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Intervista al Segretario Generale Nazionale della Cisl, Luigi Sbarra

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luigi sbarra

Sindacalista da sempre, Luigi Sbarra, calabrese doc – di Pazzano in provincia di Reggio Calabria –, inizia la propria attività sindacale sin da giovane, dopo aver conseguito il Diploma presso l’Istituto Tecnico per Geometri. Sposato e papà di due figli, Sbarra dopo un lungo percorso fatto di impegno e battaglie per i lavoratori, da qualche anno si trova alla guida nazionale di una delle più grandi ed importanti sigle sindacali italiane, nella fattispecie, la Cisl.

  1. Quando nasce la passione per l’ambito sindacale? E quali sono le caratteristiche che un sindacalista deve avere, secondo Lei?

Ho iniziato l’attività sindacale quando ero molto giovane, tra i braccianti della Locride. Gente rassegnata ad una vita di miseria e di fatica. E lo sforzo maggiore era proprio convincerli che avevano dei diritti e che, attraverso il sindacato, avevano anche la forza per rivendicarli. Poter dare una speranza alle persone, ridare loro fiducia, condividendone bisogni e aspettative: è questo che mi ha fatto scattare la scintilla. Che poi è diventata passione con lo studio e la formazione. A iniziare dal corso lungo per dirigenti al Centro Studi Cisl di Taranto, che mi ha aperto un mondo…

  1. Cosa si sente di dire o consigliare ai giovani che decidono di intraprendere le attività sindacali?

Di studiare, studiare il più possibile. Sapendo che non si è mai preparati abbastanza. Vale per qualunque professione si svolga, in un contesto di radicali e velocissime trasformazioni cui il mondo del lavoro oggi è sottoposto. A maggior ragione vale per il sindacalista che i bisogni di quel mondo del lavoro è chiamato ad interpretare. Vuol dire che, per la nostra scelta di vita, lo studio è lavoro. L’unica cosa che lo studio non può dare, è il cuore. E se non si ha cuore – nel senso di passione, coraggio e umanità – neppure cento lauree basteranno.

Perché il sindacalista non è solo un esperto delle norme e delle dinamiche del lavoro. Il nostro lavoro coinvolge i concetti di identità, di appartenenza, di valori. E si completa nel rapporto profondo con le persone che siamo chiamati a rappresentare.

  1. Nel 1970, con lo Statuto dei Lavoratori, si è riusciti a realizzare un provvedimento organico che metteva insieme tante norme per la tutela, appunto, dei lavoratori. A volte si discute se alcuni punti vadano aggiornati. Lei cosa pensa in merito?

Lo Statuto dei Lavoratori è una pietra miliare di una stagione lontana, dominata dalle grandi aziende e da un mercato del lavoro che ancora non risentiva delle spinte disgreganti della globalizzazione e della pervasività tecnologica. Oggi i lavori sono tanti e segmentati, i tipi di occupazione oscillano da subordinato ad autonomo, con molte forme ibride. Bisogna trovare una formula nuova che tuteli tutti, compresi autonomi e atipici. Vuol dire spostare le tutele dal posto di lavoro alla persona. Per questo non servono norme rigide, ma il pieno coinvolgimento di tutti gli attori sociali e istituzionali nella costruzione di una rete di protezione che accompagni le persone lungo l’intero arco della vita. È il metodo con cui fu concepito lo Statuto del 1970 che dobbiamo recuperare, creando uno spazio in cui lavorare insieme a un disegno organico, che dia opportunità di crescita e realizzazione a tutti, a partire dai più deboli.

luigi sbarra

  1. Il mondo del lavoro è fisiologicamente cambiato nel corso dei decenni. Quali sono, oggi, le maggiori esigenze e tutele che un lavoratore lamenta?

Oggi stiamo assistendo ad una drammatica polarizzazione tra alte professionalità e forme di neo-sfruttamento; la transizione tecnologica e quella ambientale pongono alle aziende esigenze di continua riorganizzazione che richiedono tutele diversificate; i lavoratori d’altro lato sono esposti a periodi di transizione lavorativa e necessitano di ricorrenti occasioni di riqualificazione professionale. Concretamente, si tratta di intervenire sul fronte della formazione continua, delle politiche attive, di assicurare percorsi di accompagnamento nelle transizioni studio-lavoro e lavoro-lavoro; di garantire salari e assegni pensionistici dignitosi. Questo richiede un’evoluzione dei rapporti nella direzione di una buona flessibilità negoziata attraverso il rafforzamento della contrattazione, degli strumenti della bilateralità e lo sviluppo di relazioni industriali sempre più partecipative.

