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TrameFestival8. Ballata per la strage dimenticata

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Trame8. Ballata per la strage dimenticata

Trame8. Ballata per la strage dimenticata

Lamezia Terme, 22 giugno 2018, Chiostro di S. Domenico. Sono stati Moni Ovadia e Mario Incudine ad arricchire l’edizione numero otto di Trame. Festival di libri sulle mafie che si è svolta a Lamezia Terme dal 20 al 24 giugno sotto la sapiente direzione artistica di Gaetano Savatteri.

Mario Incudine, cantante, attore teatrale, polistrumentista, esponente della musica popolare siciliana. Moni Ovadia, bulgaro di nascita, di religione ebraica, milanese d’elezione, autore, regista, attore, scrittore, straordinario intrattenitore, oratore e umorista.

M&M, Moni e Mario, un sodalizio artistico che dura già da molti anni, costellato di successi e riconoscimenti. Teatro classico con incursioni contemporanee, teatro d’autore, teatro canzone, teatro sociale… Due artisti, una weltanschauung, una visione del mondo che sogna e parla ancora di libertà, uguaglianza, fratellanza e giustizia.

A terra è di cu la travagghjia. Pensieri e parole dei sindacalisti uccisi dalla mafia, questo il titolo della performance, frutto di un laboratorio, portata in scena da M&M riprendendo un verso scritto da Ignazio Buttitta nella poesia U lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali. Ma il verso era già contenuto nel refrain di una canzone scritta nel 1873 da Francesco Bertelli Dimmi bel giovane “La casa è di chi l’abita / e un vile è chi lo ignora, / il tempo è dei filosofi, / la terra di chi la lavora.”

Un racconto a due voci e la musica che funge da coro con melodie che spaziano dall’acutissimo al grave esibendo sonorità ricche di tutte le stratificazioni culturali che da sempre hanno intriso la storia della Sicilia tutta.

Un teatro antiretorico, costruito su una fitta trama di fatti realmente accaduti. Fatti di sangue strappati all’oblio e restituiti alla memoria collettiva. La lingua siciliana, nelle canzoni/poesie di Mario Incudine è portata alla sua essenzialità, senza ridondanze, ruvida e asciutta come pietra, levigata e carezzevole come antiche ninne nanne in una potente interpretazione “di voce e di cuore”, perfetto controcanto al talento e alla misura del maestro Moni Ovadia che giocando lucidamente con il meccanismo della chiarezza e della ragione – una ragione contemporanea, non illuministica – mette in luce, con un linguaggio immediatamente credibile, le caratteristiche della tragedia, il suo significato inquietante e sotterraneo e la volontà di indicare come nell’uomo dei nostri giorni permanga il desiderio di giustizia e l’utopia del bene.

Simile alla litania dei santi, due voci femminili – quelle di Maria Pia Bonacci e di Piera Dastoli – scandiscono i nomi dei tanti, troppi, sindacalisti siciliani uccisi dalla mafia dal 1911 al 1982, da Lorenzo Panepinto a Pio La Torre, passando per Bernardino Verro, Giovanni Zagara, Giuseppe Rumore,  Andrea Raia,  Pino Camilleri, Girolamo Scaccia e Giovanni Castiglione, Epifanio Li Puma, Placido Rizzotto, Calogero Cangelosi, Donato Leuzzi, Filippo Intili, Salvatore Carnevale, Peppino Impastato…

Uomini che hanno lottato, pagando con la vita, per l’emancipazione dei lavoratori della terra e delle loro famiglie. Ad opporsi con ogni mezzo alla Legge Gullo sulla riforma agraria era il patronato agrario che negava i diritti sociali e la mafia che negava i diritti individuali. E la voce possente di Mario Incudine intona la cantata dello zappatore che si spezza la schiena tutti i giorni, seguita dal ricordo della strage di Portella della Ginestra il 1° maggio 1947 con le parole strazianti di Ignazio Buttitta “[…] vinti morti, puvireddi, chi vulìanu un munnu umanu.. / E ‘nta l’erba li ciancèru matri e patri agginucchiati, / cu li lacrimi li facci ci lavàvunu a vasàti.”
Il popolo, i contadini, la miseria, la forza delle idee rivivono nel breve e lucido dialogo tra Ovadia e Incudine su Epifanio Li Puma ucciso a sangue freddo il 2 marzo 1948 mentre arava con i muli un appezzamento di terra di proprietà del cognato. Un delitto politico, per ammissione delle stesse autorità. La pratica fu archiviata e ancora oggi l’omicidio rimane senza colpevoli.

E poi la lacerante ninna nanna Terra ca nun senti, un grido d’amore e di dolore verso la propria terra più matrigna che madre “Terra ca nun senti ca nun voi capiri / ca nun dici nenti vidennumi muriri / terra ca nun teni cu voli partiri / e nenti cci duni pi falli turnari / e chianci, chianci, ninna oh” omaggio di Incudine alla grande Rosa Balistreri.

E ancora la voce incisiva e penetrante di Ovadia per il ricordo di Placido Rizzotto ucciso a 34 anni per il suo impegno a favore del movimento contadino. Ucciso con una iniezione letale anche il pastorello tredicenne testimone dell’omicidio. Le indagini furono condotte dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ammazzato poi a Palermo insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo nel settembre del 1982 e a cui Incudine dedica una delicata ballata Ginirali “Ginirali, assai sunnu li morti / pı vuliri canciari ı cosı stortı! / Via Carini, settembri ottantadui… /cu ddi morti cripàmmu puru nui!”, testo e musica del cantastorie Fortunato Sindoni.

