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Lamezia, vince l’astensionismo: una persona su due non è andata a votare

2 min di lettura

La percentuale di votanti nella città di Lamezia lo scorso 10 novembre ha sfiorato appena il 55%

Come era auspicabile, bisognerà attendere i risultati del ballottaggio del prossimo 24 novembre per conoscere finalmente il nome di colui che occuperà la poltrona di sindaco, troppo a lungo rimasta vacante.

A contenderla due personalità provenienti dal mondo della destra, l’Avvocato Paolo Mascaro (con il 38,89% dei consensi) e il Promoter Ruggero Pegna (con il 23%).

I dati pubblicati evidenziano la triste sconfitta che anche questa volta la città di Lamezia è riuscita ad aggiudicarsi.

Non quella dei candidati della sinistra né dei loro elettori, di chi parteggiava per l’uno o per l’altro, di chi auspicava uno “svecchiamento delle poltrone” o di chi avrebbe preferito un epilogo diverso.

Ma quella della città.

Si, perché il partito che detiene la maggioranza, quello che raccoglie sempre più consensi, resta l’astensionismo.

A far notizia non è certamente solo il basso livello di partecipazione, ma la ragione per cui i cittadini scelgono consapevolmente di non votare.

Potremmo ricercare le cause, analizzare fattori e circostanze che possano aver spinto un numero così elevato di aventi diritto a non recarsi ai seggi.

Parleremmo di disaffezione alla politica, di scetticismo per la scelta dei candidati, della disillusione che la storia recente ha regalato, dei vecchi ideali che ormai non trovano più collocazione ne motivo di esistere, di sfiducia nelle istituzioni, della crisi dei partiti, del “tanto sono tutti uguali”, del “non cambia mai niente”, del passivo “non mi sento rappresentato”.

O si potrebbe persino ipotizzare che sia stato il maltempo a intimorire.

Ma non-votare non può mai essere una soluzione ammissibile.

Negare a sé stessi la possibilità di manifestare la propria volontà non è un’alternativa.

Privarsi del diritto di scegliere sottrae una serie infinita di possibilità.

Non vi è contestazione politica se ci si limita all’indifferenza senza spendersi in prima persona.

L’astensione è certamente espressione di un malessere, ma non è quello di cui abbiamo bisogno: per i ben tre scioglimenti del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose in pochi anni, per l’allarmante immobilismo sociale, culturale ed economico, per i giovani che continuano a fuggire perché non hanno alternativa.

Non lo è perché non cambia le cose: le soffoca, le paralizza.

“Soprattutto non è bello farlo così, a cuor leggero, o addirittura farsene un vanto. C’è dentro il disagio di non appartenere più a niente, di essere diventati totalmente impotenti. C’è dentro il dolore di essere diventati così poveri di ideali, senza più uno slancio, un sogno, una proposta, una fede.
È come una specie di resa” (Gaber).

Maria Francesca Gentile

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