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Tutti i nodi vengono al pettine

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Tutti i nodi vengono al pettine

Credo che ci siano pochi testi letterari, che abbiano come contenuto questa  costola adamica (allora, è finita per questo? Altolà, si fa per dire!) che quotidianamente utilizziamo per sversare, direzionare ed acconciare i capelli: uno è di Gian Battista Marino, il maggior poeta di stile barocco in Italia, il cui sonetto è tutto un’intelaiatura metaforica dall’inizio alla fine del testo.

-Donna che si pettina-

Onde dorate, e l’onde eran capelli,

navicella d’avorio un dì fendea;

una man pur d’avorio la reggea

per questi errori preziosi e quelli;

 

e, mentre i flutti tremolanti e belli

con drittissimo solco dividea,

l’òr delle rotte fila Amor cogliea,

per formarne catene a’ suoi rubelli.

 

Per l’aureo mar, che rincrespando apria

il procelloso suo biondo tesoro,

agitato il mio core a morte gìa.

 

Ricco naufragio, in cui sommerso io moro,

poich’almen fur, ne la tempesta mia,

di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro!

(dalla  raccolta  La Lira)

Parafrasi: I capelli sono come onde dorate, che una navicella d’avorio sta solcando; una mano bianca come l’avorio la conduce attraverso quelle preziose e disordinate ciocche di capelli. Mentre la navicella crea dei solchi attraverso i capelli, l’Amore raccoglie l’oro di quelli spezzati, per formare catene per coloro i quali non sono abbagliati dalla sua bellezza. Il cuore del poeta muore alla vista di questo mare dorato, che mostra il suo biondo tesoro. Il naufragio in cui l’autore sta morendo è prezioso, perché durante la sua tempesta lo scoglio è di diamante e il golfo d’oro.

Ora, il pettine è qui denominato simpaticamente “navicella d’avorio”:  come non evocare, a questo punto, un pecten eburneum del III sec. d. C, conservato al  British Museum, che, verisimilmente, dal nome della sua proprietaria, lo chiameremo, per l’appunto, di Modestina, V(irgo) h(onesta) e(t) e(gregia), donna egregiamente onesta.

Una precisazione, però: si tratterebbe, a parte la dovuta importanza per la vetustà del manufatto, di una normale “pettinicchia” da pidocchi a quei tempi estremamente diffusi! Tra le altre cose, venivano realizzate in serie: gli artigiani pare che le producessero addirittura con sufficiente rapidità ogni giorno. Se così fosse, mi verrebbe da pensare, a pelle d’oca, ad una soluzione pediculicida e lendinicida, degna di un frammento di Livio Andronico (Pulicesne an cimices an pedes? Responde mihi: Erano pulci, cimici o pidocchi? Rispondimi). Non posso però far adattare il Gladiolus o lo spadaccino ad un uso antiparassitario, questo no! Sarebbe una commedia (arcaica) nella commedia, con tanto di disgusto come effetto indesiderato. Pertanto, amo pensare che tutti quei denti in fila con cui allisciamo il nostro pelo siano stati predisposti da sempre per la cura della nostra immagine: se c’è altro, stendo un velo pietoso, per evitare, come a tutti accade,  quel prurito psicosomatico, che prende di fronte ad un sospetto grattacapo. Eh sì!

 

Prof. Francesco Polopoli

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