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Anteprima de La Terra Senza a Catanzaro, intervista all’attore Carlo Greco

8 min di lettura
Carlo Greco

I temi della partenza e del ritorno hanno sempre accompagnato la specie umana e riempito quintali di carta, dai libri ai saggi, agli articoli di giornale. Argomenti che diventano ancora più cruciali se provenienti da terre dove la partenza è una cosa quasi normale, scontata, e il restare o addirittura il tornare sono considerati dei veri atti di coraggio.

È questo il tema centrale de La Terra Senza, un film di Moni Ovadia, un adattamento dell’opera teatrale di Anna Vinci, con la co-produzione di Rai Cinema.

La sua proiezione in anteprima al Teatro Comunale di Catanzaro, mercoledì 27 marzo, è l’occasione per parlarne con Carlo Greco, ormai apprezzato e conosciuto attore di teatro e cinema, i cui natali risiedono proprio nella città di Catanzaro e nella quale ritorna per raccontare una storia non personale ma che accomuna moltissime persone che in Calabria sono nate.

Siamo a pochi giorni “prima” dell’anteprima: come ci si sente?

È emozionante per una serie di motivazioni perché ci si dà in pasto al pubblico, no? È il pubblico che decide, che apprezza e manda avanti un artista. Un pubblico che non apprezza può anche bloccare alcune situazioni perché ovviamente non si piace a tutti. C’è sempre qualcuno che critica soprattutto in questo periodo. In questo momento vedo sui social delle stranissime critiche e giudizi negativi su cose anche invece molto molto belle, sia a livello di arte che di dialoghi e idee. Spesso già il giorno dopo un’uscita si leggono delle cose terribili. Quindi c’è questa emozione che si aggiunge alle emozioni incredibili vissute per il fatto di essere nella mia terra, di avere davanti un pubblico di concittadini calabresi. Catanzaro mi ha dato i natali però qualsiasi posto fosse stato sarebbe stato sempre la mia terra. È la mia terra e quella dalla quale mi aspetto che ci siano delle gratificazioni. Io non credo assolutamente al Nemo propheta in patria, non ci credo assolutamente, perché ogni qualvolta mi sono esibito in teatro a Catanzaro, a Lamezia (al Teatro Grandinetti l’anno scorso con Nota Stonata insieme a Giuseppe Pambieri) c’è stata un’ovazione da parte del pubblico. C’è stata una bellissima accoglienza con un applauso di sortita stupendo. Quindi voglio dire, qualsiasi posto sia della Calabria sono sempre lì a pensare come possa andare a finire e quindi l’emozione.

La trama racconta di partenze e ritorni, ed è girato a Catanzaro, città natale di Carlo Greco. Immagino sia stato quasi automatico empatizzare con la storia.

