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Lamezia. Intervista a S.E. il vescovo Serafino Parisi

13 min di lettura
vescovo Serafino Parisi

In vista del Santo Natale e dopo poco più di un anno dal suo primo mandato episcopale, iniziato ufficialmente proprio nella nostra Diocesi lo scorso 9 luglio 2022, abbiamo incontrato S.E.R. Mons. Serafino Parisi (nominato Vescovo da Papa Francesco il 7 maggio 2022 con successiva ordinazione episcopale il 2 luglio successivo nella Concattedrale di Santa Severina dall’Arcivescovo di Crotone – Santa Severina, Mons. Angelo Raffaele Panzetta, con Vescovi consacranti Mons. Giuseppe Schillaci e Mons. Claudio Maniago).

Il Vescovo della Diocesi di Lamezia Terme è nato a Santa Severina (KR) il 3 gennaio 1962 e durante il proprio percorso formativo-spirituale ha acquisito presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma la Licenza in Scienze Bibliche (con uno stage in Gerusalemme). Inoltre, dopo aver concluso gli studi ottenendo la Laurea in Lettere e Filosofia, Egli consegue dapprima il Diploma quinquennale al Conservatorio (ramo strumentisti) e, successivamente, presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale in Napoli (Sezione “San Tommaso D’Aquino”) il Dottorato in Teologia. Prima di essere ordinato Vescovo della Diocesi lametina è stato Docente di Sacra Scrittura dal 1990 al 2022; Parroco della parrocchia “S. Tommaso d’Aquino” in Altilia di S. Severina; della Parrocchia “San Nicola Vescovo” in Cotronei; della Parrocchia “Cristo Risorto” in Steccato di Cutro; della Parrocchia “S. Maria Maggiore” in Santa Severina; e della Parrocchia “San Dionigi” in Crotone.

Conosciamo meglio il nostro Vescovo…

  1. Da dove nasce la Sua vocazione sacerdotale e che cos’è per Lei la fede?

Mi fa una domanda difficile. Comunque, l’origine della mia vocazione – per quanto su questo si riesca a dire, perché sono dati interiori, o addirittura intimi e di difficile verbalizzazione – la rintraccio, con molta semplicità e dentro un percorso lineare, nella mia famiglia di origine e nella parrocchia. È stato un processo di maturazione a partire da una intuizione nata dalla testimonianza dei miei e di un sacerdote, Don Giovanni, allora parroco a Santa Severina. Da quel momento è stato un agone tra limiti umani e grazia, tra ribellioni e misericordia, fino ad arrivare, attraverso 32 anni di lavoro e dopo tante tappe spese tra impegno pastorale ed accademico, a questa recente chiamata al servizio della Diocesi lametina.

Circa la fede, direi che è una consapevole visione della vita, del mondo, dell’uomo e della storia che parte dal Crocifisso Risorto: è uno sguardo speranzoso, coinvolgente e attivo sulla realtà.

 

  1. Poi lo scorso anno arriva la nomina di Papa Francesco come Vescovo della Diocesi di Lamezia Terme: quali sono state le Sue sensazioni in quei momenti? E qual è stato il Suo primo pensiero di ringraziamento verso il Santo Padre?

Come ho avuto più volte modo di dire nei giorni successivi alla mia elezione a chi mi ha rivolto proprio questa domanda, la notizia di essere stato scelto per servire la Diocesi di Lamezia Terme come suo Vescovo, ha significato per me anzitutto l’assunzione di un impegno che ha investito la mia vita ed il mio ministero. Un impegno che fin da subito ho accolto nella doppia veste di dono e responsabilità. Dono, perché qualsiasi cosa il Signore ci affida è sempre testimonianza della fiducia e della bontà che nutre nei nostri confronti, piuttosto che frutto di un merito personale. Commuove, quasi, l’idea che il Signore continui, pur conoscendo i nostri limiti, a contare sulla nostra collaborazione. E tutto questo non può che essere un dono, per cui mi sento grato al Signore. Allo stesso tempo si tratta di una grande responsabilità, quella di essere in questa e per questa porzione del Popolo di Dio pastore e dunque guida e custode del cammino di fede di molti e segno dell’unità della Chiesa. Un impegno gravoso, dunque, ma che cerco di portare avanti mettendo in gioco tutte le forze di cui sono capace, contando sul valido aiuto dei nostri sacerdoti, di tanti laici impegnati che si spendono per il bene della Chiesa e, soprattutto, su quello del Signore che, con il dono del suo Spirito, non fa mai mancare.