  1. In prospettiva, l’intelligenza artificiale e le macchine in generale, sono un’opportunità o, addirittura, possono diventare una minaccia?

Personalmente non credo alle narrazioni catastrofiste sull’automazione e ad una “distopia 4.0” che decreterà la fine del lavoro umano. Al contrario, sono convinto che l’apporto creativo e umano nei luoghi della produzione sarà sempre più determinante. Ci sarà un lavoro differente, più qualificato, responsabile, libero. Più flessibile, meno legato a luoghi e orari e più al raggiungimento e alla valutazione di obiettivi predefiniti. Un lavoro che andrà organizzato, valutato e anche rappresentato diversamente. Che dovrà essere regolato da relazioni industriali partecipate, costruttive e innovative. Sapendo che il sentiero di un lavoro partecipe e pensante, dignitoso e sicuro, ben contrattualizzato, formato e rappresentato, è la chiave per garantire che le nuove tecnologie non si traducano in un vantaggio per pochi ma in un miglioramento delle condizioni di vita per tutti.

  1. Nel 2021, viene eletto Segretario Generale della Cisl a seguito delle dimissioni dell’ex Segretario Annamaria Furlan, e nel 2022 viene confermato all’unanimità dal congresso, con mandato quadriennale: quali sono state le sue sensazioni in quei momenti?

Un’emozione immensa e insieme un profondo senso di gratitudine nei confronti dei maestri che ho avuto e che mi hanno guidato con il loro esempio, da Franco Marini a Sergio D’Antoni ad Annamaria, alla quale mi legano sentimenti di vera amicizia. Ma, accanto a questo, ho sentito anche l’enorme responsabilità che da quel momento assumevo nei confronti di tutti gli uomini e le donne della Cisl, di milioni di lavoratori, lavoratrici e pensionati che a questa organizzazione hanno affidato la loro delega per rappresentarne bisogni e aspettative.

Un impegno che non mi sarei mai neppure sognato di poter assumere quando da giovane mi innamorai dell’attività sindacale. Anche se, alla fine, la domanda a cui devo rispondere oggi, in qualità di segretario generale della Cisl, resta la stessa che mi ponevo allora, quando ero un semplice delegato: ho risposto alle aspettative di chi mi ha dato questa delega? Il resto viene di conseguenza…

luigi sbarra

  1. Negli anni si è potuta notare una crescita importante sotto tutti i punti di vista per la Cisl, pertanto le chiedo: com’è cambiato negli anni il Sindacato che rappresenta e quali sono gli obiettivi futuri?

Nei principi e nei valori siamo e saremo sempre il sindacato nuovo pensato da Giulio Pastore. Un sindacato che non si parla addosso, che non si rifugia in nessuna comfort zone ideologica, politica e neanche organizzativa. Che sa guardare la realtà, sa interpretare il presente collocandolo nelle coordinate storiche delle grandi trasformazioni in atto, delle nuove forme di sfruttamento e marginalità che colpiscono in misura maggiore i giovani, le donne, i migranti, ma anche gli anziani e i disabili. È questo il mondo che più di ogni altro siamo chiamati ad intercettare. È tra i più deboli che dobbiamo far sentire di più la nostra presenza, nei sobborghi dimenticati dalla politica e dalle istituzioni, nei luoghi di abbandono in cui si nutrono illegalità e sfruttamento, dove i riferimenti vacillano, le persone sono in balia del degrado ed esplode il furore sociale. Se siamo cambiati è perché i bisogni e le aspettative delle persone sono cambiate. Sono cambiate le imprese ed il contesto economico e sociale in cui agiamo. Ma gli obiettivi strategici e i valori fondamentali restano gli stessi: la solidarietà, la libertà, l’autonomia, la responsabilità, la prossimità, la contrattazione, la partecipazione. Stanno nel nostro Dna. È ciò che non cambia. Ed è il patrimonio genetico che abbiamo il dovere di preservare per chi verrà dopo di noi.

 

  1. Spesso la Cisl non ha avuto problemi ad essere una voce fuori dal coro, rispetto alle altre sigle sindacali su varie tematiche nazionali. Plaude quando c’è da farlo, critica in maniera costruttiva quando è necessario. La crescita di cui parlavamo prima, secondo Lei, è dovuta in particolare a queste peculiarità?

