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Ciao compà: quante volte ce lo siamo sentito dire!?

2 min di lettura
stretta di mano

Andando indietro nel tempo, stile “C’era una volta”, lo ritrovo nelle favole come saluto informale (compare lupo, compare orso, ad esempio), per poi assumere, forse attraverso l’intermediazione del sacro, senza implicitare con ciò di essere una dependance dello Stato della Chiesa, il titolo dato ad un uomo di rispetto (compare Turiddu e compare Alfio sono i protagonisti della Cavalleria rusticana di Giovanni Verga)

Come spiegarselo più in soldoni!? In pratica è come se volessi dire, hey tu!!! Forse a spiegarcelo ancora meglio sono coloro che stanno da tutt’altra altra parte rispetto a noi: penso alla voce dei nostri emigranti che, oltre alle rimesse dall’estero, hanno rimesso in circolo il nostro bel dialetto.

«Compà it’s a dialect form used in some parts of Italy like Calabry. It’s used in the same way you could use the word brother. For example. Hey bro! = Hey compà!» (trad.: «Compà è una forma dialettale usata in alcune parti d’Italia come la Calabria. È usato nello stesso modo in cui potresti usare la parola fratello. Per esempio. Ehi fratello! = Ehi compà!»).

Ora sempre più spesso incrociamo persone che camminano a passo svelto e a testa bassa, senza parteciparci nemmeno un semplice saluto, non dico un sonoro buongiorno con un sorriso!

Ecco, farlo di più significa non solo familiarizzare col nostro prossimo ma portartelo pure nella famiglia delle tue relazioni: la fratellanza è tutta in questo bel «compà» lametino.

Ovviamente con la dovuta prudenza, perché la Treccani insegna che restar compare può far rimanere gabbati, specie quando si prestano dei soldi senza riuscire a ottenerne la restituzione.

Qui il compare s-compare, che dire, ahahah!

Prof. Francesco Polopoli

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