 

  1. Dopo un anno trascorso: che legame sente con la Città e con i cittadini lametini?
    Il Suo predecessore S.E.R. Mons. Giuseppe Schillaci ricordo che definì Lamezia la sua sposa, Lei come la definirebbe?

In più di un’occasione ho già avuto modo di dire pubblicamente che, una volta arrivato nella Diocesi di Lamezia Terme, sono rimasto davvero colpito dall’affetto spontaneo delle persone. Affetto non solo per la mia persona, ma anche e soprattutto per la responsabilità che qui rivesto e questo, lo posso assicurare, altrove non è per nulla scontato. È davvero bello, e quasi emozionante, cogliere nei fedeli una sincera attesa del Vescovo, della sua parola, della sua presenza alle celebrazioni, della sua partecipazione alle vicende liete e tristi delle comunità. È un segno nel quale non si fatica a leggere un effettivo senso ecclesiale nei fedeli lametini, che in ultimo vuol dire amore per la Chiesa e per Gesù Cristo, e di questo sono profondamente grato al Signore. Spesso – è vero – è comune tra i Presuli definire la Diocesi assegnata come la propria sposa. Ed è certamente un’immagine molto bella e suggestiva in quanto rievoca i sentimenti di amore, cura, dedizione e fedeltà, che dovrebbero sempre caratterizzare il legame tra due innamorati. Partendo però dalla consapevolezza – anche teologica – che il vero ed unico Sposo della Chiesa è Cristo, mi sentirei piuttosto di definire la Diocesi di Lamezia come la cosa più cara che lo Sposo ha e che affida a me, “amico dello Sposo”, perché io la custodisca secondo il suo insegnamento e secondo i desideri del suo cuore. E lo Sposo, Cristo, non può che desiderare il bene per la sua Sposa. È quello che cerco di assicurare giorno per giorno mettendomi con passione al servizio di questa Diocesi.

 

vescovo Serafino Parisi 

  1. In questo anno, qual è stato il lavoro svolto per far crescere la Diocesi lametina e quali altri passi sarà necessario fare?

Credo che in quest’anno siano già state avviate molte iniziative, alcune delle quali – come il cambio dei Parroci o degli Uffici di Curia o la nomina dei Vicari Episcopali per un governo collegiale della Diocesi, attraverso scelte condivise nel segno della corresponsabilità – rientrano nell’ordinario ricambio che qualsiasi diocesi periodicamente vive. Altri passi li concepisco piuttosto come processi avviati per dare alla nostra comunità diocesana sempre maggiori strumenti di formazione e così opportunità di dare ragione della propria fede in un progressivo cammino di maturazione. Mi riferisco in modo particolare alla proposta della Scuola Biblica Diocesana che è già giunta al suo secondo anno raccogliendo un’entusiasta partecipazione tra i fedeli e non, con l’obiettivo di avvicinarli alla conoscenza della Sacra Scrittura e ad una sempre maggiore confidenza con essa. D’altra parte la Scuola per i Ministeri, partita proprio alla fine di novembre e che è dislocata in quattro diversi punti della Diocesi di Lamezia Terme, mira soprattutto alla formazione di quanti svolgono un servizio nelle comunità parrocchiali, con l’intento di rendere tale servizio non solo maggiormente formato e competente, ma anche espressione di un cammino di fede consapevole ed edificante anche per chi osserva più da lontano le nostre comunità parrocchiali. Appena qualche giorno fa poi, sono stati inaugurati un nuovo centro diurno della Caritas diocesana al servizio delle necessità dei fratelli più bisognosi, e un capiente e moderno Auditorium di circa 600 posti sottostante la Chiesa S. Benedetto, che vanno quasi a completare le funzionalità del grande Complesso Inter-parrocchiale. Certo, come anche lei dice, si tratta di passi, che però messi insieme gradualmente delineano un cammino e, lo spero davvero, anche lo stile che la nostra Chiesa lametina vuole assumere. Siamo in un tempo in cui la fede non può più essere solo espressione di tradizione passivamente acquisita, né solo il frutto acritico di un fattore culturale. È il tempo di una fede cosciente e incarnata, che sia all’altezza delle domande e problematiche che popolano l’esistenza dell’uomo, che sia capace di fare la differenza nelle scelte personali e comunitarie, che sappia realmente dare senso e forma alla vita. Ecco, di passi da fare ce ne sono certamente ancora tanti, ma la nostra comunità diocesana è già in cammino e questo le permetterà di rimanere vigile per non perdere alcun segno della presenza del Signore che sempre procede insieme a lei.

