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“Chi parte, chi arriva, chi sta”, focus sul Sud e le sue trasformazioni

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LAMEZIA. “Chi parte, chi arriva, chi sta”, focus sul fenomeno migratorio che ha interessato e continua a coinvolgere le popolazioni del Sud. Questo il tema del seminario iniziato venerdì scorso e che oggi chiude i lavori all’Oasi francescana di Lamezia.

La tre giorni di studio e di confronto è il primo di un ciclo di incontri che la rivista Gli Asini di Goffredo Fofi dedica al Mezzogiorno d’Italia alle sue trasformazioni sociali, politiche, culturali, economiche, alla sua posizione nel Mediterraneo, alle esperienze e alle possibilità di intervento socio-politico nelle città e nelle aree rurali. Il seminario, in collaborazione con la Comunità Progetto Sud di don Giacomo Panizza, è destinato ad operatori sociali e culturali, insegnanti, educatori, attivisti. I partecipanti alla tre giorni sono arrivati da diverse regioni d’Italia e da tutta la Calabria.

Chi parte. Terra di emigrazione, di nuovo. Quell’emigrazione che sembrava finita alla fine degli anni Settanta è ricominciata già negli anni Novanta ed è diventata un fenomeno di massa con la crisi economica cominciata nel 2008. Secondo lo Svimez, tra il 2002 e il 2016 sono emigrate dal Sud quasi due milioni di persone, il 16% delle quali sono andate all’estero. La metà circa sono giovani; la metà non è tornata. Partono studenti che vanno nelle Università del Nord, laureati che non trovano impieghi adeguati ai loro titoli di istruzione, operai precari disoccupati. Contrariamente al passato, gli emigrati non inviano rimesse, non comprano terre, non costruiscono case nel paese d’origine; semmai, vivono altrove con il contributo economico delle famiglie rimaste al Sud. Certo, non si emigra da tutto il Sud, non in maniera omogenea: la Puglia sembra la regione che meglio riesce a far tornare i propri giovani; e, rispetto alle aree urbane, sono le aree interne, rurali, montane quelle che soffrono maggiormente. In queste aree, le dinamiche demografiche (al Sud si fanno meno figli che al Nord!) sembrano indicare un futuro di spopolamento e invecchiamento della popolazione, difficilmente reversibile.

Chi arriva. Nel frattempo, e già dagli anni Settanta, il Sud è territorio di immigrazione e di transito. Ci sono oggi al Sud poco meno di novecentomila cittadini stranieri. Processi migratori differenti, individui provenienti dal Maghreb, dall’Africa Sub-Sahariana, dall’Asia, dall’Europa orientale. Assistenti domiciliari e alla persona, operai agricoli, commercianti. Per molti di loro il Mezzogiorno è solo terra di passaggio, vogliono andare altrove. Fenomeni come le baraccopoli di Foggia e Rosarno e il caporalato indicano da un lato come l’agricoltura delle pianure costiere del Sud sia ancora periferia, oggi di sistemi agroalimentari che hanno i propri terminali nei supermercati di tutta Europa e, dall’altro lato, come i meridionali, per anni oggetto di razzismo e stereotipi, siano capaci anch’essi di sfruttare e guardare con razzismo quanti sono più poveri e deboli di loro. I discorsi leghisti di paura e rifiuto dell’immigrazione, per la chiusura dei porti ai richiedenti asilo, per le derive regionaliste, sono molto diffusi anche nel Sud Italia.

Tra chi parte e chi arriva c’è chi sta. E chi sta, in particolare i ragazzi, i giovani, deve fare i conti con la difficoltà di restare in luoghi nei quali ci sono poche prospettive di sopravvivenza. Secondo lo Svimez, nel 2017 ci sono al Sud 845mila famiglie in povertà assoluta, il 10% del totale. 600mila sono le famiglie in cui tutti i componenti sono disoccupati. Al Sud più che altrove, sopravvivenza vuol dire lavoro nero, precario, sfruttato, raccomandazioni, clientelismo. Le riflessioni sul “restare (o tornare) a Sud”, soprattutto nelle aree interne, riguardano spesso questioni culturali, legate all’“identità meridiana”, alla tradizione, alla lentezza, all’idea che il Sud rappresenti uno sviluppo diverso dal e alternativo al capitalismo del Nord. È però urgente e necessario discutere – e sperimentare praticamente – come si possa costruire (non ricostruire, perché non c’è mai stata) una società più giusta, un’economia che non si basi sullo sfruttamento e sostenibile dal punto di vista ambientale, che contemporaneamente coinvolga gli stranieri che decidano di vivere e gli emigrati che decidano di tornare al Sud.

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