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“Senza ombre di cerimonie” di Raffaele Gaetano. Appunti per una lettura

6 min di lettura

Senza ombre di cerimonie (Luigi Pellegrini Editore), ultima fatica letteraria di Raffele Gaetano, è una narrazione sull’ospitalità riservata in Calabria allo scrittore e illustratore inglese Edward Lear durante il suo viaggio nel 1847. Il volume, impreziosito da un ricco corredo iconografico, è il primo di una collana, “All’insegna del Gatto Foss”, diretta dallo stesso Gaetano e ispirata al nome del gatto amato da Lear durante il suo soggiorno sanremese.

All’ordito tematico dell’ospitalità, richiamato nel titolo con un tocco di leggera ed elegante ironia volendo alludere ad una accoglienza familiare, alla buona, priva di convenevoli, si intreccia quello del viaggio inteso, qui, in duplice valenza. Da una parte, c’è il viaggio metaforico, l’immersione di Gaetano nei testi di Lear sia nella versione inglese, “Journals of a landscape painter in southern Calabria” sia nella versione italiana, “Diari di viaggio in Calabria e nel Regno di Napoli”, oltre al certosino lavoro di scavo archivistico e al vaglio accurato delle opere di studiosi di storia locale riportate nel ricco apparato di note esplicative. Dall’altra c’è la riproposizione dell’itinerario seguito da Lear lungo la dorsale jonica della provincia di Reggio Calabria.

Egualmente animato da sete di equilibrio tra rigore storico e ricerca aneddotica, il testo non esita ad assumere un raffinato andamento narrativo/descrittivo con innesti di gradevole humour. Di alto valore documentaristico e divulgativo, l’autore lo interpreta come una pratica della memoria che fa riemergere – o di nuovo vedere – realtà storiche mai palesate o rimosse le quali, solo in apparenza, hanno spezzato ogni legame con la realtà presente.

Con una costruttiva analisi di stimolo e di riscatto dall’oblio, Gaetano ricostruisce la mappa degli alberghi, delle locande e delle dimore nobiliari che ospitarono Lear e il suo allievo Proby durante il loro tour, a piedi, in Calabria. Il viaggio, prendendo l’abbrivio proprio da Reggio Calabria, dove erano ubicati la locanda-albergo Giordano e la bella dimora-giardino del Cavalier Musitano con orto botanico e animali esotici, descritta nei Journals con dovizia di particolari, ci restituisce un paesaggio cristallizzato nella memoria e reso attraverso i suoi residui simbolici: le luci, i colori, la natura, le strade, i palazzi, i cibi ma anche una mappa del potere economico e politico locale con una fauna umana che esibisce le sue piccole nobiltà e le sue grandi abiezioni oscillando tra gentilezze e sgarberie.

Nella sua costante ricerca del sublime, inteso nell’accezione romantica burkiana di delightful horror difronte alla natura selvaggia e incontaminata che costituisce l’elemento identitario del paesaggio calabrese, Lear accompagnato da Proby, da una guida e da un mulo, fa tappa in diversi paesi situati lungo la costa e nell’hinterland jonico. Così, tra passato e presente, l’autore ci offre la descrizione delle varie dimore nobiliari e i ritratti in filigrana dei proprietari. Dalla residenza di Francesco Maropati a Motta S. Giovanni alla modesta ma pulita dimora del medico Pannuti a Bagaladi, da cui si può ancora godere un incredibile panorama. Dalla casa rurale di Giuseppe Tropeano a Condofuri al semplice e disadorno palazzo, abbarbicato su una roccia nerastra, di Antonio Marzano a Bova. A Staiti sono ospiti nel “palazzo dei bozzoli” di Domenico Musitano e a Pietrapennata trovano riparo nella casa rustica del bizzarro arciprete don Domenico Lucianò. A Bianco, dopo un lungo cammino tra aspre montagne, cercano ospitalità nel Convento di Santa Maria della Vittoria. A Sant’Agata del Bianco visitano il palazzo del barone Amato Franco il cui interno è descritto come “sudicio e sciatto”. A San Luca sono ricevuti nel palazzo del notabile Domenico Stranges da una graziosa servetta scalza e poi da Giacomo Stranges, fratello minore di Domenico e, in seguito, visitano il Santuario di Santa Maria di Polsi accolti da devoti e frugali cenobiti. A Bovalino alloggiano nel palazzo del barone Garrolo (al secolo Domenico Antoni Grillo) la cui loquacità è compensata dalle risposte della moglie che giocano sulla sottrazione e sulla brevità linguistica. A Gerace sono ospiti di Pasquale Scaglione in un elegante palazzo, ancora ben conservato, abbarbicato sulla rupe mentre a Roccella Jonica vengono accolti da Giuseppe Nanni in un palazzo molto vecchio, a picco sul mare. A Stignano sono ospiti nel palazzo Caristo e a Stilo trovano accoglienza in due stanze spaziose e pulite nella dimora di Ettore Marzano per approdare poi all’elegante palazzo Asciutti di Caulonia e sempre a Caulonia partecipano ad una elegante soirée a palazzo Crea. E ancora a Gioiosa Jonica dove l’autore, con piglio da detective cerca di indagare sulla reale identità del barone Rivettini che dà loro ospitalità mentre a Canolo, vengono accolti nella signorile residenza di Giovanni La Rosa, il maggiore proprietario del luogo. La tappa a Cittanova li vede ospiti della dimora di Don Vincenzo Zito, provvista di molte comodità mentre a Polistena visitano la casa di Vincenzo Morani, “pittore famoso” che Lear aveva conosciuto a Roma. Nei Journals si trovano, poi, brevi appunti dedicati al palazzo Zerbi di Oppido Mamertina in stile tardo barocco e alla dimora “mal tenuta” di Pietro Tropea a Melito Porto Salvo, raggiunta dopo una escursione a Montebello, ospiti di un fantomatico Pietro Amazichi e a Pentedattilo.  Il loro viaggio termina rocambolescamente a causa dei moti rivoluzionari anti-borbonici scoppiati proprio a Reggio Calabria il 2 settembre 1847  e i due sono costretti ad imbarcarsi su un piroscafo per raggiungere Messina.