Sono convinto che l’autonomia ed il pragmatismo che caratterizza il nostro modo di intendere il sindacato abbia reso più comprensibili le nostre ragioni e le nostre posizioni alle persone. Anche, e soprattutto, a questo attribuisco la nostra crescita di iscritti, in particolare tra i lavoratori attivi e tra i giovani. È un dato significativo, perché attesta non solo la nostra capacità di intercettare i cambiamenti ma soprattutto di riuscire ad interpretare una visione del futuro.

Il coraggio del cambiamento è alla base della stessa nascita della nostra Confederazione. La volontà ferma di un sindacato democratico che ha tutti gli strumenti per capire “il giusto e lo sbagliato”, indisponibile a sottostare ad una presunta egemonia di aree sindacali movimentiste o di partiti in cerca di sostegni e cinghie di trasmissione. Un sindacato che non si fa spiegare da nessuno quale sia la sua funzione o missione, che non risponde ad altri se non alle deleghe dei propri associati. E i risultati che stiamo ottenendo dimostrano la veridicità di una delle più celebri massime di Ezio Tarantelli: “La gente capisce sempre, se gli si spiegano le cose”.

  1. Venendo al nostro territorio. Come ogni regione in particolare del Sud Italia, anche in Calabria il problema disoccupazione rimane questione annosa. Quali provvedimenti sono necessari per tentare, se non di eliminare del tutto, quantomeno di contrastare, diminuire e, dunque, limitare la mancanza di lavoro, che è un aspetto che accomuna generazioni diverse?

Servono investimenti veri e un grande sforzo di progettualità sociale. Guai ad illudersi che basti un decreto per creare lavoro. Ma anche che il Paese possa ripartire senza la spinta propulsiva di tutto il Mezzogiorno, Calabria in testa. Una spinta che non può che partire dal lavoro. Lavoro che sia di qualità, sicuro, giustamente retribuito, formato e ben contrattualizzato. Un lavoro capace di spezzare le catene di un sottosviluppo che offende la giustizia sociale e mina la tenuta delle nostre stesse istituzioni democratiche. Questo deve essere il nostro indicatore, il sensore di verifica di ogni iniziativa, di ogni scelta, di ogni euro speso nel Mezzogiorno o per il Mezzogiorno. Significa, innanzitutto, investire sulle persone. Perché se è vero come è vero che nell’economia della conoscenza il terreno della competitività si è spostato dalle risorse materiali al capitale umano, alla sua intelligenza, professionalità, ogni discorso sulla modernizzazione, sul coinvolgimento del Sud nei grandi processi di trasformazione si misura sulla capacità che avremo di valorizzare quel capitale. Attraverso la formazione e investimenti produttivi che generino buon lavoro, soprattutto per i giovani e le donne. E poi con infrastrutture materiali e sociali che assicurino a tutti pieno godimento dei diritti di cittadinanza. Queste sono le basi su cui dovremmo trovarci tutti alleati: attori economici, sociali, politici e istituzionali, a livello locale e nazionale. Con un unico obiettivo: costruire insieme un modello di sviluppo che sia più equo, inclusivo e sostenibile. Per la Calabria e per l’Italia nel suo complesso.

  1. In conclusione, Le chiedo un auspicio o un augurio che si sente di fare alla nostra Regione?

Il migliore augurio che posso fare a questa terra è di utilizzare bene e fino all’ultimo centesimo le risorse del Pnrr e le altre dotazioni nazionali ed europee, che vanno trasformati in investimenti e riforme attraverso la partecipazione attiva delle parti sociali nella governance dei progetti. Oggi più che mai, abbiamo l’opportunità di sconfiggere l’inerzia generata da decenni di indifferenza politica, resistenze criminose, veti ideologici. La Calabria rappresenta il fronte avanzato di questa sfida. Una buona battaglia che impone una svolta nella strategia di sviluppo nazionale per trasformare questo territorio non in una semplice piattaforma logistica, ma in un hub produttivo, integrato, ben collegato al continente con reti adeguate e capace di intrecciare sinergicamente le tante vocazioni settoriali: dalla manifattura alle start-up innovative, dal turismo al commercio, dall’agroalimentare all’artigianato, dai servizi al terziario. Vuol dire rafforzare la fiscalità di sviluppo, realizzare impianti energetici, portare a compimento l’alta velocità, connettere le aree interne, riallineare a standard europei ferrovie, autostrade, banda larga, portualità, acquedotti, risanamento idrogeologico. Un complesso di opere che dà senso anche al progetto del Ponte sullo Stretto. Ad una condizione: un costante monitoraggio su trasparenza e buona qualità della spesa. Non è solo un auspicio. Da parte della Cisl c’è la ferma volontà di sostenere questo cammino a ogni livello.

Antonio Gatto

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