi compiuti, convinse Gregorio IX a bruciare le tappe del processo canonico e a proclamarlo Santo, il 30 maggio 1232, a Spoleto.

La scelta della sua sepoltura in Padova fu per l’amore di Antonio verso i centri culturali, come aveva prediletto, prima le università di Bologna, Montpellier, Tolosa, Vercelli.  Lui stesso era, sia pure fuori da strutture burocratiche, un emerito cattedratico. Ma dire università era soprattutto sinonimo di concentrazione di elementi giovanili. E frate Antonio era un esperto “pescatore di giovani”.
A causa dei molti miracoli operati in vita e ottenuti per sua intercessione dopo la morte, fu canonizzato da Gregorio IX il 30 maggio 1232. Pio XII nel 1946 lo dichiarò Dottore della Chiesa con l’appellativo di Doctor Evangelicus. Sul suo sepolcro a Padova fu eretta la basilica ricca di tesori d’arte e meta di continui pellegrinaggi da tutto il mondo.

                                                     I Sermones

Nell’ultimo periodo di vita, Antonio mise per iscritto due cicli di “Sermoni”, intitolati rispettivamente “Sermoni domenicali” e “Sermoni Mariani e dei Santi”, destinati ai predicatori e agli insegnanti degli studi teologici dell’Ordine francescano. In questi Sermoni, egli commenta i testi della Scrittura presentati dalla Liturgia, utilizzando l’interpretazione patristico-medievale dei quattro sensi, quello letterale o storico, quello allegorico o cristologico, quello tropologico o morale, e quello anagogico, o escatologico. Questi sensi, nella visione odierna, sono dimensioni dell’unico senso della Sacra Scrittura e che è giusto interpretarla cercando le quattro dimensioni della sua parola. Questi Sermoni sono testi teologico-omiletici, che riecheggiano la predicazione viva, in cui Antonio propone un vero e proprio itinerario di vita cristiana.

Le indagini

Un’importante indagine sui resti del Santo fu iniziata il 6 gennaio 1981, in occasione del 750° anniversario della morte di sant’Antonio. Una commissione religiosa e una commissione tecnico-scientifica, entrambe nominate dalla Santa Sede, curarono l’apertura della tomba ed esaminarono quanto vi rinvennero. Rimossa una lastra laterale di marmo verde, si trovò una grande cassa di legno d’abete, avvolta in preziosi drappi.
Essa conteneva un’altra cassa più piccola in legno, dentro cui in diversi involti, sistemati in tre comparti, avvolti in drappi preziosi e con scritte indicative, c’erano:
– lo scheletro, ad eccezione del mento, dell’avambraccio sinistro e di altre parti minori (da secoli conservate in altri reliquiari particolari):
– la tonaca,
– la “massa corporis”, cioè le ceneri: qui sono state individuate le fragili parti dell’apparato vocale del Santo, quasi a riconfermare il prodigio della lingua incorrotta.
I resti di Sant’Antonio furono poi ricomposti in un’urna di cristallo ed esposti, dalla sera del 31 gennaio alla sera della domenica 1° marzo 1981 (per un totale di 29 giorni) alla venerazione dei devoti. Al termine dell’ostensione l’urna di cristallo venne rinchiusa in una cassa di rovere e riposta nella secolare tomba-altare della cappella dedicata a sant’Antonio.
Alcuni reperti, in particolare la tonaca e le reliquie dell’apparato vocale di sant’Antonio, sono tuttora esposti nella Cappella delle Reliquie.

Il culto
Milioni di pellegrini e devoti, provenienti da ogni parte della terra, visitano ogni anno la Basilica a Padova. Non vi è chiesa al mondo che non abbia un altare, un dipinto, una statua dedicata al Santo. Per non parlare poi delle piccole statue e dei santini presenti in vari luoghi, prime fra tutte le abitazioni private. Nel 1920 Benedetto XV elegge Sant’Antonio da Padova “patrono particolare e protettore della Custodia di Terra Santa”. Sant’Antonio è patrono anche del Portogallo, del Brasile, e di numerose città in Italia, Spagna e Stati Uniti. Il Santo è famoso anche come il Santo che aiuta a trovare le cose smarrite. Questa particolare venerazione ha sicuramente origini popolari ma è anche da ricercare nel più comunemente conosciuto “Il Sequeri”, una delle preghiere più note e recitate al mondo. Si tratta di un responsorio latino in onore di san’Antonio, specialmente per invocare il ritrovamento degli oggetti smarriti (resque perditas). Il testo lo compose Fra’ Giuliano da Spira per la Liturgia delle Ore durante la festa di Sant’Antonio.

                                                                                         Lamezia Terme

Sant’Antonio da Padova – il frate dei miracoli
Sant’Antonio da Padova – il frate dei miracoli

A Lamezia Terme, nella zona alta di Nicastro si trova il santuario di Sant’Antonio di Padova, fiore all’occhiello del turismo religioso calabrese, che risale a dopo il terremoto del 1638. La chiesa è costituita da una navata centrale che ospita l’altare maggiore, al di sopra del quale è conservata una grande tela con la Madonna degli Angeli, San Francesco d’Assisi e Innocenza III, e da due navate laterali più piccole. Nella navata dedicata a Sant’Antonio è custodito un dipinto di Andrea Cefaly raffigurante l’Immacolata. Di notevole valore è il quadro di Sant’Antonio datato 1664, opera del pittore Giacomo Stefanone. In occasione della ricorrenza della festività religiosa, il 13 giugno, Lamezia Terme si veste a festa, e celebra i festeggiamenti al Santo di Padova con eventi religiosi e civili dal 12 giugno al 14 giugno. Per non dimenticare la tredicina, la preghiera in onore di sant’Antonio, un’antica forma di preghiera devozionale costituita di tredici invocazioni, il cui numero rimanda immediatamente al giorno della Festa del Santo. Con l’espressione Tredicina si indica anche il periodo di preparazione alla Festa del Santo che va dai vespri del 31 maggio ai vespri del 12 giugno ma può anche indicare i tredici martedì che precedono la Festa del Santo, per ciò detti Martedì Maggiori. La preghiera della Tredicina viene recitata tradizionalmente nel santuario ogni martedì in ricordo di quel martedì 17 giugno 1231 quando vennero officiati i solenni funerali del Santo a Padova e quando venne attestato il primo miracolo dopo la morte. Dice infatti un biografo contemporaneo del Santo: “Subito, in quel giorno medesimo, moltissimi colpiti da diverse infermità furono portati presso la tomba e tosto ricuperarono la salute per i meriti del beato Antonio. Infatti appena ogni malato riusciva a toccare l’Arca, subito godeva di trovarsi libero da ogni malattia”.

 

 

 

 

Valentina Arichetta

 

 

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