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A Cosenza si conclude il “Viaggio della speranza” dell’associazione Nessuno Tocchi Caino

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A Cosenza si conclude il “Viaggio della speranza” dell’associazione Nessuno Tocchi Caino

Lo scorso 30 settembre, a Cosenza, si è conclusa l’iniziativa promossa dall’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino, dedicata alle carceri calabresi

Un mondo fatto di persone e famiglie, quello degli istituti di detenzione, dove convivono differenti aspetti sociali: dal sovraffollamento alle carenze di personale, alle problematiche relative alla vivibilità degli stessi.

Nel pomeriggio si è anche tenuta una conferenza al Tribunale di Cosenza, all’interno della Biblioteca COA, dove vari relatori impegnati da anni nel settore, hanno dato il loro contributo in termini di riflessione e professionalità.

Tra gli intervenuti abbiamo avuto la possibilità di intervistare l’avvocato Roberto Le Pera, Presidente della Camera Penale di Cosenza: “Se iniziamo a pensare che il carcere non è una discarica, in cui ci sono rifiuti differenziati ed indifferenziati, allora iniziamo a parlare in maniera umana, di esseri umani. Veniamo da una rassegna culturale organizzata con i detenuti della Casa Circondariale di Cosenza, rappresentazioni teatrali, dove emerge veramente il vissuto, con tanta particolarità e specificità. Ma è necessario osservare anche le carenze, come l’assenza della figura psicologica. Si potrebbe pensare, vabbè non c’è necessità oppure l’occorrenza. No, la carenza della figura dello psicologo determina che all’ingresso i nuovi giunti non possono avere una visita completa, determina che le problematiche concernenti qualsiasi situazione non ricevano alcuna risposta. Ciò ci porta a pensare se il carcere in questione, sia conforme a quanto detta la nostra Costituzione”.

Il Presidente Le Pera, è una persona preparata e umana allo stesso tempo, riesce a coniugare l’aspetto puramente giuridico a quello degli ultimi che incontra quotidianamente. Lo fa con fatti concreti, avendo prodotto una relazione del Consiglio distrettivo della Camera penale di Cosenza, conseguente ad una visita, nella quale sono emersi fatti molto importanti: 282 detenuti, nonostante la capienza regolamentare sia fissata dal Ministero della Giustizia in 218 posti. Il personale di polizia penitenziaria è indicato nella pianta organica ministeriale in numero di 169 unità, mentre è effettivamente composto a 139 operatori.

Tra le persone che vivono in prima linea lo stigma sociale anche l’avvocato Valentina Spizzirri, Referente Regionale Osservatorio Carcere UCPI: “Quello che purtroppo emerge ogni giorno, il nostro compito, è quello di portare fuori la voce dei detenuti, un urlo di sofferenza. Abbiamo fatto ingresso, con la camera penale di Cosenza, in agosto per l’installazione di pannelli in plexiglass opachi, posizionati alle sbarre delle finestre delle celle, questo è avvenuto per ragioni, ci viene riferito, di sicurezza, per evitare comunque un contatto con l’esterno, anche se poteva essere evitato tranquillamente, perché così facendo, i detenuti non hanno aria, non hanno visibilità, non hanno possibilità di vedere nulla, sono arrivati a un punto da non respirare. Immaginate nel periodo di luglio e agosto la temperatura all’interno del carcere, per quanto ci siano dei palliativi, con qualche ventilatore installato, è invivibile. Stare a contatto con loro ti fa capire ancora di più quello che oggi affermiamo con forza: la pena è punizione, castigo, e questa pena in queste condizioni, non riesce a consegnare una possibilità di recupero, di risocializzazione, per uscirne migliorati”.

Ha ragione l’avvocato Spizzirri, le carceri andrebbero visitate dai comuni cittadini per rendersi conto che, al loro interno, spesso le condizioni non sono degne della parola “umanità”. Eppure al loro interno c’è gente che, malgrado gli errori, cerca, con umiltà e fatica, di sopravvivere, sperando in un futuro oltre le sbarre. Dietro ci sono famiglie, figli, mariti e mogli, rapporti umani troncati e che tentano di essere mantenuti. Per non parlare dei lavoratori degli istituti detentivi, esausti, a volte rassegnati, eppure sempre pronti a sostituirsi, quando necessario, se il dovere e le circostanze lo richiedono.

E’ utile questo tipo di strumento riabilitativo, mi chiedo e lo chiedo a chi ne ha fatto un baluardo, ovvero Elisabetta Zamparutti, che insieme a dei capi saldi come Sergio D’Elia e Rita Bernardini, sono continuamente cercati dalle persone presenti negli istituti detentivi: “E’ dal 19 settembre che Nessuno Tocchi Caino, in quello che abbiamo chiamato “il viaggio della speranza” sta attraversando la Calabria per visitare tutti gli istituti di pena. Oggi a Cosenza, si conclude questo nostro viaggio per cercare di far conoscere la realtà della vita detentiva, una realtà che non viene raccontata, di cui non viene detta la verità, vengono dette falsità, vengono dette menzogne, c’è una narrazione che non corrisponde minimamente alla condizione letteralmente di degrado, di mancato rispetto della dignità, di violazione dei diritti umani che secondo me, pensando di attraversare questi luoghi, cioè le carceri, con una bussola, quella dell’articolo 3 della convenzione per i diritti dell’uomo che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti impazzirebbe. Non riguarda solo la Calabria, anzi, posso dire che in Calabria abbiamo carceri come Laureana di Borrello, che avrebbero da insegnare anche a Bollate. Insomma ci sono elementi che sicuramente se portate alla Corte Europea per i diritti dell’uomo, vedrebbero una condanna del nostro paese”.

La conferenza è lunga, articolata, ogni intervento è a volte un pugno nello stomaco, ma allo stesso tempo una riflessione lucida che porta ad un’unica soluzione: se un carcere non riabilita la persona, allora l’istituto carcere per come è stato inteso fino ad oggi, non serve. Sergio D’Elia, Segretario dell’associazione Nessuno Tocchi Caino, ci spiega l’origine della parola carcere, ovvero sotterrare, tumulare, praticamente un cimitero dei vivi, dove si sotterra un essere umano. Chiavistelli, sbarre alle finestre, il plexiglass ad impedire lo sguardo fuori, oltre, per sognare, immaginare un futuro. 1000 casi all’anno di vittime di giustizia, 1 suicidio a settimana, e gli sguardi di chi ti accoglie nella propria cella, piccola, stretta, nella quale è metodicamente sistemato un mondo. Entri in punta di piedi, parli, sorridi, a volte ascoltando le loro storie, ti viene il magone e scende una lacrima, perché vorresti portare speranza, vorresti confortarli. Ed allora ti ricordi del fondatore del Partito Radicale, Marco Pannella, che ha espresso un concetto davvero calzante in questa situazione: “Spes contra spem” una locuzione latina che significa “essere speranza, piuttosto che avere speranza” e noi dovremmo esserlo sempre.

Riccardo Cristiano

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