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TO THE FAITHFUL DEPARTED (I’m Still Remembering)

4 min di lettura

Mi ricordo ancora il giorno in cui diedi la mia vita, che hai detto che saresti stato mio; ieri è stato freddo e desolato, la mia storia è stata raccontata”: in certi momenti non si sa mai se pensare al caso o crogiolarsi nella sicurezza della predestinazione.

Era il 1996, e dopo che il loro secondo album (No Need To Argue, 1994) aveva fatto sfracelli portando sugli altari una band irlandese che non faceva altro che parlare e ricordare del conflitto anglo-irlandese nell’Irlanda del Nord, usciva attesissimo To The Faithful Departed: un disco rabbioso e triste, che nasceva dal profondo malessere della front woman Dolores O’Riordan, voce e cuore dei Cranberries.

IL RICORDO

Chi ha trenta (ma anche quaranta, dai) anni e passa oggi, potrà amare sinceramente qualunque gruppo, ma il “proprio” gruppo resterà sempre quello dell’adolescenza. Oggi chi scrive passa con disinvoltura da Carmen Consoli ad Anna Oxa, da Nick Cave agli Afterhours: ma solo quando sento i Cranberries riesco a sentire esattamente quello che provavo nel preciso istante in cui comprai i loro cd.

Non so né sta a me dire se i Cranberries abbiano scritto o meno cd che entreranno nella storia della musica (forse No Need To Argue è quello che si avvicina di più), ma non importa davanti all’ascolto delle 14 tracce che compongono To The Faithful Departed, cioè quello che probabilmente fu il canto del cigno artistico della band irlandese.

LA STORIA

Esplosi nel 1992 con un originalissimo folk rock esaltato soprattutto dai virtuosismi vocali della loro cantante, Dolores O’Riordan, i Cranberries trovarono il successo negli States ancor prima che in patria con il loro album d’esordio, Everybody Is Doing It So Why We Can’t?, un milione e mezzo di copie vendute per quest’ibrido affascinante e misterioso di folk celtico, melodia pop e sussulti rock. Su tutto, la voce della O’Riordan: capace di cantare in rapida successione ninnananne o psicodrammi, urla laceranti o sussurri funebri, in brani come Sunday o Waltzing Black mette in luce qualità canore non indifferenti e un’originalità che MTV intuì benissimo e subito, portando il suo volto telegenico sugli schermi di tutto il mondo.

Spleen depresso e fatalista, talento melodico, lievi arpeggi di chitarra e i singulti della sua voce: gli ingredienti del successo dei Cranberries sono tutti qui, in secondo piano la sapienza musicale e la professionalità dei musicisti, in primo piano i testi tra la polemica politica e il romanticismo mortifero adolescenziale. Certo, non è niente confrontato con i diciassette milioni di copie vendute da No Need To Argue, il disco successivo, che contiene l’hit assoluta Zombie e li consacra alla fama mondiale e imperitura.

Ballate tenere su vocalizzi acrobatici, chitarre dissonanti e fraseggi melodici intimisti su struggenti sezioni d’archi, piccoli gioielli come Yeat’s Grave dedicata al poeta irlandese, rabbia, dolore e passione.

LA DISFATTA

Dopo un successo così colossale, qualsiasi cosa sarebbe sembrata un fallimento: e purtroppo ci finì To The Faithful Departed, opera apocalittica e integrata, dedicata ai grandi drammi contemporanei, dalla Bosnia alle tragedie dell’infanzia, dalle piccole guerre disseminate per il mondo ad omaggi più o meno sentiti a Kurt Cobain e John Lennon. La pretenziosità del tappeto sonoro non sempre rispecchia l’ispirazione: ma il risultato finale è un pastiche sentito e doloroso, con altre hit come Salvation (presentata a Sanremo, con la O’Riordan al picco della popolarità) e Promises, pezzi incantati come When You’re Gone e I’m Still Remembering.

Il rischio è ormai realtà: seguendo le tracce di altre celebri rock band, i Cranberries hanno ormai intrapreso la strada della parabola. Maledetta. Fama, stress, crisi di nervi autodistruttive li portano a sparire dal radar per parecchio: in mezzo, la misteriosa malattia della vocalist, chi dice anoressia, chi un trauma al ginocchio, chi esaurimento nervoso.

Passata la festa, gabbato lo santo: il periodaccio passa e il gruppo ritrova la pace. Ma non l’avesse mai fatto: si sa che per ogni vero artista, ogni pace ritrovata è un’ispirazione perduta. Nel 1999 esce Bury The Hatchet, due anni dopo Wake Up (and Smell The Coffee): due dischi mediocri che nelle chart si salvano per la loro portata profondamente mainstream. Ma la band ha perso vigore e vis polemica, rimangono tracce di una passata vitalità e una manciata di canzoni da parrucchiere.

Il fuoco sacro si è spento: e infatti da lì alla separazione il passo è breve, comprensivo anche di (disastroso) due album solisti della Dolores (Are You Listening e No Baggage).

OGGI

È del 2017 la reunion della band, anticipata da qualche mail fra la cantante e il chitarrista, sperata e invocata dai fan, paventata da chi aveva capito che un vaso rotto non si aggiusta senza far vedere i cocci. Il disco è Something Else (2017), ed è davvero qualcos’altro. Di diverso dai Cranberries delle origini -ed è pure giusto-, ma anche di diverso da quello che dal loro talento ci si poteva e doveva aspettare: tre inediti e dieci canzoni riarrangiate. Il tour annunciato per l’estate: poi la cancellazione, con vaghe allusioni a problemi di schiena della donna.

Oggi, con la notizia della scomparsa improvvisa di Dolores O’Riordan a soli 46 anni, resta solo l’interrogativo su quale grande dolore possa realmente aver lacerato questa donna dall’interno: un dolore che però lei ha saputo sublimare con l’arte, ma che poi l’ha dannata ancora di più, aggiungendo la malaria del successo ad un’anima già tormentata.

Rimane il cordoglio, rimane il ricordo, rimane la musica.

I’m still remembering.

But you see, it’s not me, it’s not my family, in your head they are fighting. What’s in your head, zombie

GianLorenzo Franzì

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