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Tra Filosofia e sentimento. L’educatore e la scuola

3 min di lettura
Tra filosofia e sentimento

“L’insegnante deve insegnare. Per farlo serve una capacità empatica e comunicativa, la fascinazione. Se non apri il cuore, non apri nemmeno la testa delle persone. Gli insegnanti dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità che valuti queste cose. Se uno non sa affascinare è meglio che cambi lavoro […]…

….Educare vuol dire condurre qualcuno all’evoluzione, dall’impulso all’emozione, dall’emozione al sentimento. Un ragazzo che ha sentimento non brucia un migrante che dorme su una panchina, non picchia un disabile. Se queste cose accadono è perché la scuola non ha educato. Per educare bisogna avere a che fare con la soggettività degli studenti, che oggi è messa fuori gioco…..

…..La realtà è che siamo passati da una scuola umanistica a un’educazione anglosassone, perdendo un’infinità di valori della prima.

….Se uno non sa affascinare, comunicare, non può fare il maestro, il professore…..

Se uno non funziona lo sanno tutti ma non si può far nulla, perché è di ruolo. Che cos’è questa parola? Nessuno è di ruolo nella vita. Se un docente non è all’altezza va messo fuori gioco. Perché se si licenziano operai là dove si producono oggetti non lo si fa dove si formano le persone?”

UMBERTO GALIMBERTI  da un’intervista del 2019

Durissime le parole di Galimberti, che parte dalla premessa incontestabile di un rapporto empatico e comunicativo che deve esistere necessariamente fra alunno e docente, al fine di potenziare non solo il rapporto umano ma quello di apprendimento,  grazie a quel gioco sottile ma sempre valido  che denota l’interesse dello studente per la materia da apprendere, solo quando  questa ha il viso di un docente autorevole ed umano, avvincente relatore della propria disciplina.

Alle soglie di un anno scolastico che si spera sia vissuto in maniera normale, é d’uopo una riflessione sull’educazione e sul rapporto docente-alunno, vissuto in un contesto sempre più movimentato e complesso, in una scuola che sembra seguire il rapidissimo evolversi della comunicazione e del mondo circostante, ma, contemporaneamente, di questa società  “liquida”assorbe anche le negatività.

Condivido in parte il pensiero di Galimberti sul vuoto evidente nell’educazione dei nostri giovani, ma devo osservare che la prima agenzia educativa é la famiglia, che, insieme alla scuola, dovrebbe fornire ai ragazzi gli strumenti giusti per un percorso di vita sano e corretto. In questa sarabanda eterna di ruoli da ricoprire e su cui discutere, bisogna ricordare che l’educazione fondata sul rispetto e la tolleranza trova grandi esempi in famiglia, da sempre culla di valori da trasmettere. E quando la famiglia é in crisi e i genitori vivono rapporti inadeguati, gli effetti sui figli sono devastanti.

Coscienti di queste difficoltà, spesso sono i genitori a cercare un supporto nella scuola, a cui ovviamente é impossibile delegare la totale responsabilità dell’educazione dei ragazzi.

I programmi ministeriali e i testi di psicologia  ritengono  fondamentale il rapporto di collaborazione fra scuola e famiglia come  elemento imprescindibile per la buona riuscita del rapporto educativo, da sviluppare attraverso momenti di cooperazione e di ascolto reciproco.  Ma tant’è: nella casistica reale che ogni insegnante conosce, spesso il rapporto scuola- famiglia viene turbato dalla valutazione del docente, quando questa non soddisfa le aspettative dei genitori.

Ciò non toglie che possa essere  determinante e incisivo nella vita di un alunno, il docente dotato  di  “capacità empatica e comunicativa, la fascinazione”, come dice Galimberti. E’ il momento in cui la scuola diviene veramente formativa,  trasforma i giovani in persone mature, dotati di senso critico e capacità di pensiero libero e indipendente, è il momento in cui il docente rivela la sua capacità di educare, di essere sensibile,  intuitivo e umano. Non serve solo conoscere a menadito la propria disciplina, quando non la si accompagna con la consapevolezza dell’importanza del proprio lavoro.

Galimberti mette l’accento su una cruda realtà: l’obiettivo del posto fisso nel lavoro, che nasconde, ahimè, fini  più importanti e significativi, e la possibilità di destituire un insegnante quando questo non sia all’altezza del suo ruolo. Teoria impeccabile ma difficile da realizzare, perchè questo aprirebbe altri numerosi scenari ,con il rischio di imboccare strade tortuose fatte di meschinità, abusi di potere,  ingiustizie e contenziosi infiniti.

 

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