 

  1. I numerosi fedeli della nostra Diocesi hanno sempre dimostrato appartenenza e sentimento nei confronti di tutte le ricorrenze religiose: c’è qualcosa in particolare che si sente di dire o chiedere loro?

Quanto ho potuto constatare finora qui a Lamezia e nei vari paesi della Diocesi in occasione di varie celebrazioni religiose, conferma un dato di fatto che riguarda la Calabria ed in genere le Regioni del Mezzogiorno. Qui resiste ancora un forte attaccamento alla vita religiosa che altrove è quasi del tutto scomparso. Certamente questo attaccamento necessita talvolta di essere purificato da elementi superflui e così accompagnato verso la maturazione di una vera e propria esperienza di fede. Quella che ti aiuta a vivere in modo nuovo, a fare scelte coraggiose, a cambiare modo di pensare, perché spinto da una logica – quella di Dio appunto – che non rimane più esterna a te, ma guida ed orienta la tua vita. Tuttavia il forte senso di appartenenza alla tradizione religiosa è certamente un punto di partenza vitale. È in questo solco che intere generazioni si sono educate ai valori della fede con la risposta di una vita onesta pur nelle difficoltà del contesto socio-culturale in cui si sono sviluppate. È forse proprio la scomparsa del sincero sentimento religioso sperimentato già all’interno della famiglia che altrove determina oggi totale indifferenza nei confronti di Dio stesso. Qui questa indifferenza non l’ho percepita affatto. Anzi ho finora sperimentato molto entusiasmo e voglia di partecipare attivamente non solo in occasione delle festività religiose che inevitabilmente richiamano più attenzione e coinvolgimento, ma anche nella vita ordinaria delle comunità parrocchiali. E questo è fondamentale per dare vitalità alle nostre Parrocchie, per renderle ancora luoghi di educazione e di aggregazione, e nondimeno per supportare e rendere fecondo anche il fedele e dedito servizio dei nostri sacerdoti. Di tutto questo ringrazio sinceramente uno ad uno i fedeli lametini, per tutto quanto operano, spesso anche in modo umile e nascosto, nelle loro comunità, a servizio degli altri.

 

  1. Cosa consiglia ai giovani sacerdoti che sono agli inizi del proprio percorso sacerdotale o a chi magari sta meditando se iniziarlo?

