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Unical, seminario sulla Resistenza antifascista e Carta costituzionale

7 min di lettura

La ‘Costituzione tradita’ nel seminario di Barbiana 2040 e Istituto Ciliberto di Crotone. Gli studenti del Ciliberto scrivono a Mattarella

Il valore etico della Resistenza come sfida ricostruttiva nella quale impegnarsi per rinnovare moralmente e politicamente il Paese, la valenza sociale di una Costituzione che, per la prima volta nella storia d’Italia, ha rifondato lo Stato e ha impegnato la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di natura economica, che impediscono ai lavoratori la partecipazione diretta alla vita pubblica e politica, riconoscendone l’uguaglianza sostanziale. Sono questi i temi affrontati, in occasione della festa di Liberazione del 25 aprile organizzata dal progetto Pedagogia dell’Antimafia del Dipartimento Culture, Educazione e Società dell’Università della Calabria e dall’Istituto Ciliberto di Crotone, in collaborazione con la rete delle scuole di Barbiana 2040.

Il webinar “Resistenza e Costituzione a Barbiana fra passato e presente” è stato introdotto da Giancarlo Costabile ricercatore di Storia dell’Educazione all’Unical e Rossella Frandina, docente di Lettere presso l’Istituto Ciliberto di Crotone, che hanno sottolineato la valenza pedagogica e l’estrema attualità di una Resistenza che si fa dignità, giustizia sociale, democrazia. Se la Costituzione, ribadiscono Giancarlo Costabile e Rossella Frandina, ha rappresentato un’avventura straordinaria e una possibilità di realizzazione di uno stato nuovo, a distanza di quasi 80 anni, noi siamo costretti a registrare una sostanziale lontananza del messaggio pedagogico costituzionale rispetto alla realtà della nostra terra, che è una terra di emigrazione, di sofferenza, di mancata giustizia sociale, una terra che ha prodotto un solo fenomeno globale, purtroppo negativo, che si chiama ’ndrangheta.

Ecco perché nessuno meglio di Barbiana, e del modello che rappresenta, può insegnare alla nostra terra, che è una periferia geografica ma soprattutto esistenziale, che dobbiamo trasformare il tempo dell’egoismo nel tempo delle relazioni significanti. Perché solo una società fondata sulla partecipazione cosciente e responsabile, può conferire pienezza ad una democrazia che non sia più solo formale ma sostanziale.

Centrale l’intervento di Edoardo Martinelli, allievo di Don Milani e coautore di “Lettera a una professoressa” che ha sottolineato come la lotta di Liberazione e la Resistenza dovrebbero orientare, oggi più che mai, i nostri comportamenti etici fondandoli su quei valori democratici nati dalla ribellione contro uno stato autoritario e oppressivo quale fu quello fascista.

L’orizzonte normativo che la resistenza disvela, come insegnava don Milani, è, infatti, proprio quella ribellione all’ubbidienza su cui si basavano le istituzioni fasciste. Se il fascismo era stato la negazione della stessa possibilità di scegliere, la scelta partigiana era, prima di tutto, il ritorno a quella possibilità, che neppure il fascismo era riuscito a cancellare.

Il rifiuto, allora, è il principio attorno al quale si consolida una dimensione condivisa: resistere diventa così una esperienza di responsabilità collettiva che permette di superare l’individualità in nome di un registro etico fondato su una scelta sempre condivisa.

Scelta, sottolinea Matteo Costarella, studente del Ciliberto, è una parola semplice ma carica di significato perché, per avere queste libertà, è stato necessario andare contro quel sistema monodimensionale rappresentato dal fascismo. In tutte le sue forme la Resistenza fu un fenomeno di disobbedienza e di opposizione nei confronti di chi in quel momento deteneva il potere, che era prima di tutto il potere delle armi. Scegliere di resistere significa, dunque, ieri come oggi, scegliere di rischiare.  Solo partendo da questo presupposto la grande portata storica, culturale e profetica dei valori espressi nella Carta costituzionale si radicalizza in un tempo presente. È l’anima del popolo italiano che genera la Costituzione e che dalla Costituzione è espressa. Anima che don Milani ha tradotto nel principio della responsabilità: “[…] Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto”. Egli propone ai suoi ragazzi (ma anche a tutto il mondo) il motto I care, il contrario esatto del motto fascista Me ne frego. I care diventa così il simbolo della Costituzione nata dalla Resistenza al nazifascismo.

Non posso dire ai miei giovani che l’unico modo d’amare la legge è obbedirla, diceva don Milani.  Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini quando sono giuste. Quando invece vedranno che non sono giuste essi dovranno battersi perché siano cambiate.  Su questa affermazione, dice Alessandra Costarella del team gli Scaricati, si basa il mio concetto di Resistenza ad un sistema per pochi, corrotto e colluso, quale è quello che viviamo in questa terra.

La lista dei diritti negati in Calabria, sostiene Danilo Loprete, studente del Ciliberto, è lunga e le cause, purtroppo, non sono solo da attribuire alla criminalità organizzata, ma anche all’omertà, all’indifferenza, al servilismo della gente e alle responsabilità della classe politica. La Costituzione Italiana è molto chiara, ma qui è mal applicata e, senza diritti, si perde la fiducia in quello Stato che, secondo l’art.2, dovrebbe garantire e riconoscere, non abbandonare. Perché la mancata applicazione della nostra Carta costituzionale diventa una ferita non curabile rispetto alla quale, come ribadisce Cristian Casella del team gli Scaricati, in una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, occorre, in terra di ’ndrangheta, trovare il coraggio di resistere. Per vivere senza mettere a tacere le nostre coscienze.

