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IL (mio) REGALO DI NATALE

2 min di lettura

A Natale non dobbiamo essere tutti più buoni; e a Natale non c’è solo bontà, in giro. Quale film allora cattura meglio di Regalo di Natale di Pupi Avati non l’essenza, ma la realtà del Natale?

Dove chi è povero si sente ancora più povero, chi è ricco ancora più ricco, chi è solo ancora più solo.

Regalo di Natale non è una commedia, allora, nonostante ne rispetti i canoni; in uno dei film di Avati più famosi e celebrati c’è spietata durezza nei rapporti tra i personaggi che erano finzionali di amicizia. Rapporti che tradiscono il fallimento di una vita, della vita dei protagonisti epigoni di una generazione perdente. Gli errori trasfigurati in rimpianto, gli sgarbi trasformati in ferite che marciscono in rancore sordo, inespresso, inguaribile.

Quattro amici si ritrovano la notte di Natale con l’intenzione di spennare un “pollo” al poker. Due di loro, Franco e Ugo, sono ora due estranei, e attingono al passato per i pochi scambi di battute. Regalo Di Natale è la caduta delle illusioni e il trionfo del cinismo, dell’egoismo più spietato che porta in trionfo solo il denaro, sul cui altare ognuno è disposto a sacrificare anche gli affetti più cari. Tutto questo Avati lo racconta con quell’arte affabulatoria tutta sua che non cade (quasi) mai nel bozzettismo, ma rileva, con pochi ma acuti tratteggi, un personaggio in tutta la sua ampiezza emozionale.

Ed ecco il tocco di genialità che fa del film uno dei migliori del nostro cinema, opera fra le più citate e, nonostante la sua aura di autorialità, fra le più conosciute: il non lasciare mai spazio al sentimento, non cedere mai alla caduta del ritratto emotivo e/o emozionale, ma perseverare a raccontare solo il reale, quello che c’è dietro la carta luminescente delle stelle da presepe. Una storia sotterranea e silenziosa come le partite di poker che mostra in più sequenze, che riesce anche ad essere un film profondamente, prorompentemente “avatiano”: per la sua incursione nel tempo e nella memoria, per il suo riscoprire il passato per leggere il presente – un passato però mai spento e sempre presente, acceso, infuocato anche se immobile lì, nei ricordi. Alla fine, Regalo Di Natale lavora e ricostruisce quel sostrato di (ri)sentimenti che si intrecciano a formare l’attualità, il nostro presente. E in questo senso, è perfetta la metafora attraverso il poker: una sfida continua e continuamente perduta con il destino.

Sul finale, la luce dell’alba non è la luce della speranza alla fine del racconto: accompagna solo vincitori e vinti dopo che la vita ha giocato le sue carte. Ormai i giochi sono fatti, i sogni finiscono e anche questo Natale senza bontà è passato.

Una buona fine, per un miglior inizio.

GianLorenzo Franzì

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