Prima di dare loro consigli, mi sento anzitutto di ringraziarli per aver accolto e dato spazio a quella che hanno riconosciuto come la volontà di Dio, mettendo a disposizione la loro vita per il bene degli altri. È una scelta che oggi, forse più di qualche decennio fa, richiede coraggio e perseveranza. La nostra Diocesi, diversamente da altre realtà, gode ancora della benedizione di avere molti sacerdoti giovani a servizio di varie comunità parrocchiali. A tutti loro mi sento di offrire una parola di amicizia ed incoraggiamento con il vivo desiderio che possa essere loro di sostegno nel portare avanti il ministero con tutto il carico di gioie e fatiche, attese e delusioni che esso porta in sé. A loro, come un fratello maggiore, voglio dire di non lasciarsi sopraffare mai dalle ansie per gli obiettivi da raggiungere o dallo sconforto per gli eventuali insuccessi. Di non accantonare mai, come a volerla relegare ad un passato ormai assodato, la bellezza della spontaneità sperimentata soprattutto nei primi momenti della chiamata, la sincera voglia di stare con il Signore e di testimoniarlo agli altri senza calcolo alcuno. A loro mi sento ancora di dire di non cessare mai di guardare al Signore come ad un Padre tenero e affettuoso oltre che esigente, da sperimentare e testimoniare anche nella bellezza di relazioni fraterne e gratuite in cui aiutarsi reciprocamente.

Ho molto piacere poi di segnalare che qualche ragazzo negli ultimi mesi mi ha manifestato la volontà di intraprendere l’anno propedeutico per discernere la possibilità di entrare in Seminario e diventare sacerdote. Sono segni belli, quasi commoventi, che dimostrano come anche in mezzo a mille altre voci, qualcuno riesce ancora a percepire quella del Signore che, discretamente, chiama a seguirlo. E questo deve anche essere motivo di grande consolazione per tutti noi: sapere che la Chiesa è nella mente di Dio, nel suo cuore e nelle sue mani e per questo continua a provvedere ad essa attraverso i suoi ministri. Allo stesso tempo mi sento di lanciare anche un invito a tutti i fedeli, quello di pregare per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. E alle famiglie in cui si manifesta una vocazione dico di accoglierla e accompagnarla senza porre ostacoli o avanzando timori, ma con sincera gioia, come una benedizione del Signore.

 

  1. Via via negli anni, la Chiesa Cattolica è mutata molto sia al proprio interno che nei rapporti esterni: come valuta questi cambiamenti e c’è qualcosa che secondo Lei andrebbe modificato?

La Chiesa, particolarmente a partire dal significativo rinnovamento operato dal Concilio Vaticano II, ha indubbiamente cercato di porsi in ascolto del mondo che la circonda e in cui essa stessa, in questo tempo, si trova, vive ed agisce. Si pensi che a questo tema è stato dedicato proprio uno dei documenti conciliari, la Costituzione Gaudium et spes. In questo senso l’atteggiamento della Chiesa è gradualmente passato dall’essere piuttosto apologetico nei confronti di tutto quanto era riconosciuto come ad essa esterno, a manifestare una apertura che da un certo punto in poi è apparsa vitale perché la Chiesa stessa potesse continuare ad essere un segno in un mondo che non era più certamente quello delle prime comunità cristiane. Tale apertura si comprende bene alla luce della missione della Chiesa che è quella di annunciare la Buona Novella e così di testimoniare la vita nuova incarnata da Gesù. Si potrebbe forse annunciare efficacemente qualcosa senza sapere a chi ci si sta rivolgendo? Il rischio – dal quale anche oggi nessuna realtà ecclesiale è esente – potrebbe essere quello di assolvere al dovere di dire quanto dovuto, in modo asettico e disincarnato, senza parlare tuttavia al cuore di nessuno. Ecco il famoso “predicozzo”, che non è però annuncio. Allo stesso tempo – ci tengo a ribadirlo – apertura non vuol dire accettazione acritica di tutto quanto il mondo propone e, spesso, impone come buono. Credo, dunque, che qualsiasi apprezzabile e costruttivo cambiamento dell’atteggiamento della Chiesa possa generarsi solo a partire, da una parte da un sano equilibrio tra il saper riconoscere con intelligenza la ricchezza che la storia e lo sviluppo della vita sociale umana costituiscono per la sua missione, per meglio esprimerla e per adattarla con più successo ai nostri tempi, dall’altra dalla necessità di non perdere mai di vista lo specifico della propria missione che è quello di essere un segno della visione e del desiderio che Cristo ha sul mondo. Questo comporterà spesso la fatica – che è stata anche di Gesù – di essere un segno profetico di contraddizione, il richiamo a qualcosa che sembrerebbe non avere più posto nel pensiero e nella vita dei più, ma nel contempo l’opportunità di offrire una risposta ai profondi interrogativi che da sempre abitano ed agitano il cuore dell’uomo.

