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Quella strega della nonna…

3 min di lettura

Altolà, è solo una fiabetta: non c’è alcun bando al rogo!

Parliamo di un prodotto editoriale per bambini, scritto ed illustrato da Tomie de Paola nel 1975, uno dei “100 migliori libri illustrati” di tutti i tempi in un sondaggio del 2012 dello School Library Journal: ambientata in Calabria, nell’Italia meridionale, questa storia, quasi cinquantennale, si concentra sulle gesta di Strega Nona.

Una sorta di «magara» che aiuta i suoi concittadini a risolvere i loro problemi, dal mal di testa, un po’ come le nostre matriarche ci sfascinavano fino a poco tempo fa, ai legamenti coniugali, prescrizioni terapeutiche comprese.

Rimedi da saggezza antica, potremmo dire, a noi non estranei, tra l’altro.  Big Anthony, il suo aiutante, approfittando della sua assenza, fa in modo che il magico piatto della nonnina produca così tanta pasta da inondare e seppellire la città, se non fosse intervenuta in ultimo proprio lei a fermare la cottura della pentola col soffio di tre bacetti.

Quando si dice cucinare con amore, vero!?

Antonella Prosperati, nel consigliarmi questo bellissimo testo, mi ricorda persino le cantilene delle donne sangiovannesi quando preparavano le pitte impigliate o altre pietanze d’occasione: «cricsia pasta cu cricsia Cristu ntra fassa, criscia criscente cu cricsia Cristo ntro ventre», come mi ricorda pure Rosa Pignanelli, mentre ho il piacere di seguirla nell’audio di questo singolarissimo refrain.

Da noi, stando alla mia testimonianza materna, si era soliti, invece, fare solo il segno della croce sull’impasto prima di infornarlo.

Tuttavia si dice che l’emicrania passasse col Moment alternativo anche dalle nostre parti: bastava l’imposizione delle mani sul capo con tanto di rito di liberazione intervallato da preghiere

“Chin’è statu chi t’ha affascinatu?
Su’ stati l’uocchi, ‘u core e la mente.
Passa affàscinu, c’ ‘ud’ è nnente!”

“Chi è stato a fascinarti?
Sono stati gli occhi, il cuore e la mente
Esci fascino, che non è niente!”

Se gli sbadigli si verificavano durante la prima parte dell’Ave Maria, voleva dire che il malocchio era stato propinato da una ragazza giovane; se nella seconda parte, al contrario, da una di mezz’età o anziana. Allo stesso modo Il pater noster è indice di uno iuniore e il gloria al padre di un matusa, ahahah!

Anche vero che tante nostre nenie raccontate, così concilianti col sonno non erano: «mammama è ’na magara, mi vulliu ’nta na quadara, e patrimma ’llu bruttu mi spurpiu tuttu tuttu, e suarma la bella mi ricugljiu l’ossicella, mi mintiu ’nnta nu grubicchjiu e mi cantau ’llu chicchirichicchjiu». Stile Dario Argento, praticamente! Non bastavano benzodiazepine, statene certi, eh sì!

Al confronto il Morgante di Luigi Pulci era robaccia di pivelli:

E Runcisvalle pareva un tegame
dove fussi di sangue un gran mortito,
di capi e di peducci e d’altro ossame
un certo guazzabuglio ribollito,
che pareva d’inferno il bulicame.

(E Roncisvalle sembrava un tegame con dentro uno spezzatino di sangue, un ribollimento confuso di teste, piedi e altre ossa, così che sembrava il fiume di sangue dell’inferno).

Tornando a noi, dopo questo breve intermezzo pindarico, quanto emerge dal racconto americano, per chiudere, è la sapienza arcaica dei nostri seniori, su cui stendo un velo di tristezza per quanti stiamo perdendo in questi giorni a causa del coronavirus: beh, i nostri nonni, questa è morale di questo graziosissimo scrittarello, sono veramente magici, con o senza bacchetta, anche quanto ci bacchettano per il nostro meglio. Magari potessero restare il più possibile.

Prof. Francesco Polopoli

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