I soggiorni di Lear e Proby nelle (tante) dimore private e nelle (poche) locande sparse lungo la dorsale jonica e descritte come stanze buie e sporche, popolate da animali domestici e da ostesse brutte e sgraziate, diventano – altresì – occasione per conoscere le pietanze della cucina calabrese tradizionale: maccheroni al sugo, carne, uova, verdure e la tipica scirubetta ma non mancano portate a base di pesce come la frittura di occhialoni e cibi insoliti come corvi e ghiri arrosto. Alcuni di questi piatti sono sapientemente rivisitati nel ricettario inserito nella sezione “In cucina con Edward Lear” e curato dalla chef stellata Caterina Ceraudo.

Tuttavia, il valore intrinseco dell’opera di Raffaele Gaetano sta nell’aver restituito alla memoria collettiva un patrimonio storico e architettonico quasi sconosciuto e di grande valore. L’art. 9 della Costituzione Italiana recita “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, ma c’è un termine tedesco – Denkmal (monumento) – che ingloba tutto ciò che è degno di tutela, sia esso un monumento dell’arte, della storia o della natura. Cosa è rimasto, oggi, in Calabria del paesaggio storicizzato con i suoi Denkmale – i suoi palazzi e le sue bellezze naturali – così minuziosamente riprodotti negli sketches artistici di Lear? La fotografia che quest’opera ci restituisce è tanto preziosa per l’idea di architettura così straordinariamente integrata nel paesaggio e per le regole di convivenza e ospitalità elaborate e osservate dagli uomini di quel tempo, quanto sconfortante per la perdita, l’incuria e l’oblio che hanno segnato il destino di tanti luoghi così vividamente descritti. Alcuni dei palazzi sono andati completamente distrutti; di altri non restano che ruderi, lacerti, mura dirute; di altri ancora se ne conservano (quasi) intatte le strutture pur avendo subito, nel corso dei secoli, vari rimaneggiamenti.

Così, senza ammiccamenti nostalgici o derive retoriche, lo sguardo lucido dell’autore affonda nella dimensione storica e diventa un percorso tra le rovine del passato come proiezioni simboliche e metaforiche del tempo antico laddove l’indifferenza del presente è sintomo di quella crisi dei valori che investe la nostra contemporaneità. Ecco perché la lettura di quest’opera deve indurci ad una riflessione critica e ad una consapevolezza della nostra storia per ripensare una “politica della bellezza” che rifugga da quella “territorial ferocity” – secondo la definizione di George Steiner – intesa come distruzione degli equilibri ambientali, devastazione dei paesaggi, mercificazione del patrimonio storico-artistico sì che quelle rovine, ricondotte ad una integrità almeno virtuale, possano diventare monito di rinascita, di redenzione estetica e spazi di vita.

 

Giovanna Villella

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