  1. Dal punto di vista sociale, invece, possiamo dire che la regione in cui viviamo è storicamente terra di emigrazione, soprattutto da parte dei giovani calabresi: cosa si sente di suggerire a chi Governa la nostra terra per tentare di ovviare a ciò e cosa può fare la Chiesa, secondo Lei, per contribuire a contrastare questo fenomeno?

Il problema dell’emigrazione giovanile è una emergenza sempre più seria. Basta osservare le statistiche ISTAT su “i Giovani del Mezzogiorno” per assistere ad un quadro che è allarmante. Se da una parte cresce la propensione agli studi universitari e alla specializzazione del proprio iter formativo con risultati eccellenti, dall’altro sono sempre più scarse le probabilità che questi talenti possano tornare a beneficio della Calabria stessa.  La Chiesa può fare qualcosa e certamente già lo fa con i mezzi di cui dispone, ma non possiamo non riconoscere che alcune problematiche travalicano le sue capacità e che quanto essa con dedizione si impegna a realizzare è fatto quasi sempre per supplire la mancanza di politiche sociali che realmente tengano a cuore il presente dei giovani e dunque anche il futuro della società. Lo stesso, in sincerità, potrebbe dirsi di molti altri servizi che la Chiesa compie per vocazione ma che sono diventati ormai integranti e direi quasi essenziali a mantenere un certo equilibrio nelle nostre comunità cittadine. Basti pensare ai servizi caritativi e di assistenza a tanti fratelli e sorelle più bisognosi. La Chiesa, dunque, fa la sua parte e cerca, per quanto le è possibile, di leggere con sempre maggiore attenzione le esigenze delle nuove generazioni, per accompagnarle ad accogliere le sfide e le opportunità che il mondo di oggi offre e possibilmente anche aiutarle a fronteggiarne le insidie. È tuttavia compito fondamentale di chi ha la responsabilità di governare fare concretamente qualcosa per le politiche giovanili, perché un giovane calabrese possa prepararsi al mondo del lavoro senza dover escludere a priori la possibilità di rimanere nella sua terra. D’altronde sappiamo bene che questi stessi giovani ottengono fuori dalla Calabria e dall’Italia risultati eccellenti, di cui tutti andiamo fieri. La possibilità di poter impiegare nella nostra Regione le loro capacità vorrebbe dire dare alla nostra terra concretamente la certezza di crescere, perché la Calabria cresce solo se cresce il lavoro. 

vescovo Serafino Parisi

  1. Un augurio che si sente di fare a questa Città…?

Pur non essendo ancora passato molto tempo dall’inizio del mio ministero episcopale a Lamezia Terme, posso ormai dire di sentirmi parte di questa Città e di questo territorio. Pertanto più che un augurio, che mi fa pensare ancora a qualcosa di esterno a me, mi sento di formulare un desiderio per Lamezia Terme, quale espressione di un cuore che ama e si sente partecipe del bene dell’altro, come suo stesso bene. Desidererei, allora, che di tutto quello che di questo territorio lametino – fuori e dentro di esso – si è sempre detto in termini di potenzialità, di risorsa, di prospettiva e di qualità, possa finalmente tradursi in una realtà di cui tutti i lametini possano godere. Questo obiettivo, certamente, passa dal fattivo impegno per la promozione della Polis da chi è preposto a farlo, ma deve poter contare allo stesso tempo sul contributo di ogni singolo lametino che è chiamato ad amare la propria terra e a risaltarne anche il bello già oggi esistente, ma tante volte messo da parte. Immagino le persone di questo nostro territorio, che coincide grosso modo con la Diocesi, come attori protagonisti della costruzione del nostro avvenire e come cantori delle bellezze messe dal Signore nelle nostre mani, nella nostra mente e nel nostro cuore per curarle e valorizzarle a beneficio di tutti.

Antonio Gatto

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