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Ricrii XVII. “Rusina”, un racconto d’amore

4 min di lettura

Lamezia Terme, 29 dicembre 2019. In scena al TIP Teatro, per la XVII edizione di Ricrii rassegna di teatro contemporaneo 2019.2020 diretta da Dario Natale, lo spettacolo prodotto da Teatro Segreto Rusina di e con Rossella Pugliese vincitrice del Premio Crocitti come Miglior attrice 2019. Lo spettacolo ha debuttato a giugno 2017 nella sezione Osservatorio del Napoli Teatro Festival.

Rusina, nome antico che sa di profumo e di spine. Nonna Rusina, custode di una dimensione storica perduta, arcaica, dove i gesti sono essenziali e i silenzi sono popolati di parole, di cose, di respiri, di emozioni, di amore e di dolore.

Lo spettacolo vive di una poetica del frammento in uno spazio domestico narrato con affetto, furore e delicatezza. Un racconto d’amore sul rapporto privilegiato di una nonna con la nipote che porta il suo stesso nome.

L’armadio di legno, movibile e versatile che – a primo acchito – ricorda un teatro dei burattini o la riproduzione in scala ridotta di un palcoscenico teatrale con il suo classico sipario rosso, all’occorrenza diventa camera d’ospedale, cucina, camera da letto, catafalco, tomba…

Rossella/Rusina si presenta in scena sul letto di morte, incorniciata in verticale come una mater dolorosa. Inizia così un viaggio à rebours, dalla tomba (la morte di Rusina) alla culla (la nascita di Rossella) di una ottuagenaria del XXI secolo, visceralmente calabrese di cui la Pugliese, con quella vestaglietta a fiori, le ciabatte e i capelli raccolte in due crocchie laterali, riesce a ricostruirne le dinamiche psicologiche e comportamentali con tutto il corredo di pregi e difetti: l’autorità e la tenerezza, la tensione morale e il coraggio, l’ingenuità e lo stupore, la sofferenza e la rabbia dolente.

Rusina incarna un universo valoriale saldamente fondato sul concetto della “famiglia di un tempo” nella quale ognuno, in virtù della complicità reciproca, trovava coesione e forza. Ella è la mater familias che, pur affondando le proprie radici nel  substrato culturale arcaico e arcano del Sud dove la mentalità arretrata è legata soprattutto alla questione femminile cristallizzata nell’archetipo della donna moglie/madre, se ne discosta rivelando libertà di pensiero e autonomia d’azione. Della modernità, Rusina accetta giusto qualche genere di “conforto” materiale come il televisore e la batteria di pentole ma nulla in campo morale pur facendo intravvedere, in alcune situazioni, una certa larghezza di vedute. Il marito, Giovanni, sposato per affetto e per  sfuggire all’umiliazione sociale dello zitellaggio per raggiunti limiti d’età, è un uomo assente dal suo progetto di felicità legato all’amore, svanito nel momento in cui il carabiniere che ama viene trasferito altrove.

Il flusso del racconto ripercorre l’andamento magmatico ed erratico dei ricordi: il 24° compleanno di Rossella, la morte del marito, compianto nonostante le tante amarezze, la stesura del testamento con cui lascia tutto alla nipote prediletta, lo strazio per la sua partenza, la solitudine sapientemente sottolineata da una struggente Ave Maria, il calore del pranzo in famiglia,  la genuina semplicità delle feste popolari,  gli insegnamenti impartiti alla piccola su come portare la cesta sul capo con il sinale arrotolato a mo’ di corona, le contrattazioni con il venditore ambulante per l’acquisto della batteria di pentole da aggiungere alla dote di Rossella perché non ci si può arrivare impreparati al matrimonioBeautiful e l’immorale mondo delle telenovelas, la pennichella pomeridiana con una ninna nanna intercalata da gustosi improperi. Poi un intermezzo onirico, proiezione di quella vita che Rusina avrebbe voluto, sulle note del celeberrimo tango Per una cabeza di Carlos Gardel nel quale la Pugliese rivela tutta la sua sensualità mediterranea e il cui riverbero si protrae nella scena successiva, sublimato in un atto di adorabile inverecondia. L’incontro con il vicino a cui la piccola Rossella ha rotto un vetro dà l’abbrivio ad una lezione sulla sacralità del lavoro e del rispetto altrui. Ancora il dolore lancinante per la perdita dei figli Vincenzo, nato morto e Melina, di soli 30 anni. E poi il suo desiderio di morte urlato al cielo che vira in parole dolci, consolatorie come una preghiera mentre stringe tra le braccia la nipotina appena nata, balsamo salvifico, angelo che compie il miracolo d’amore.

Rossella sarà la destinataria di quel progetto di felicità che a Rusina è stato precluso perché tra nonna e nipote c’è un afflato spirituale, un combaciar di anime che va oltre il legame di sangue. Rusina veglia su un ordine di valori domestici che non deve essere compromesso e che solo lei sa difendere fino in fondo. Facendola rivivere sulla scena, Rossella ne raccoglie l’eredità, perpetuandola con una intensità interpretativa vitalissima e gioiosa fatta di corpo e di voce, di terra e di vento. La lingua è un dialetto calabrese musicale e tagliente che sembra conservare tracce sonore di derivazione arbëreshë in una liturgia del testo che concilia ironia ed emozione, comicità e tormento, astrazione e verità.

Una  grande prova d’attrice salutata da una lunga, meritata, standing ovation.

 

 

Giovanna Villella

[photo Luca Imperiale, Dora Coscarelli/Courtesy TIP Teatro, Lamezia Terme]

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