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Giuseppe Occhiato e il suo “Oga Magoga”: un autore e un romanzo da riscoprire

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E’ stata l’Uniter di Lamezia Terme (Università della terza età e del tempo libero) a proporre il dibattito in un convegno svoltosi nella propria sede di via Misiani

A relazionare, il professor Emilio Giordano affiancato dalla professoressa Anna Stella Scerbo. Oggetto della discussione la nuova edizione dell’opera monumentale dell’autore di Mileto, ancora poco noto ai più, a nove anni di distanza dalla prima pubblicazione.

Giuseppe Occhiato, fine intellettuale, studioso calabrese e artista poliedrico, nacque nel 1934.

Rimasto orfano di entrambi i genitori quando era ancora piccolo, compì studi classici a Vibo Valentia e si laureò a Messina in lettere moderne. Visse poi a Firenze, dove morì nel 2010.

 

Negli anni si interessò di storia patria e storia dell’architettura medievale meridionale. Contribuì a rivalutare il ruolo della Calabria normanna nell’ambito del Romanico europeo ed elevò Mileto a capitale della contea di Ruggero I d’Altavilla.

Promosse campagne di scavi nelle aree delle antiche abbazie benedettine di Santa Maria di S. Eufemia Vetere e della SS. Trinità di Mileto, e l’istituzione del Museo Statale nel suo paese d’origine.

Prima allievo poi collaboratore del professor Marabottini, fu sempre impegnato in convegni storici come relatore. Pubblicò vari saggi su riviste italiane e europee.

I suoi studi sono stati utilizzati in quasi tutte le campagne di scavo intraprese in Calabria negli ultimi anni.

Si occupò con passione di lingua dialettale e scrisse numerosi romanzi, tra i quali Oga Magoga, vincitore del premio “Corrado Alvaro”.

Il poema, con le sue 1300 pagine circa (il più lungo romanzo della letteratura calabrese) – spiega il relatore Giordano che ne ha curato l’edizione in questione ed è “missionario” della scrittura di Occhiato- fu seguito dalla pubblicazione di un opuscolo redatto dallo stesso autore per renderne meno ostica la lettura.

Nel manuale sono indicate le sei opere che più lo hanno ispirato: Moby Dick, Cent’anni di solitudine, l’Ulisse di Joyce, l’Odissea, Il Guerrin Meschino e l’Orlando Furioso.

“Io scrivo per me stesso, neppure per i venticinque lettori di manzoniana memoria”, esordisce Occhiato nel volume.

A far da cornice, il tramonto del mondo contadino, alle spalle una figura offesa di orfano: l’autore stesso.  L’opera nacque come biografia e divenne poi molto di più.

La morte, tema onnipresente, non è solo “carnizzara”, ma sacrale. Celebrata dalla musica della sua poesia – continua la professoressa Scerbo – è “una donna vestita di nero che impone il silenzio”.

Esistono quattro redazioni in versi lunghi, senza rima finale. Non manca però il ritmo, che non si perse nel passaggio dalla poesia alla prosa.

Nella storia non compare un solo protagonista, ma più personaggi si avvicendano.

Quando nel 1981 Occhiato inviò il manoscritto agli editori, rimase deluso dalla loro riluttanza e scoraggiato ne interruppe la stesura.

Fino al verificarsi di un episodio, realmente accaduto all’autore e narrato, inerente la prima protagonista della sua storia: una zingara bellissima.

“L’ho rivista giovane come allora, è tornata sulla terra per rovinare qualcun altro”, dice nell’ ’83.

Pare che lo scrittore, recandosi nel mercato del suo paese, si fosse imbattuto in una ragazza incredibilmente uguale a quella da lui descritta anni prima. Tornata forse perché l’opera venisse compiuta.

E così fu, nel 2000 il romanzo venne pubblicato in tre volumi. In accordo con l’editore, il titolo scelto fu Oga Magoga, da un’immagine del male assoluto tratta dal libro di Ezechiele (fortemente presente infatti la sfera religiosa).

Il protagonista, Rizieri Mercatante, è il soldato che ritorna al suo paese e lo scopre terrorizzato dal Minotauro misterioso riemerso dagli abissi del tempo, ma è anche Ulisse che ritrova Itaca e Teseo deciso a uccidere il mostro ancora una volta: è un paladino francese, ma anche Gesù Nazareno che accetta serenamente i giorni della passione e della morte.

L’opera, perfettamente a suo agio tra i classici, è uno dei capolavori del nostro Novecento. “Immenso”, lo ha definito Vito Teti.

Riproporne oggi la lettura significa restituire quel valore e quella dignità negata in passato alla straordinaria penna dell’autore a fare dono alle nuove generazioni di lettori di un prezioso poema dei giorni nostri.

Maria Francesca Gentile

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