Beh sì, abbastanza. Anche perché l’avevo già fatto nel 2018 in teatro. La sceneggiatura del film è tratta da un’opera teatrale scritta da Anna Vinci, scrittrice e autrice bravissima, straordinaria, che ha scritto questo anche sulla base dei ricordi miei: in un giorno di luglio sulla spiaggia di Ischia ricordavo un po’ la mia giovinezza in Calabria, lei ascoltava con interesse e alla fine mi disse che si sarebbe potuta scrivere un’opera teatrale. Ero un po’ riluttante, più che altro sulla possibilità di metterla in pratica. La scrisse, mi piacque e alla fine siamo riusciti a farla produrre, siamo andati in scena, anche a Catanzaro con la Fondazione Teatro Politeama. Quindi era un personaggio che avevo già interpretato in teatro, anche se poi nel cinema la sceneggiatura cambia un po’ perché ci sono mani che si aggiungono. Anna Vinci ha dato l’idea del soggetto, poi Moni Ovadia, il regista, e Viola Lucio, una sceneggiatrice che collabora con Ovadia, hanno aggiunto alla prima bozza di sceneggiatura di Anna Vinci la loro creatività ed è venuta fuori una sceneggiatura cinematografica che non si distanzia tanto dalla opera teatrale. La base rimane quella, però ci sono dei sentimenti, stati d’animo, situazioni nuove che mi hanno molto emozionato, anche perché l’attore Carlo Greco è andato via come Ludovico, il personaggio, e anche lui è ritornato dopo tanto tempo. Mi è stato difficile da un punto di vista emozionale dover interpretare Ludovico proprio perché in certi campi mi toccava profondamente e quindi le sofferenze erano vere. Penso mi sia dato da fare scavando nel fondo della mia anima per avvicinarmi il più possibile nei sentimenti e stati d’animo in un Ludovico nuovo per ciò che era stato aggiunto da Moni e da Viola. Ho lavorato tanto credendoci fino in fondo e credo soprattuto di poter far passare attraverso lo schermo questa mia emozione e sofferenza, come Ludovico che soffre, è dolorante nel fisico, curvo, come diceva una critica che aveva fatto una recensione avendo visto in privato alcuni fotogrammi nel film: “sei un Ercole curvo dal dolore, dalla fatica, dai ricordi terribili” da tante cose che aveva messo sotto una pietra e che nel ritorno nella sua città vengono fuori, come una tomba che si apre facendo uscire tutte le ceneri del passato.

Lei è un attore di teatro, il film è tratto da una piece teatrale. Come si adatta l’una all’altra cosa e cosa deve cambiare un attore come Lei, che fa sopratutto teatro, quando è davanti la macchina da presa?

Se si è versatili ed eclettici, altrimenti non si farebbe questo mestiere, è abbastanza naturale anche se sono due cose completamente diverse. In teatro c’è da rispettare un copione e un testo teatrale come se fosse uno spartito musicale, con i tempi e ritmi della battuta, le tonalità con le sfumature secondo quello che si dice. Nel cinema invece più naturali si è quando si dice la battuta meglio è; lì ci sono gli sguardi, le espressioni facciali. Alcune volte non ci sarebbe neanche bisogno di avere un dialogo per raccontare una storia. Pensiamo i grandi maestri del neorealismo che non prendevano mai attori, era quasi tutta gente di strada – anche se poi alcuni hanno fatto anche carriera – perché l’importante è la naturalezza, come parlano gli occhi. Quella lente della macchina da presa ti guarda mentre stai facendo una scena, rapisce, coglie i gesti, gli sguardi, gli occhi, tutto ciò che è dentro l’animo del personaggio e attraverso lo schermo poi dovrebbe dare le emozioni al pubblico.

Moni Ovadia in regia, Donatella Finocchiaro e Aurelio D’amore come compagni di avventura. Ci sono più generazioni a confronto ed esperienze diverse. Quanto sono stati importanti questi elementi?

Ero già abituato al suo modo di lavorare avendo fatto Nota Stonata con lui in teatro, e non dirige mai imponendo (questo lo dico sempre ma non viene mai riportato), prima ti dice come vorrebbe fare le cose e poi ne permette la discussione, accetta quasi sempre le nostre proposte aggiungendole alle sue, oppure cambiando in parte quello che era una sua idea nel modo di girare le scena o metterla sul palcoscenico, e questo suo modo di collaborare mi ha dato tantissimo. La possibilità di poter lavorare insieme, e quindi creare il personaggio insieme, non nasce mai solo sull’attore. Donatella Finocchiaro è una straordinaria attrice, grande esperienza, ha vinto un nastro d’argento, un David di Donatello, è una signora attrice quindi anche con lei c’è stato un feeling incredibile fin da subito e anche fuori dal set, ne parlavamo, ne discutevamo, ci confrontavamo. Aurelio un bravissimo giovane palermitano che riusciva a fare anche molto bene l’accento calabrese, ed era facile ad adattarsi a me e Donatella, era mutevole, bastava uno sguardo o una parola e lui capiva immediatamente.