Le parole del grande Ignazio Buttitta sono declamate con vigore e con rigore da Incudine per ricordare Turiddu Carnivali ucciso il 16 maggio del 1955, nelle campagne di Sciara. Anche lui coraggioso sindacalista che lottava a fianco dei contadini contro i latifondisti “Ancilu era e nun avia ali / nun era santu e miraculi facìa,/ ‘n cielu acchianava senza cordi e scali / e senza appidamenti nni scinnia;/ era l’amuri lu so’ capitali / e ‘sta ricchizza a tutti la spartìa: / Turiddu Carnivali nnuminatu / ca comu Cristu nni muriu ammazzatu.[…]”

E ancora Ovadia per Santo Milisenna, caduto per la liberazione della Sicilia dal feudalesimo e dalla barbarie, per aver ribadito con forza che la terra apparteneva ai contadini, per un’Italia libera “[…] Uno sparo lo raggiunse al collo e si accasciò al suolo. Erano le 18.30 del 27 maggio 1944…”

Di nuovo musica con il celeberrimo componimento popolare Malarazza “Tu ti lamenti ma che ti lamenti. Pigghia nu bastune e tira fora li denti…”

E ancora il testo e la musica di Fortunato Sindoni per Pio La Torre,ucciso a Palermo il 30 aprile 1982, nel doppio registro, recitato e cantato da Ovadia/Incudine “Abbiamo sentito tutti quanti parlare di pace / Gridare forte ai quattro venti: “No alle guerre!” / […] Ed eravamo in 100.000 quel giorno a Palermo!, / Centomila pugni chiusi levati al cielo! / Centomila voci intorno alle bare: / Noi non abbiam paura dovranno pagare! / Due di maggio di lutto e di lotta…/ Noi raccogliam la sfida la sinistra non si tocca! / Sui muri di Palermo chiaro si legge: / siam stufi dei mafiosi e di chi li protegge!”

Non solo cantante eccezionale ma magnifica presenza attoriale Incudine che si cimenta nel monologo dedicato a Peppino Impastato e tratto dal film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana

E vibrante l’interpretazione di Maria Pia Bonacci della poesia scritta da Felicia Impastato, madre di Peppino in ricordo di suo figlio Chistu unn’è me figghiu “Chistu unn’è me figghiu / Chisti un su li so manu / chista unn’è la so facci./ Sti quattro pizzudda di carni un li fici iu.[…]. Chistu unn’è me figghiu. / Stu tabbutu chinu / di pizzudda di carni / unn’è di Pippinu. / Cca dintra ci sunnu / tutti li figghi / chi un puottiru nasciri / di n’autra Sicilia.”

A cui fa da contraltare, per la voce di Incudine, Quannu moru, universalmente considerato il testamento artistico e spirituale di Rosa Balistreri “Quannu iu moru nun mi diciti missa /  Ma ricurdati di la vostra amica.  / Quannu iu moru purtatimillu un ciuri, / un ciuri granni e russu comu lu sangu sparsu […]”

Poi il ricordo di Moni Ovadia per Soumayla Sacko, “Ci ammazzano come animali, ci trattano come animali. Quanto guadagniamo? Se va bene due euro all’ora. Quanto dura la giornata? Dieci , a volte dodici ore. Da novembre a marzo ci sono le arance da raccogliere, il resto dell’anno ci si arrangia. Tutto dipende dai caporali. Dopo l’alba fanno il giro tra il Calvario e la curva larghi sulla provinciale. Loro se ne fregano delle nuove leggi sul caporalato e dei diritti umani. Per loro siamo solo bestie, ma noi dobbiamo… dobbiamo guadagnare qualcosa per vivere qui e per sostenere le famiglie in Africa.” San Ferdinando di Reggio Calabria 2018, l’inferno dei nuovi schiavi è qui. Qui nella vecchia tendopoli Soumayla Sacko aveva la sua baracca, aveva 29 anni, era un attivista sindacale contro lo sfruttamento dei migranti nelle campagne. Veniva dal Mali. Lo scorso 2 giugno, insieme a due compagni, si era introdotto in una vecchia fabbrica abbandonata vicino a San Calogero in cerca di lamiere per costruire altri ripari di fortuna nella tendopoli. Un luogo dismesso e dimenticato. Sottoposto a sequestro perché, come rivela un’inchiesta della procura di Vibo Valentia, vi sarebbero stipati 127 mila tonnellate di rifiuti altamente nocivi. Qui Soumayla Sacko ha trovato la morte […].

In sottofinale il ritmo percorso da sonorità orientaleggianti della bella canzone di Incudine Italia talìa “[…] Italia talìa / A sti figghi toi  / Ca sulu ammazati  / Addiventanu eroi”  e un toccante scritto di Piera Dastoli sulla perdita della dignità personale e professionale e per concludere la hit di Biagio Antonaccci Mio fratello magistralmente interpretata da Incudine.

Fluida e smagliante la capacità di narrare le storie dal di dentro sondando il cuore nero della tragedia mafiosa. Uno spettacolo che indaga la memoria e parla ad alta voce alle donne e agli uomini di ogni latitudine laddove il doppio codice linguistico dell’italiano e dell’arcaico siciliano viene irradiato e amplificato nel senso e nel movimento da un suggestivo universo sonoro creato dai bravissimi musicisti Antonio Vasta alla fisarmonica, Antonio Putzu ai fiati, Manfredi Tumminello alle corde, Pino Ricosta al basso e Francesco Argento alla batteria.

Uno spettacolo necessario. Un invito alla presa di coscienza, al cammino verso uno Sato di diritto e di legalità. Un altro passo verso quel processo di democratizzazione reale e imprescindibile per rendere gli uomini liberi e mai più schiavi.

In ricordo di Soumayla Sacko.

 

Giovanna Villella

[foto di scena Ennio Stranieri]

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