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Tra filosofia e sentimento. Antonio Gramsci (Quaderni del carcere)

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Tra filosofia e sentimento

“Cultura, non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri. Cosicché essere colto, essere filosofo lo può chiunque voglia” (Antonio Gramsci, Quaderni del carcere)

Straordinariamente attuale questa citazione di Antonio Gramsci, uno degli intellettuali culturalmente e politicamente più impegnati del secolo scorso, ricordato quasi sempre come uno dei fondatori del Partito Comunista e de L’Unità e come uno tra coloro che hanno pagato con il duro carcere la scelta di opposizione alla dittatura fascista.

Le Lettere dal carcere costituiscono il documento in cui espresse tutta la sua viva critica alla cultura del tempo e la sua grande umanità, ma soprattutto ne “Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura,” si riflette il suo pensiero sull’educazione e la scuola, come fattori essenziali del rinnovamento sociale e della diffusione della cultura.

Certamente Gramsci non fu un pedagogista, le sue, infatti, non furono solo riflessioni  sull’educazione, quanto riflessioni filosofiche, politiche e sociali collegate al difficile momento storico che il paese stava attraversando.

L’insegnante, nel suo pensiero, non è quello che impartisce nozioni, saperi e contenuti astratti, ma quello che  insegna ai suoi allievi  ad interpretare la realtà sociale e a diventare cittadini autonomi, colui che rappresenta la coscienza critica della società.

Gramsci attribuisce alla cultura un valore fondante per la società tutta e, contemporaneamente, per ciascun individuo, e scrive:

“Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da riempire e stivare di dati empirici….”

La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri.”

Cosa significa tutto  ciò? Che questa “conquista di una coscienza superiore” non  è un processo spontaneo, naturale, ma nasce dalla riflessione, dalla propria evoluzione, dalla crescita interiore.

Senza cultura si è dunque poveri, perché privi di quelle premesse su cui solo si può costruire il futuro: la coscienza superiore, il proprio valore storico, i propri diritti e i propri doveri.

La cultura così intesa è fondamentale, non come cultura “da enciclopedia”, o di dati da sciorinare o da quiz a premi.

La cultura è libertà dai condizionamenti, è una raccolta di esperienze che ti permettono di sopravvivere alle diverse situazioni della vita, ma è anche curiosità e comprensione del mondo e della società che ci circonda; è crescita, consapevolezza, identità, padronanza del sapere, ma anche valore, rispetto, passione, una ricchezza che nessuno ti può togliere.

La cultura è fondamentale nel momento in cui cessa di essere conoscenza pedante per diventare strumento di analisi critica della società, per questo rimane una delle armi più importanti di cui l’uomo si possa dotare nel suo percorso di evoluzione nel mondo.

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