Senza svelare troppo, un passaggio del film che ha fatto capire a Carlo Greco fosse un film per lui durante la lettura della sceneggiatura?

Questo l’avevo capito già avendolo fatto in teatro. Vorrei intanto che sia chiaro questo non è un film autobiografico, bisogna toglierselo dalla mente. Ci sono tante cose che non mi corrispondono, però ci sono tante altre che invece mi fotografavano, mi entravano dentro, facevano parte di me, per cui ho capito che interpretando ciò che già era dentro e rassomigliava a Ludovico sarei potuto arrivare, scavando nel profondo della mia anima, a quello che era stato creato dalla sceneggiatura.

Tornando a Catanzaro, e in generale alla Calabria, terra che negli ultimi anni sta ospitando tantissime produzioni cinematografiche: siamo sulla strada giusta? Dall’alto hanno finalmente capito quanto il cinema possa essere importante per una terra come la nostra?
Il cinema è importantissimo per una terra come la nostra perché la Calabria può fare dei salti da un punto di vista culturale, turistico. È una terra meravigliosa che ha tutto ma purtroppo la cultura ancora non è così completa come dovrebbe essere. Non ci sono termini di confronto. Ovviamente il teatro sta arrivando, grazie anche ad AMA Calabria che distribuisce gli spettacoli in tutta la regione, anche in paesini piccoli e con grandi successi, questo è un confronto culturale che serve tantissimo. Una volta in Calabria il teatro veniva nella grandi città ma era raro, non c’era una stagione teatrale e non arrivava dappertutto. Spesso vengono scelte altre location, della Puglia, del Piemonte, lo fanno spesso perché le Film Commission di queste regioni e di altre cercano il più possibile di avere i set per fare anche pubblicità. In questo caso, la proiezione è stata rifiutata dalla Film Commission, ma abbiamo avuto il supporto del comune grazie alla dottoressa Celestino, vicesindaco della vecchia amministrazione. Però, più la Film Commission accetta le produzioni che vogliono fare film in Calabria, più pubblicità avremo per la Calabria, più si conoscerà e si apprezzerà.

Dopo questa anteprima altre sue presentazioni, Milano e Roma. E poi il film che strada prenderà?

Il film uscirà in moltissime sale, anche dove è stato proiettato in anteprima, quindi anche qui a Catanzaro fra fine aprile e fine di maggio e sarà in cartellone come tutti i film in base alla presenza del pubblico, più pubblico andrà a vederlo e più resterà in visione. La Terra Senza è entrato nel circuito cinema che ha 30/40 sale in tutta Italia, più una distribuzione indipendente anche nelle città meno popolate, perché può essere apprezzato moltissimo in questi luoghi. Finito il circuito cinematografico, essendo co-prodotto da Rai Cinema andrà anche in televisione.

E invece Carlo Greco che strada sta percorrendo, ora? Oltre a questo film, naturalmente.

Continuerà ancora per la quarta o quinta stagione teatrale, non ricordo, lo spettacolo Nota Stonata di Didier Caron, con la mia traduzione in italiano, sempre regia di Moni Ovadia e con Giuseppe Pambieri mio partner incredibile, straordinario umanamente e come attore. Stiamo andando avanti con questo spettacolo dal 2020 nonostante tutte le interruzioni, vista anche la pandemia, però siamo ancora in stagioni teatrali per il prossimo autunno/inverno. Ho un progetto cinematografico nuovo mio come idea, diventata già un soggetto e ora sta per diventare un trattamento, prima di passare alla sceneggiatura. Dopodiché si dovrà girare e, do questa piccola esclusiva, vorrei che venisse girato anche in Calabria. Sto cercando di ritornare alla mia terra anche attraverso il mio lavoro, sperando di avare anche l’aiuto della Calabria Film Commission.

Renato Failla

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