Lettera al Presidente Mattarella di Cristian Casella, studente del Ciliberto di Crotone e componente il team gli Scaricati

Egregio Presidente,

abito una realtà difficile nella quale, sin da piccolo, ti inculcano che, affinché tu possa avere un futuro e quindi studiare, lavorare, curarti, vivere, sia necessario emigrare o, comunque, lottare anche per rivendicare quei diritti e quelle libertà di cui dovrebbe godere ogni cittadino. Almeno questo recita la nostra Costituzione.

Vivo a Crotone, una città abusata dalle Multinazionali e vessata da politici che, negli anni, sotto tonnellate di veleni hanno sepolto anche le loro coscienze.

E con queste le nostre vite.

Crotone è il simbolo di un processo di industrializzazione fallito. Di un progresso falso e stentoreo coniugato, solo, all’insegna dell’ingiustizia sociale.

Le fabbriche l’avevano resa una città ricca, il lavoro era fonte, in apparenza, di benessere e di opportunità.

Ma qui il futuro è un tempo inesistente.

La progettazione non esiste e si vive immersi in un eterno presente che, alla fine, ha condannato tutti. Anche la mia generazione.

E non c’è nulla nella vita di peggiore del sentirsi sconfitti in partenza. Perché la sconfitta diventa parte di te, così cresci e vieni educato ad una sopravvivenza che impone il capo chino e una accettazione passiva della realtà che ti circonda.

A distanza di venti anni, a questa città non rimangono altro che tonnellate di veleni industriali non smaltiti e malattie.

L’articolo 32 della Costituzione recita che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Ma per noi questo è un diritto negato. Perché fra commissioni ecomafie e mancate bonifiche, qui, si muore.

E la morte ha un odore che ti porti addosso per tutta la vita.

Perché in un territorio che privilegia, da anni, la sanità privata rispetto a quella pubblica, in una città in cui il diritto al lavoro non viene garantito, non tutti i cittadini hanno la possibilità economica di partire per curarsi. E che tutto questo avvenga nell’indifferenza generale, mi permetta di dirlo, è indegno.

Mi chiamo Cristian. Ho 18 anni e vivo da sempre in questa città.

Nel Gennaio 2021, purtroppo, ho avuto problemi di salute. Inizia così la mia odissea fra visite a pagamento e problemi non risolti.  È quello allora il momento in cui capisci, anche se hai 18 anni, che essere calabrese non significa, necessariamente, essere italiano. Perché diritti non ne hai. Perché se vivi in una regione come la Calabria o paghi oppure le liste d’attesa, per una qualsiasi visita, sono interminabili, eterne! E il tuo turno potrebbe arrivare quando, ormai, è troppo tardi. Come tanti, allora, sono stato costretto a partire.

Li chiamano viaggi della speranza.

La speranza che ti curino, la speranza di poter partire, la speranza di potertelo permettere economicamente.

Destinazione Pavia.

Io e mio padre.

1168 km, 12 h di auto…

Le posso assicurare, Presidente, che in 12, interminabili, ore di viaggio, di pensieri per la testa ne passano parecchi e sorgono spontanee altrettante domande.

“Perché devo partire per curarmi? Perché non posso farlo a casa? Perché per chi vive più a Sud del Sud le regole del gioco non sono mai le stesse? Perché devo lottare per quei diritti che, secondo la Costituzione, dovrebbero essermi già garantiti?”

A queste domande, la risposta più semplice che danno gli adulti è: abbandona questa terra dannata, emigra, stabilisciti a centinaia di chilometri di distanza in luoghi in cui, incredibilmente, tutto “funziona” …

Imperativi categorici che diventano simbolo di un’etica della rinuncia e dell’accettazione passiva della realtà. Che di fondo ci appartiene.

E noi, educati alla convenienza, spesso andiamo via.

Io, però, sono convinto che tutto questo non porti a nulla.

Dopo oltre 28 giorni di ricovero, durante il viaggio di ritorno, mentre i paesaggi cambiavano davanti ai miei occhi, proprio mentre davanti a me si disvelava una terra bellissima e disgraziata (perché fra strade dissestate e infrastrutture inesistenti lo capisci subito dove sei) ho pensato che sia necessario rimanere.

Occorre rimanere, istruirsi affinché un vero e radicale cambiamento possa avvenire.

Così sono tornato a casa, perché questa terra sbagliata è la mia casa, con ancora maggiore determinazione perché io, come diversi miei coetanei, crediamo in un futuro qui. In Calabria.

Questa è una terra che ha fatto del voto di scambio un sistema. E questo sistema ha distrutto tutto. Alla mia generazione non potranno più promettere niente, perché ci hanno portato via tutto. Sul fondo del vaso è rimasta solo la speranza che da una terra scaricata dalle Istituzioni e dall’indifferenza della sua stessa gente possa partire una nuova resistenza fondata sull’etica della responsabilità.  Idee e principi si pagano qui a caro prezzo ma sono la base di quel vivere civile che è stato costruito proprio dalla Resistenza partigiana. Forse saremo noi i nuovi protagonisti di una resistenza senza armi, fatta di piccoli gesti quotidiani. Forse solo chi si trova nella disperata lotta per la sopravvivenza può decidere di non essere più vittima. Di ribellarsi ad una cultura servile, di operare quello strappo definitivo e necessario con la società dei padri per rivendicare, per una volta, il diritto inalienabile alla vita.

Forse.

Non ho certezze.

Ma per questo chiedo aiuto a Lei in qualità di rappresentate dello Stato e garante dell’ordine costituzionale, perché, senza la presenza dello Stato, nessun cambiamento sarà mai possibile.

 

Un ragazzo che crede nelle Istituzioni

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