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«Ariari»: qualche paletto, al tempo del Coronavirus!

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«Ariari»: qualche paletto, al tempo del Coronavirus!

A chi non piacerebbe arieggiare in questo periodo: lo si sente da tutte le parti, ormai, social compresi!

Maggiore è il senso di prudenza, però! Il virus è il reale problema, la quarantena è una forza: quest’ultima, poi, ci ha fatto meditare per trovare delle soluzioni.

Forzata ha rinforzato: pensate se fossimo usciti tutti in questa fase delicatissima, di sicuro avremmo avuto un’ecatombe. Accontentiamoci di areare il locale ogni mattina o tutte le volte che lo crediamo utile e limitiamoci agli spostamenti strettamente necessari. Assembramenti: vietato!

Ci sarà tempo per «ariari», come diciamo dalle nostre parti e, chissà, tra una scampagnata o allegre brigate, ci sarà pure qualche momento goliardico, perché no, giusto per svaporare la tensione (tanta!) accumulatasi in questi mesi di salutare clausura.

A proposito del verbo lametino della ventilazione, ho potuto constatare simpaticamente come l’aggiunta di una liquida vibrante (-r) dia la forma di arrijari», che significa «esultare, tripudiare, rallegrarsi grandemente, ma anche darsi alla pazza gioia». Dove voglio arrivare?

Beh, intanto, evitiamo gli eccessi, dal momento che la tradizione classica ci insegna che «in medio stat virtus», cioè la «virtù sta nel mezzo»: colpisce invece, sottolineandolo a memento, il senso traslato dell’uso di questa voce lessicale, specie quando la vedo unita al nostro particolarissimo modo di dire «i troppi sordi a cciarti ᾿i fhanu arrijari», «i troppi soldi a taluni fanno commettere delle pazzie».

Sicuramente in questo periodo, dove tutto è apparso indistinto, sotto la medesima cappa plumbea del Corona, abbiamo compreso il senso comune d’uguaglianza: la livella di Totò è uguale per tutti, riporteremo quest’esperienza alla realtà di tutti i giorni, quando da tutto ciò ne saremo usciti? Mi auguro che il diffidente non resti più diffidente e che il più fidente rimanga solo distante solo per i dispositivi di prevenzione.

Occorre restituirsi all’umanità per essere e stare meglio: speremus!

Prof. Francesco Polopoli

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