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«L’Abbucatu Tappinella»: chi era costui!?

3 min di lettura
Abbucatu Tappinella

Lo si dice di un avvocato da strapazzo che si perda in ciance, facendoci perdere ogni chance in sede giudiziaria od anche di un individuo qualsiasi che vada sbraitando atteggiamenti spocchiosi, salvo a non approdar mai ad alcunché di concreto

Ai tipi siffatti gli antichi Romani solevano riserbare l’appellativo di «rabula», cioè «ciarlatano» o «cane abbaiante» simil-influenzato. «Tappinella», a mio avviso, come voce, sul piano lessicale, poi, è molto più esplicativa: come diminutivo di «tappina» (ciabatta, pantofola, per giunta pure logora) tende a sottolineare che non è una delle migliori calzature a rendere calzante un togato, almeno ad occhio!

Il greco «tapeinòs», ovvero basso, che ne fa da matrice linguistica, sembra addirittura qualificare il livello (non è all’altezza, sic!): insomma, in qualunque modo ci si possa muovere, «una parola buona non è», a dirla con un’involuta inversione sintattica, che è rispettosa del modo dire della nostra gente lametina. Non fa specie l’insuccesso come effetto immediato: la scelta degli «abbucati d’i causi perzi» prevede attenzione, a dirla in soldi ed in soldoni.

Prima di proseguire, sappiate che non c’è alcun tono polemico nei confronti di una categoria che ha tutta la mia stima: non mi permetterei mai; è come se riportassi delle barzellette sui carabinieri, senza per questo delegittimarli, chiariamoci subito!

La mia è solo una disquisizione linguistica e paremiologica; a dire il vero anche letteraria se come teste ci aggiungo niente poco di meno che Luigi Pirandello, che del «causidico o abbucaticchju», come potremmo dire noi, ne ha avuto ben donde da dire, ed in parecchie sue infelici situazioni, come quella che riporto per iscritto ed indirizzata a suo figlio Stefano nel 1954: «come vedi, un ottimo affare. Ma mi servirà di lezione, se un’altra volta mi pigliasse la pazzia di rivolgermi alla giustizia. Trenta mila lire le avrei avute soltanto di spese, se l’Avv. Rimini patrono del Nulli mi avesse trascinato fino in Cassazione con la speranza di farsi pagare da me ciò che il suo cliente non avrebbe potuto mai pagargli. E nessun interesse aveva il mio stesso avvocato a farmi vincere la causa per la medesima ragione».

Il nostro grande uomo di letteratura, in questa tragicomica impasse, soppesando le competenze dei due, se l’è dovuta sbrigare da solo: «Basta. Ho tagliato corto per non sentirne più parlare».

Prima di lui anche Manzoni, nei Promessi Sposi, quando ci rappresenta l’Azzeccagarbugli, che è Pettola, nella precedente edizione (che rima con bettola, ed ho detto tutto, senza dovermi dilungare): «“Bene”, continuò Agnese: “quegli è un uomo! Ho visto io più d’uno impacciato come un pulcino nella stoppa e che non sapeva dove darsi del capo, e dopo essere stato un’ora a quattr’occhi col dottor Azzecca-garbugli, (badate bene di non chiamarlo così!) l’ho visto, dico, ridersene.

Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui doveva io tirare il collo, pel banchetto di questa sera, e portateglieli; perché non bisogna mai andare colle mani vuote da quei signori. Raccontategli tutto l’accaduto: e vedrete che egli vi dirà su due piedi di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno”». Ecco, questo leguleio «alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia», che Renzo incontra nello studiolo con una «veste da camera, cioè coperto d’una toga ormai consunta, che gli aveva servito, molt’anni addietro, per perorare, ne’ giorni d’apparato, quando andava a Milano, per qualche causa d’importanza», si rivela scioglitore di nodi per i potenti e cavalocchio o pessimo giureconsulto per i meno abbienti. Insomma, qualcosa di macchiettistico ritorna sempre con profili di questo genere, fateci caso! Per non parlare della commedia dell’arte e qui sì che ne troviamo delle belle: perché!?

Basta seguire le avventure di Balanzone, che nella versione goldoniana de Il servitore di due padroni prende il nome di dottor Lombardi.

Pignolo, cavilloso, sempre pronto a trovare ogni minima scusa per iniziare uno dei suoi infiniti discorsi senza senso: come gli omonimi tortelloni della cucina bolognese i colleghi se li mangiano in un boccone, poveracci! Pertanto, tacendomi alla fin fine, un buon «advocatus» deve essere in gamba, ma guardargli i piedi è altresì importante per la «vox populi»: sarà proprio così!?

Prof. Francesco Polopoli

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